Smantellare la guerra di fatto e nell'immaginario collettivo cammina parallelamente all'impegno per costruire la pace, fondata sulla nonviolenza. Qual è il ruolo della comunicazione?

 

La comunicazione nella chiesa dovrebbe aiutare in primo luogo le comunità locali a interpretare, a partire dal versante pastorale, gli aspetti sociologici e culturali del nostro tempo, per servire nel modo più adeguato "l'annuncio del Vangelo oggi".

Di fronte ai numerosi conflitti armati e organizzati, l'impegno è quello di rinnovare l'appello alla pace, contro ogni "inutile strage", senza cedere alla paura e al silenzio di fronte alle responsabilità e alle cause. Nel messaggio per la celebrazione della 50a Giornata mondiale della pace (1 gennaio 2017), papa Francesco insiste sulla "nonviolenza come stile di una politica di pace", auspicando che carità e nonviolenza possano prevalere nelle relazioni, nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Il dialogo, il confronto, il negoziato, tutto "il peso delle armi" nonviolente, attive e costruttive, può e deve essere dispiegato come antidoto alla distruzione provocata dai conflitti violenti. Nel contempo, però, nell'enciclica Laudato si' (Papa Francesco, Laudato si'. Lettera Enciclica sulla cura della casa comune, Stato Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 24 maggio 2015, n.47) il pontefice mette in guardia sul rischio che le dinamiche dei media e del mondo digitale possano risultare dispersive e superficiali e serve, dunque, uno sforzo comune perché possano invece dare un impulso positivo a un nuovo sviluppo culturale dell'umanità. In fondo internet e il mondo digitale sono solo potentissimi strumenti che possono veicolare il bene, oppure il male. 

Pace e giornalismo

Venendo, poi, più specificamente al legame tra pace, giornalismo, informazione e cultura dell'incontro, il papa ha sottolineato recentemente che "essere giornalista ha a che fare con la formazione delle persone, della loro visione del mondo e dei loro atteggiamenti davanti agli eventi… È faticoso entrare in tale processo di trasformazione, ma è sempre più necessario se vogliamo continuare a essere educatori delle nuove generazioni" (papa Francesco alla delegazione del premio di giornalismo internazionale "Biagio Agnes", 4 giugno 2018). In queste parole è chiara l'eco delle teorie di vari studiosi della pace, in particolare di Johan Galtung sul giornalismo di pace come antidoto ai mali prodotti dal modo abituale di narrare i conflitti. Un'ulteriore sottolineatura in tal senso è rappresentata dal messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali 2018 che invita a promuovere un giornalismo orientato alla pace non scollegato dalla storia, senza negare l'esistenza di problemi spesso gravi alla base delle tensioni e delle divergenze. La realtà va spesso in tutt'altra direzione – basti pensare alle strategie basate su fake news e campagne denigratorie strutturate e pianificate in modo sempre più sistematico – e si oppone a un giornalismo fatto da persone per le persone.  Senza entrare nell'ampio dibattito che si è sviluppato in questi anni sulla questione della post-verità, va detto che oggi, nell'era dell'informazione digitale, è sempre più difficile orientarsi, anche perché verità e fatti sembrano contare meno delle opinioni personali.

D'altra parte è altrettanto vero che, nonostante tutto, il giornalismo di pace – pur nella consapevolezza che i media non sono l'unico potere in grado di orientare l'opinione pubblica –potrebbe favorire un clima diverso e dare invece un contributo costruttivo alla promozione della pace, o meglio di una cultura di pace. Proprio per questo è necessario un grande senso di responsabilità da parte dei giornalisti. 

Cultura, sviluppo

Più in generale la pace chiama in causa ogni singola persona e l'intero corpo sociale. Come diceva papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris (Lettera Enciclica Pacem in Terris, Stato Città del Vaticano, 11 aprile 1963, n.61) spetta proprio a tutti "il compito di ricomporre i rapporti di convivenza  nella giustizia e nell'amore". E sempre in quell'enciclica, il papa indicava con chiarezza l'obiettivo di un disarmo integrale, per smontare "…anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica". 

