Il destino delle minoranze irachene dopo lo stato islamico. Quali violenze hanno dovuto subire in questi lunghi anni di guerra in Iraq le comunità minoritarie?
Quando vivevo a Erbil, nel Kurdistan iracheno, abitavo ad Ankawa, un quartiere cristiano fra i più eleganti della città, che si distingue per le sue case ordinate, le sue strade e le sue bellissime chiese.
Questo fu il mio primo incontro con la diversità culturale e religiosa in Iraq. Ho vissuto in questo bel quartiere tranquillo per due anni senza risentire di alcuna differenza. Potevo sentire, da casa mia, il suono delle campane delle chiese vicine, sebbene suonassero timidamente per non disturbare la maggioranza curda-musulmana di Erbil. […]
Nel 2004, poi, con l'ingresso del Paese in una guerra interconfessionale, le minoranze, in particolare i cristiani, divennero facile preda della maggioranza musulmana, sia sunnita che sciita. Nonostante gli scontri tra i due gruppi, entrambi presero di mira i membri della minoranza cristiana, impadronendosi del denaro e delle loro proprietà, cacciandoli fuori dalle loro case; per non parlare di omicidi, rapimenti e attacchi ai loro luoghi di culto. Dalla caduta del regime fino ad oggi, più di 60 chiese sono state attaccate in tutto l'Iraq. Questi attacchi non si sono fermati, anzi son diventati più cruenti quando l'Isis ha invaso il Paese e le regioni interne, più precisamente Mosul e la pianura di Ninive, dove storicamente i cristiani si sono stabiliti dal primo secolo dopo Cristo. Così le città cristiane son cadute una dopo l'altra, come Tel Keppe, Teiskuf, Bartella Qaraqosh, Karemlash, ecc.
Benché l'organizzazione dello Stato Islamico (SI) consideri i cristiani come le genti del Libro, non li ha risparmiati. I combattenti hanno invaso Mosul il 10 giugno del 2014 e, qualche giorno dopo, hanno imposto delle restrizioni ai cristiani, come il razionamento e la sospensione dell'elettricità. Iniziarono a segnalare le case, marcandole con la lettera che indica nazareno o cristiano. Le restrizioni raggiunsero il loro culmine all'alba del 18 luglio 2014, quando, attraverso gli altoparlanti delle moschee, si chiese alla cittadinanza tutta di scegliere tra la conversione all'Islam, il pagamento di un tributo (jizya) e/o l'abbandono della città. Fu concessa una tregua fino al mezzogiorno del giorno successivo. Gli abitanti cristiani di Mosul si precipitarono fuori dalla città, portando con sé pochissimi averi e lasciando case e negozi che i combattenti dell'Is immediatamente invasero, stabilendosi lì.
La storia non finisce qui: sono stati intercettati ai checkpoint per lasciare la città e sono stati confiscati denaro, oggetti di valore e documenti di identità che avevano portato via. Sono stati anche costretti ad abbandonare le loro auto e raggiungere a piedi le vicine città del Kurdistan iracheno (Erbil e Dohuk).
Nella Piana di Ninive
100.000 cristiani, dunque, sono stati costretti ad allontanarsi dalle loro regioni.Sono stata testimone del loro arrivo ad Erbil: provenivano da Mosul e da altri villaggi della pianura di Ninive, caduti nelle mani del SI. Al calar del sole di un giorno del mese di luglio 2014, arrivò un gruppo di sfollati cristiani ammucchiati uno sopra l'altro su auto e camion stracarichi. Si fermarono in uno dei club sportivi che, come ogni chiesa e scuola della zona, era stato trasformato in rifugio per coloro che fuggivano dalla brutalità dell'Isis. Erano sotto shock dopo le atrocità che avevano affrontato sulla strada e molti di loro non potevano credere di essere finalmente al sicuro. I loro occhi erano segnati da paura, timore e incertezza sul loro futuro. I loro corpi e vestiti erano coperti di polvere.[…]
Da un giorno all'altro, Ankawa si trasformò in un enorme campo a cielo aperto. Migliaia di sfollati si sono ammassati nelle chiese e negli edifici, anche se già strapieni di gente. Più di 100.000 cristiani sono fuggiti dalle regioni della pianura di Ninive, generando uno dei più grandi esodi dal 2003, se confrontato con le precedenti ondate da Baghdad e dalle città nel sud del Paese, avendo assunto la più profonda convinzione che l'Iraq non era più un Paese sicuro per loro. Di conseguenza, le domande di asilo per l'Europa, l'America e l'Australia si sono moltiplicate, e il Kurdistan non è diventato altro che un Paese di passaggio in attesa di attraversare quelli vicini, in particolare la Giordania, Turchia e Libano, per raggiungere l'Occidente.
