È una guerra rovente quella che si consuma da mesi nel Mediterraneo. Anzi, ci sono più conflitti in corso nel nostro mare, piccolo specchio d’acqua ma specchio grande della geopolitica europea, a riflettere gli orientamenti di un continente allo sbando, privo di una degna percezione di sé. Costretto “in un quadro rigido all’interno del quale non riesce a respirare”, come scriveva Albert Camus già nel 1955.
C’è la guerra contro i migranti, ciclicamente reiterata in forme sempre nuove, da sempre inefficace e feroce. C’è la guerra contro le organizzazioni non governative (ONG), contro le iniziative della società civile europea che ha reagito alla contagiosa edificazione di muri e barriere lungo le traiettorie delle migrazioni occupando, con navi inattese, le acque del Mediterraneo, a pescare persone e salvare vite. E poi c’è la guerra contro la legalità internazionale, contro il diritto formale, dispositivo che ingombra la via alle soluzioni spicce dei populismi nostrani, alle fascinazioni mediatiche delle logiche elettorali, alla salvaguardia delle peggiori identità.
Inefficace e feroce, dicevamo, la guerra contro i migranti. Lo sanno anche coloro che continuano a ingaggiarla. A dispetto dei cospicui fondi che drena, non ha mai fermato né mai fermerà quanti fuggono dalle 33 guerre nel mondo (che generano 8 milioni di sfollati e profughi), da regimi autoritari spesso foraggiati dai nostri Paesi, dalle devastazioni del pianeta (22 milioni, i profughi ambientali. L’ONU stima che potrebbero essere 135 milioni entro il 2045, solo a causa della desertificazione). Tantomeno ferma le mafie che gestiscono la tratta degli esseri umani (12 milioni di persone), sempre al sicuro di insospettabili compiacenze. Alza però inesorabilmente la posta. Politicamente, e non solo. Dilata il tempo e il pericolo del viaggio. Aumenta il costo della fuga. Innalza il livello del ricatto e della violenza – una tecnica che assicura potere e soldi ad autorità militari, gruppi armati e gente senza scrupoli. Raccontano i sopravvissuti che ln Libia imbracciano il fucile e sparano ai migranti i ragazzini ormai, nelle strade di Tripoli o Sabrata.
Ci sta la guerra contro le ONG, in questa escalation. Con la scandalistica trovata del Codice Minniti, fatta propria dall’Europa per eludere la responsabilità di corridoi umanitari, l’attacco alle ONG fissa una nuova strategia di distrazione di massa fuorviante e pericolosa. La criminalizzazione della società civile. Della sua autonomia di azione e di parola. La criminalizzazione della solidarietà. Si tratta del portato di una cultura globalmente diffusa, rilevata dalla presidente della Heinrich Böll Foundation in un rapporto del maggio 2016, Civil Society Under Pressure. Mentre si invoca il ruolo della società civile per gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, si riduce lo spazio di azione degli attori impegnati per il bene comune. Le ONG vanno bene embedded nelle guerre, dall’Iraq in poi. Ridotte a mansuete realtà implementative nei progetti di cooperazione, dagli MDGs in poi. La loro libertà deve essere vigilata, nessuna alzata di capo. Così però si dividono, anche, le ONG.
Ne esce a pezzi il diritto internazionale. Salvataggio in mare? Diritto di asilo? Regole da Guerra Fredda, ferri vecchi inadatti alle sfide della globalizzazione e del terrorismo. Così il governo italiano destina ingenti risorse per appaltare ad Al-Serraji, un’autorità di dubbia legittimità, priva di effettività sul territorio della Libia, la gestione dei migranti. Rischiamo il ritorno alla “stagione buia dei respingimenti” per cui l’Italia è già stata condannata dalla Corte Europea, commenta l’associazione dei giuristi esperti di migrazioni. Così la Guardia Costiera libica si prende 90 miglia del Mare Nostrum, detta le condizioni del salvataggio in mare, spara su migranti e soccorritori. Qual è il problema? Non è perfetta coerenza con la politica UE rispetto alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan?
“Il West è finito”, ha dichiarato Minniti parlando del suo piano di sgombero delle organizzazioni umanitarie dal Mediterraneo. Frasi forti. Rassicuranti. Rimandano a un’altra lunga estate calda, a un’altra guerra contro la faccia migliore della globalizzazione, la società civile planetaria allora radunata a Genova, nel 2001. Da lì, in fondo, tutto è partito.
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