A livello ecclesiale, oggi come ieri, Francesco, un altro papa ultraottantenne, si fa parte attiva in tal senso. Come "profeta disarmato" invoca la pace sul nostro mondo in guerra, sui tanti conflitti troppo spesso "dimenticati", sulla "terza guerra mondiale a pezzi. Come sottolineò l'allora vescovo e oggi cardinale presidente di Caritas Italiana, Francesco Montenegro "oggi, come ieri, l'umanità non ha ancora interiorizzato quell'alienum est a ratione che fa della guerra moderna una ‘roba da matti' per dirla con don Tonino Bello, cioè elemento irrazionale, fuori dal connotato razionale che contraddistingue la specie umana. 

La vera pace non è assenza di guerra, ma un ordine mondiale frutto di uno sviluppo inclusivo e partecipativo e si raccorda con lo sviluppo umano integrale, quello sviluppo che per Paolo VI, nella Populorum progressio, è il "nuovo nome" della pace. L'impegno comune deve essere, dunque, quello di trovare modelli alternativi ai sistemi produttivi, di ricerca e sviluppo, di commercializzazione e marketing che riducono l'uomo e anche l'ambiente che lo circonda a solo strumento da sfruttare. Si tratta di integrare, pertanto, la dimensione individuale e quella sociale, valorizzando sempre più l'importanza della comunità, mediante "il dispiegamento del principio di sussidiarietà", favorendo l'apporto di tutti come singoli e come gruppi, a partire dal basso (discorso di papa Francesco ai partecipanti al convegno Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari  e per un disarmo integrale, 10 novembre 2017)

Mondo diviso

In questo i social media possono aiutare o essere di ostacolo. Vengono, infatti, sempre più spesso utilizzati come ulteriori strumenti di guerra, vere e proprie armi, a disposizione delle parti in causa che diventano attori protagonisti dei conflitti con una precisa strategia comunicativa, sistematicamente perseguita. Vi è chi li usa per denunciare e documentare le atrocità dei belligeranti, al fine di dare voce a chi non ne ha, oppure per promuovere un movimento di pace dal basso, oppure per avanzare precise richieste di cessate il fuoco, in contesti particolarmente violenti. Tuttavia vi è anche chi li utilizza per reclutare truppe e per influenzare in modo significativo le sorti delle guerre e delle dinamiche geopolitiche internazionali. Una governance globale delle dinamiche di guerra non può, comunque, trascurare l'importanza delle strategie comunicative del conflitto, non solo in riferimento al terrorismo internazionale, ma anche ad ogni altra forma di violenza armata e organizzata. In tal senso occorre rafforzare il ruolo della comunità internazionale e non limitarne continuamente il raggio d'azione, finendo con il ridurla a semplice "ambulanza" della storia.

Una strategia e una cultura di pace devono essere dotate di mezzi adeguati, ad ogni livello; devono essere radicate nella realtà, documentate e informate, aperte al dialogo e al confronto, capaci di analisi e di proposte, di "problem setting" ma anche di "problem solving". 

Di fronte a un mondo in cui "il peso delle armi" è sempre più forte e diventa un fattore causale e non solo strumentale alla costruzione del consenso rispetto alla conflittualità violenta e organizzata, anche "il peso delle parole", degli audio, dei video può contribuire in maniera molto rilevante all'affermazione degli uni sugli altri secondo logiche di sottomissione. Di fronte a tutto ciò, occorre in primo luogo consapevolezza e conoscenza, per poi passare alla fase strategica e organizzativa, strutturata e coordinata, per agire con altrettanta incisività, con alti livelli di partecipazione, di costruzione di alleanze e di reti, ma per perseguire obiettivi ben diversi, alternativi. 

Sta dunque a tutti noi continuare ad "allenarci" a leggere i segni dei tempi che la pace anche oggi suscita e riuscire a comunicarli, ricordandoci sempre che "non sono solo il coltello o la pistola a uccidere, ma anche l'ipocrisia, il buonismo, il silenzio e l'indifferenza" (Omelia del card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas Italiana, 1 luglio 2018).