Inoltre, sebbene la battaglia per la riconquista di Mosul, iniziata il 17 ottobre 2016, abbia liberato la maggior parte dei villaggi cristiani caduti nelle mani di Daesh, un gran numero di cristiani non vuol tornare in patria, specialmente dopo aver assistito alla distruzione delle proprie case e villaggi. La ricostruzione richiederà ingenti somme e non vi è alcuna garanzia che lo scenario di persecuzione non si ripeta, data l'instabilità e la tendenza radicale della maggioranza musulmana in Iraq (sunnita, sciita e curda). Così, i cristiani hanno chiesto la creazione di una propria provincia indipendente, come i curdi nel nord dell'Iraq, come aveva promesso George W. Bush. Tuttavia, nell'attesa che questo sogno si realizzi, si sono armati e hanno costituito le milizie, le unità di protezione della Piana di Ninive, per proteggere le loro regioni, avendo perso la fiducia in qualsiasi altra parte per garantire la loro difesa.
Il genocidio di Yézidis
La minoranza cristiana non è stata l'unica minoranza ad essere stata presa di mira da Daesh. Gli omicidi e le torture che l'ISIS ha perpetrato contro gli yazidi sono stati ancora più atroci, poiché considerati infedeli. I membri di questa minoranza praticano un'antica e pacifica religione basata sull'esistenza di un unico Dio onnipotente che governa l'universo con l'aiuto di sette angeli. Durante la loro permanenza in Iraq, che risale al 3000 a.C. hanno subito 73 genocidi, guidati da leaderche si sono avvicendati al governo del Paese. L'ultimo genocidio contro di loro è stato quello commesso dall'ISIS, che nell'agosto 2014 invase Sinjar, una regione simbolo per gli Yazidi. L'attacco a Sinjar, guidato dai combattenti daesha bordo dei loro fuoristrada, con le loro bandiere nere, è stato sinonimo di dichiarazione di morte per gli abitanti. Circa 300.000 yazidi furono completamente accerchiati dopo essere stati abbandonati da tutti, compresi i combattenti curdi del Peshmerga, con i quali condividevano lingua e nazionalità. In effetti, questi ultimi si erano improvvisamente ritirati dalle regioni yezidi verso i vicini confini siriani. Alcuni giovani yazidi cercarono di difendere le loro regioni con armi rudimentali, ma la loro resistenza crollò presto di fronte all'arsenale di daesh. Non avevano altra scelta che fuggire o morire. Coloro che sfuggirono alle grinfie di daeshsi rifugiarono lì, ma mancavano tutte le risorse di base per mangiare, bere, coprirsi e, dunque, sopravvivere. Queste famiglie rimasero senza casa su questa montagna spoglia e sterile per una settimana. Molti vecchi e bambini morirono. Anche gli aiuti che arrivarono da loro attraverso gli aerei di soccorso furono distrutti quando arrivarono a terra. Questo incubo si è concluso solo quando i combattenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), schierati ai confini siriani, sono riusciti ad aprire un corridoio tra le montagne, in Siria, consentendo a circa 100.000 yazidi di uscire vivi. I sopravvissuti furono distribuiti nei campi in Siria o nel Kurdistan iracheno. Tuttavia, il destino di circa 3.500 persone rimane sconosciuto, uccisi o rapiti. Infatti, in tutti i villaggi che controllava, l'Isis riuniva tutti gli abitanti nelle scuole, separava uomini da donne, uccideva gli uomini e trasportava donne e bambini nelle basi a Mosul, Tall Afar e Raqqa. Circa 5.000 donne e ragazze sono state detenute, violentate, rese vittime della tratta e costrette ad abbandonare la loro religione per convertirsi all'Islam. [...]
