La Chiesa dei poveri tra papa Francesco e don Tonino Bello. Bisogna spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù.

 

Prima ancora che dichiarata, annunciata, denunciata, la povertà va vissuta, ovvero autenticata da una coerenza che non lasci crepe e fraintendimenti e che non faccia gridare allo scandalo.

E pertanto vi sono scelte che diventano stili di vita, orientamento deciso, fino a stagliarsi come vera e propria indicazione nel cammino, tutte cose che dicono molto più delle parole. E quando ci riferiamo alla povertà non pensiamo alla miseria che non è mai un merito ma una ferita. E non pensiamo nemmeno a una povertà che si giochi tutto nello spazio angusto – ancorché idolatrato come assoluto – dell'economia. In questo caso anche noi commetteremmo l'errore di scolpirci una falsa divinità a immagine e somiglianza del mercato che regola le relazioni interpersonali e quelle tra i popoli, che spinge alcuni verso il successo senza limiti e altri verso la disperazione più estrema. 

Quando pensiamo alla povertà pensiamo a San Francesco, al suo rimettere persino i vestiti nelle braccia sorprese e scandalizzate del padre terreno per riconoscere il "Padre del cielo". Perché forse alla fine il senso e il significato della povertà sta tutto nella "spogliazione" che è riconoscersi nella propria nudità umana, prenderne coscienza. L'unica che mi fa gridare un'invocazione verso Dio e l'unica che mi fa riconoscere fratello tra fratelli. L'unica condizione che ti fa dire "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!" (At 3,6). Ovvero solo se sei povero puoi annunziare Gesù Cristo e solo se sei nudo puoi servire in maniera credibile. Infatti, il Vangelo di Giovanni ci ricorda un particolare che in questo contesto non può passare inosservato e che al contrario dà sapore al gesto che segue. Bisogna "spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, ‘depose le vesti'. Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba (don Tonino Bello). Non a caso anche papa Francesco, inviando una lettera in occasione dell'inaugurazione in Assisi del Santuario della Spogliazione, parlando di San Francesco scrive: "Rinunciando a tutti i beni terreni, egli si svincolava dall'incantesimo del dio-denaro che aveva irretito la sua famiglia, in particolare il padre Pietro di Bernardone". Certamente il giovane convertito non intendeva mancare del dovuto rispetto a suo padre, ma si ricordò che un battezzato deve mettere l'amore per Cristo al di sopra degli affetti più cari". Ecco, questa è povertà. 

Impoverimento

E da questa povertà nasce la denuncia dell'ingiustizia che condanna alla miseria e ci fa chiamare e definire quell'altra, non povertà ma piuttosto impoverimento, cioè frutto dell'ingiustizia. È sempre papa Francesco che nella stessa occasione scrive: "Purtroppo, a duemila anni dall'annuncio del Vangelo e dopo otto secoli dalla testimonianza di Francesco, siamo di fronte a un fenomeno di ‘inequità globale' e di ‘economia che uccide'". Di fronte a istanze profondamente spirituali e in ascolto del grido dei poveri non basta levare la voce della solidarietà e della denuncia, è necessario compiere gesti che dicano con chiarezza che si è scelto di stare dalla parte giusta, di prendere posizione, di tradurre anche in stile di vita personale la povertà che si è scelto di accogliere. In questo senso è sicuramente significativo e illuminante l'uso di un'auto utilitaria che caratterizza sia don Tonino che Francesco, la scelta di un'abitazione non sontuosa e, soprattutto, condivisa, una croce pettorale che non è né d'oro né di alcun altro metallo prezioso, ma soprattutto sono da considerare espressioni di povertà vissuta alcune prese di posizione che non sono nella scia della sobrietà dei mezzi quanto della rinuncia all'esercizio del potere e che, nel solco dell'insegnamento di Cristo, esercitano l'autorità in modo autorevole. "Chi sono io per giudicare" di Bergoglio e la straordinaria capacità di ascolto che anche personalmente ho potuto sperimentare in entrambi, sono un sintomo chiaro di quella povertà dell'anima che si esprime in uno stile che consente di porre al centro l'altro, con le sue fatiche, il suo disagio, la sua debolezza ma anche le sue ricchezze. In papa Francesco, ad esempio, io trovo molto spirito di povertà nella sua capacità di citare nelle encicliche, nei discorsi, nelle lettere, il Patriarca Bartolomeo o alcune conferenze episcopali nazionali. 

