Qualifica Autore: Ricercatori della Fondazione Leone Moressa

L'immigrazione in Italia e in Europa: l'impatto sulla spesa pubblica, il contributo sul piano economico e fiscale. I dati dell'ultimo rapporto sull'economia dell'immigrazione della Fondazione Moressa.

 

Il tema della migrazione rappresenta in questo momento storico uno dei punti più caldi nel dibattito pubblico in Italia e in Europa.

La Fondazione Moressa, istituto di ricerca nato da un'iniziativa della CGIA di Mestre, dal 2011 pubblica il "Rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione", analizzando le principali dinamiche legate al mercato del lavoro e all'inclusione economica degli immigrati in Italia. L'edizione 2018 si concentra in modo particolare su un tema spesso sottovalutato come l'invecchiamento demografico

L'Italia è, assieme a Germania e Giappone, uno dei paesi più anziani al mondo, con un saldo naturale negativo quasi ininterrottamente dal 1993. Secondo le stime Istat, da qui al 2050 il numero delle persone con più di 75 anni salirà da 7 a 12 milioni (+74%), passando dall'11% della popolazione al 21%: la popolazione complessiva diminuirà del 4%; la componente in età lavorativa (15-64 anni) registrerà un calo del 19%. 

Pur riconoscendo che l'immigrazione non può essere l'unica soluzione a questo problema, è altrettanto impensabile fare a meno dei 2,4 milioni di occupati stranieri attualmente presenti in Italia e rilevanti soprattutto nelle mansioni ad alta intensità di manodopera.

La riduzione dei canali d'ingresso legali per immigrati, unita alla crescente instabilità di molti paesi africani e del Medio Oriente, ha portato a un incremento dei flussi irregolari, sia via terra attraverso la Turchia (ridotti fortemente dopo l'accordo Ue-Turchia del 2016) che via mare attraverso le diverse rotte del Mediterraneo (Italia, Grecia, Spagna, Malta). In realtà, va spiegato che la protezione internazionale (esame delle richieste d'asilo e accoglienza dei migranti in attesa di valutazione) non è una materia di competenza europea. Anzi, il regolamento di Dublino precisa che il paese di primo ingresso è responsabile della gestione di tutto il processo. Nonostante ciò, nel 2015 la Commissione europea lanciò un programma di ricollocamento di circa 100 mila migranti da Italia e Grecia. Il piano, pur approvato da tutti gli stati membri, si rivelò un fallimento a causa del boicottaggio da parte dei paesi dell'Est. La stessa riforma del regolamento di Dublino, approvata dal parlamento Ue nel 2017, è stata affossata dagli stati membri nel giugno 2018 (in quell'occasione l'Italia si è schierata assieme ai paesi dell'Est, contrari alla riforma). La cattiva gestione non si può, quindi, imputare genericamente "all'Europa", ma vanno individuate le responsabilità precise di ciascun paese, Italia inclusa.

In Italia

Per quanto riguarda l'I-talia, la cattiva gestione dell'immigrazione ha radici profonde: a partire dagli anni Ottanta, quando la domanda di manodopera straniera ha cominciato a crescere, le politiche migratorie non sono mai state realmente connesse ai fabbisogni produttivi, né tantomeno pianificate ex ante. In altre parole, non è mai stata fatta una vera selezione degli ingressi secondo criteri di competenze, conoscenze linguistiche, professione. Al contrario, le politiche migratorie italiane sono state caratterizzate dalle cosiddette "sanatorie", regolarizzazioni ex post di cittadini già presenti sul territorio. Secondo questa procedura, il cui unico criterio di selezione era l'ordine cronologico delle domande, dal 1982 al 2012 sono stati regolarizzati circa 2,8 milioni di cittadini stranieri. Si può dire, dunque, che l'immigrazione in Italia per 30 anni è stata "subita", spesso con un approccio emergenziale, anziché programmata e governata.

L'immigrazione in Italia, dunque, è un fenomeno presente da oltre 30 anni. Sebbene questo sia un periodo molto più breve rispetto agli altri paesi (Francia e Regno Unito hanno una storia migratoria molto più lunga, legata soprattutto alle ex colonie), la maggior parte degli stranieri residenti oggi in Italia è giunta nel nostro paese prima del 2008, quindi oltre dieci anni fa. 

Mentre oggi parliamo di "emergenza" per 180 mila sbarchi di migranti (picco massimo registrato nel 2016), va ricordato che dieci anni fa gli ingressi di lavoratori stranieri erano oltre 100 mila l'anno, con un picco di 470 mila nel 2006. Chiaramente si tratta di flussi di natura diversa, ma è bene analizzare i numeri per confrontare gli ordini di grandezza. A oggi i residenti stranieri in Italia sono circa 5 milioni (8,5% della popolazione, in linea con gli altri grandi Paesi Ue), mentre i migranti ospitati nei centri di accoglienza sono circa 150 mila (0,3%). 

L'impatto economico 

Da un punto di vista economico, i 2,4 milioni di lavoratori stranieri (oltre il 10% del totale) contribuiscono a produrre poco meno del 9% del PIL nazionale e si rivelano particolarmente numerosi in alcuni settori quali l'agricoltura, la ristorazione, i servizi di assistenza o l'edilizia.

Per quanto riguarda invece l'impatto dell'immigrazione sulla spesa pubblica, possiamo affermare che i costi dei servizi rivolti a utenti immigrati (sanità, pensioni, scuola, giustizia, ecc.) sono ampiamente coperti dalle imposte e dai contributi previdenziali versati dai contribuenti stranieri. Come noto, infatti, gli immigrati in Italia sono prevalentemente in età lavorativa (l'età media è 33,6 anni per gli immigrati, contro 45,4 per gli italiani), con un basso impatto sulle voci di spesa principali del bilancio italiano, sanità e pensioni. In particolare, nel sistema pensionistico "a ripartizione", in cui le pensioni attuali sono pagate dai contributi dello stesso periodo, si nota lo sbilanciamento dalla parte dei benefici: gli occupati immigrati versano quasi 12 miliardi di contributi, mentre le uscite per pensioni e assistenza sociale superano di poco i 3 miliardi.

La fotografia scattata dal rapporto annuale è, dunque, molto diversa rispetto alla percezione che l'opinione pubblica ha del fenomeno migratorio. In un'Italia che invecchia, non possiamo permetterci di rinunciare alla forza lavoro immigrata, fondamentale in molti settori economici tra cui proprio i lavori di cura agli anziani. 

Certamente la gestione dell'immigrazione sperimentata negli ultimi 30 anni ha avuto grosse carenze, molte delle quali mostrano oggi i loro effetti, peraltro accentuati dall'impatto della crisi economica. Tra queste carenze possiamo citare, ad esempio, la mancanza di criteri per la selezione degli ingressi, la scarsa programmazione a lungo termine, la normativa troppo confusa e frammentaria.

La soluzione, però, non può essere quella di tornare a un'Italia senza immigrati, impossibile da attuare oltre che non conveniente. Piuttosto sarebbe utile lavorare per migliorare i servizi volti all'integrazione sociale ed economica degli immigrati, favorendo la mobilità sociale e la crescita personale e professionale. In questo senso non siamo all'anno zero: a livello locale esistono moltissime esperienze di successo, in cui le sinergie tra i vari attori (enti locali, sindacati, datori di lavoro, terzo settore, ecc.) hanno portato a un'integrazione efficace e gestita. 

Lavorando in questo senso, certamente, beneficeremmo tutti. 


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