L'attacco turkmeno sciita
Tutto ciò rende impossibile oggi la convivenza fra arabi e yazidi. Nonostante la liberazione di Sinjar dagli artigli di daeshda più di un anno, pochissimi yazidi sono tornati. Era la città che condividevano con gli arabi, i turkmeni e i curdi. La loro unica preoccupazione ora è lasciare l'Iraq per recarsi in Germania e in altri Paesi europei, sacrificando la loro terra di origine dove sono tutti i loro luoghi santi. Alcuni hanno deciso di armarsi per proteggersi, avendo perso la fiducia nei loro concittadini arabi e curdi, e persino nelle forze governative, a Sinjar, addestrati dai combattenti del PKK, che attualmente partecipa alla guerra contro daesh. Oggi, interrogati sulla loro visione di futuro dopo la liberazione di Isis dall'Iraq, dicono di voler lasciare l'Iraq o restare lì, ma in una regione protetta a livello internazionale. Questi desideri sono condivisi anche dai turkmeni sciiti che, come gli yazidi, sono stati colpiti dagli attacchi daesh nelle loro città di Tall Afar e Amirli. 200.000 persone sono state costrette ad abbandonare le loro città e villaggi per sfuggire a daesh, che non fa distinzioni tra giovani, anziani, donne e uomini, uccidendo tutti quelli che trova sul suo cammino e costringendo alla fuga gli altri, costretti a rifugiarsi nelle aree sciite del sud dell'Iraq. Ad oggi, il destino di 1.200 rapiti da daesh, metà dei quali sono donne e bambini, rimane sconosciuto.
L'emigrazione
Con l'approssimarsi del-l'uscita definitiva di daesh dall'Iraq, sorge la questione del futuro delle minoranze, data l'instabilità e la difficoltà, se non l'impossibilità, di coesistere nuovamente dopo il collasso del tessuto sociale, la scomparsa della fiducia tra le diverse componenti della società irachena, la generalizzazione della paura e il desiderio di vendetta. In aree come Sinjar, dove convivono arabi, curdi, yazidi e turkmeni, oggi è impossibile pensare che questa stessa città sarà in grado di riunirli di nuovo. È lo stesso per Tall Afar che ha raccolto turcomanni sunniti e sciiti, prima che i primi si unissero a daeshper annientare i secondi. Anche i cristiani, che rappresentano la minoranza più grande e antica del Paese (con oltre 1,2 milioni di persone), non intendono più tornare nelle loro regioni dopo quello che è successo loro. Preferiscono rimanere nel Kurdistan iracheno o lasciare il Paese. […] L'Iraq si trasformerà in un Paese senza minoranze per divenire teatro di un conflitto fra musulmani sunniti e sciiti e curdi? La civiltà mesopotamica, la prima dell'umanità, perderà per sempre la sua diversità culturale, religiosa ed etnica?
Traduzione a cura di Alessandro Riggi. L'articolo originale, in lingua inglese, è comparso in Leaders il 3 marzo 2017
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Hanène Zbiss è una giornalista tunisina spacializzata in politica estera. È una delle prime giornaliste investigative in Tunisia e, dal 2012, lavora con Arab Reporters for Investigative Journalism (ARIJ). Hanène Zbiss è anche attivista per la libertà di stampa e di informazione.
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L'Iraq
Ordinamento politico: amministrazione transitoria
Capitale: Baghdad
Superficie: 434.128 Kmq
Popolazione: 22,5 milioni; 65% arabi, 23% curdi, azeri 5,6%, altri 6,4%
Lingua: arabo, curdo
Religione: 62% musulmani sciiti, 35% musulmani sunniti, 3% cristiani
Alfabetizzazione: 58% (Italia: 98%)
Mortalità infantile: 60 per mille
Speranza di vita: 66 M, 68 F (Italia: 76 M, 82 F)
Prodotti esportati: petrolio
Debito estero: 10 miliardi di $