Così come mi ha sempre commosso l'episodio in cui don Tonino invita un presbitero per chiedergli la disponibilità a lasciare la sua parrocchia per andare incontro alla necessità che si era creata in un'altra sede. Peraltro quel prete era parroco in quella Chiesa da molti anni. Fatto sta che quel prete legge la richiesta del suo vescovo come una mancanza di considerazione nei suoi confronti o l'incapacità di don Tonino di saper discernere per il meglio, quindi si inalbera, alza la voce e, fortemente alterato, abbandona la riunione sbattendo la porta. Don Tonino resta interdetto, pensoso, rammaricato e, dopo aver riflettuto, cerca di raggiungerlo telefonicamente senza esito alcuno. A quel punto si mette in macchina e cerca di raggiungerlo prima in parrocchia e poi a casa, poi comincia a chiedere ai vicini se l'abbiano visto e poi si reca da un suo confratello prete a chiedere dove potrebbe trovarlo. Sembra avere urgenza di parlargli. Al di là delle decisioni da assumere, gli interessa la persona e di fronte all'obiezione dell'altro prete che gli dice: "Vedrai, sbollirà la sua rabbia, domani potrai raggiungerlo", don Tonino risponde: "No, devo trovarlo oggi, prima di sera, perché sta scritto: ‘Non tramonti il sole sopra la vostra ira' (Ef.4, 26) e lui era proprio arrabbiato". È questo che ci fa dire che si tratta di uno stile che potremmo comprovare con mille altri episodi sia di don Tonino come di papa Bergoglio. 

Incontro nuziale 

D'altra parte, non possiamo dimenticare una radice comune che sta nel francescanesimo che fa dell'umiltà una delle espressioni più profonde dell'incontro nuziale con Madonna Povertà. Non è affatto casuale che il vescovo argentino assume il nome di Francesco così come lo stesso don Tonino cresce all'ombra della spiritualità francescana testimoniata in Alessano, sua cittadina di nascita, dalla fraternità dei frati cappuccini che lui frequentava assiduamente al punto da abbracciare l'ideale francescano nella forma del Terz'Ordine. Esplicitamente, peraltro, chiede che sulla sua tomba prima che vescovo vi fosse scritta quell'altra appartenenza. Allo stesso modo, quando mi sono recato a Buenos Aires (prima che Bergoglio fosse eletto nel conclave del 2013) furono alcuni responsabili di un centro sociale di un quartiere di periferia a testimoniarmi che un giorno l'arcivescovo si era presentato alla loro porta con l'unico intento di volerli conoscere perché aveva sentito parlare bene della loro attività. E non erano affatto credenti. Alla risposta che se fosse arrivato qualche minuto prima avrebbe incontrato i più poveri del quartiere che consumavano il pasto nella mensa popolare, l'arcivescovo senza indugio disse: "Avete appena finito di mangiare? Bene, ci sono i piatti da lavare!" e rapidamente si recò in cucina, indossò il grembiule e cominciò a lavare piatti e stoviglie. È questa la povertà di una Chiesa capace di incontrare gli uomini e le donne del proprio tempo nei contesti in cui vivono. È questa la Chiesa dei poveri perché è in grado di vivere costantemente in uscita per celebrare la liturgia della vita e lasciarsi piuttosto consumare dall'amore per i più poveri. Povertà come atteggiamento che, per questa ragione, sa costruire la pace dal basso della condizione delle vittime e non tanto nei tavoli delle fini strategie diplomatiche. Ma lasciamo l'ultima parola a don Tonino che aveva abbracciato la povertà come sposa, alla maniera di Francesco: "Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, per sollecitarli a camminare alla sequela di Cristo, deve necessariamente alleggerirsi dei "tir" delle sue stupide suppellettili. Chi vuol fare entrare Cristo nella sua casa, deve abbandonare l'albero, come Zaccheo, e compiere quelle conversioni "verticali" che si concludono inesorabilmente con la spoliazione a favore dei poveri. È la gioia, quindi, che connota la rinuncia cristiana: non il riso. La testimonianza, non l'ostentazione. Come avvenne per Francesco, innamorato pazzo di Madonna Povertà. Come avvenne per i suoi seguaci, che si spogliarono non per disprezzo, ma per seguire meglio il maestro e la sua sposa: 'O ignota ricchezza, o ben verace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro, dietro allo sposo; sì la sposa piace!'".