Il Sud, d'Italia come del mondo, sia ponte tra civiltà. Libero da schiavitù e culture subalterne. Prepariamo un'Europa fondata sulla pace, non sugli archi di guerra.
Nel Sud Italia sono ancora visibili i segni della strada degli schiavi. La stato dell'erba, amara e indistinta. Lo stato dell'acqua, con tutta la simbologia della primordialità che essa racchiude.
Però è già in fermento lo stato dei liberi. Spuntano i segni di una cultura nuova. L'erba incolta cede il posto alle spighe del grano. Così come l'acqua cede il posto al vino nuovo del cambiamento che comincia a rosseggiare sulle mense dell'uomo.
Si colgono frattanto nell'area i segni premonitori della comunità di amici. Laddove la raccolta del grano, divenuto pane, indica la convivialità. E l'olio, spremuto dai frantoi, simbolizza le funzioni dello spirito, che tornerà ad aleggiare non più sul "caos" primordiale, ma sul "cosmos" di un mondo restituito alla tranquillità dell'ordine, cioè alla pace.
Prima di andare avanti nell'analisi, vorrei ricordare un pensiero di Thèophile Gauthier, il quale diceva: "Se vuoi essere universale, parlami del tuo villaggio". Se qui parliamo solo del Meridione d'Italia… non è per restringere gli orizzonti ma è perché questa porzione di terra è quasi il luogo paradigmatico dove si svelano gli stessi meccanismi perversi che, certamente in modo più articolato, attanagliano tutti i Sud della terra.
Come si vede, si affronta un tema congeniale a Pax Christi. Parliamo infatti delle strutture di peccato che generano le guerre. Quelle tra le nazioni e quelle tra i cittadini di una medesima patria. … Ma nel Sud irrompe ormai la comunità di amici …Il Sud sente già scorrere nelle sue vene la linfa rigeneratrice della profezia. È l'era del grano maturo, del pane della "convivialità delle differenze", in cui non basta che, superate le ingiustizie e gli accaparramenti egoisti, a ognuno venga dato il piatto che gli spetta, ma è necessario che questo venga consumato insieme, alla stessa tavola, tra amici che si vogliono bene. E l'era dell'olio fluente, simbolo sacramentale dello Spirito, la cui forza unificante provoca riconciliazione con Dio, con gli uomini, col creato.
Utopie di inguaribili sognatori? Traguardi improponibili per un mezzogiorno lacerato da tanti problemi sociali? Profezie sterili, incapaci di perforare antiche corazze di diffidenze e di omertà per piantarsi nel cuore della gente e divenire prassi quotidiana?
Tutt'altro. C'è nel Sud, oggi più che mai, un'ansia profonda di solidarietà. Si avverte il bisogno di uscire dalle vecchie aree dell'individualismo per aprire orizzonti di comunione. C'è un'istintiva disponibilità all'accoglienza del diverso. Non per nulla il Mezzogiorno è divenuto crocevia privilegiato delle culture mediterranee, vede moltiplicarsi al suo interno le esperienze di educazione alla pace, si riscopre come spazio di fermentazione per le logiche della nonviolenza attiva, avverte come contrastante con la sua vocazione naturale i tentativi di militarizzazione del territorio e vi si oppone con forte determinazione. È sempre più consapevole, insomma, che solo assumendo le categorie della solidarietà e della pace potrà risanare i ritardi del suo sviluppo, che un documento dei vescovi di tre anni fa, "Chiesa italiana e Mezzogiorno" (che io amo chiamare "Sollecitudo rei meridionalis") qualifica come "dipendente distorto, incompleto, frammentato".
L'Europa che nasce deve fare i conti con il Sud Italia, il quale, nella sua coscienza emergente si rifiuta di assolvere al ruolo di "icona della subalternanza" per tutti i Sud della terra, ma vuole sempre più decisamente presentarsi alla ribalta mondiale come icona del riscatto dalle antiche schiavitù. Ed è in forza di questo riscatto che il Sud Italia respinge la prospettiva di essere utilizzato come baluardo militare dell'Europa, proteso nel Mediterraneo come arco di guerra e non come arca di pace. È il tempo della speranza. E a questa speranza c'è da far credito.