Il pensiero e le parole della Santa Sede su armi, commercio e spese militari.
Il tema delle armi, degli armamenti, del loro commercio e delle spese militari rientra nell'elaborazione dottrinale più generale sulla guerra e la pace che la chiesa cattolica ha sviluppato soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento nella prospettiva del disarmo,
cioè della riduzione, se non eliminazione, delle armi, soprattutto di quelle con maggiore capacità distruttiva e con effetti negativi sulle popolazioni. Accanto alla riprovazione (quando non condanna esplicita) per la produzione, il commercio, la detenzione e l'uso di tali armamenti, la Chiesa ha proposto l'alternativa nonviolenta del dialogo e della trattativa, della composizione pacifica delle controversie, della cooperazione e della mutua fiducia.
Numerosi sono, ormai, i luoghi in cui è possibile ritrovare esposta (con innumerevoli rimandi reciproci) la posizione della Santa Sede: encicliche, esortazioni e lettere pontificie, messaggi per l'annuale Giornata mondiale per la pace, discorsi pronunciati dai papi soprattutto nei viaggi apostolici, nei documenti e interventi indirizzati ai consessi istituzionali internazionali, al corpo diplomatico, nonché interventi fatti in occasione di particolari guerre e conflitti.
Le encicliche
Punto di riferimento imprescindibile è certamente la Pacem in terris di Giovanni XXIII del 1963 nella quale, di fronte alla situazione inedita che mette a rischio la sopravvivenza dell'intero pianeta, per papa Roncalli "giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci." Di pari passo si deve procedere col disarmo integrale: "se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica".
È la stessa visione che ispirò, nel 1965, i padri conciliari nella Gaudium et spes che condanneranno la corsa agli armamenti definita "una delle piaghe più gravi dell'umanità" che "danneggia in modo intollerabile i poveri".
Due anni dopo, nella Populorum progressio Paolo VI definì tale corsa "estenuante" e "uno scandalo intollerabile", ricordando il suo appello (lanciato nel 1964 in India) col quale aveva chiesto "la costituzione di un grande Fondo mondiale, alimentato da una parte delle spese militari, onde venire in aiuto ai più diseredati".
Guardando alle encicliche di Giovanni Paolo II, riferimenti al tema degli armamenti si trovano nella Redemptor hominis del 1979, nella quale si cita l'enorme disponibilità offerta ai paesi in via di sviluppo di armi e strumenti di guerra che non aiutano affatto a soddisfare i veri bisogni dei popoli; nella Dominum et vivificantem del 1986 nella quale tra "i segni e i segnali di morte" viene anzitutto citata la corsa agli armamenti e il pericolo, in essa insito, di un'autodistruzione nucleare.
Nella Sollicitudo rei socialis del 1987, poi, la riflessione si concentra non solo sulla produzione delle armi, ma soprattutto sul commercio delle stesse (sul quale "il giudizio morale è ancora più severo") capace di superare ogni barriera: "mentre gli aiuti economici e i piani di sviluppo si imbattono nell'ostacolo di barriere ideologiche insuperabili, di barriere tariffarie e di mercato, le armi di qualsiasi provenienza circolano con quasi assoluta libertà nelle varie parti del mondo".
Guardando ai documenti di Benedetto XVI, può apparire strano che un riferimento al tema delle armi si trovi in un'esortazione apostolica dedicata all'eucaristia (la Sacramentum caritatis del 2007): "meno della metà delle immense somme globalmente destinate agli armamenti sarebbe più che sufficiente per togliere stabilmente dall'indigenza lo sterminato esercito dei poveri. La coscienza umana ne è interpellata".
Col magistero di papa Francesco, la riflessione sugli armamenti assume, accanto a tratti già ribaditi, alcune sfumature nuove. Ad esempio, nella Laudato si', del 2015, il tema della guerra e degli armamenti è collegato con quello dell'ambiente. Anzitutto l'ambiente come "causa" di conflitto: "è prevedibile che, di fronte all'esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni". Ma l'ambiente è anche "vittima" di conflitto: "la guerra causa sempre gravi danni all'ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi diventano enormi quando si pensa alle armi nucleari e a quelle biologiche." Un terzo aspetto è dato dall'apporto che la scienza e la tecnologia danno a questo proposito: "nonostante che accordi internazionali proibiscano la guerra chimica, batteriologica e biologica, sta di fatto che nei laboratori continua la ricerca per lo sviluppo di nuove armi offensive, capaci di alterare gli equilibri naturali". Infine, da un lato "si richiede dalla politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti" ma dall'altro "il potere collegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo".
Il disarmo
Paolo VI parlò all'Onu nel 1965 e disse: "Lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno". Giovanni Paolo II, al Palazzo di Vetro nel 1979, non risparmiò parole dure verso i finti costruttori di pace: "I continui preparativi alla guerra, di cui fa fede la produzione di armi sempre più numerose, più potenti e sofisticate in vari paesi, testimoniano che si vuole essere pronti alla guerra, ed essere pronti vuol dire essere in grado di provocarla, vuol dire anche correre il rischio che in qualche momento, in qualche parte, in qualche modo qualcuno possa mettere in moto il terribile meccanismo di distruzione generale".
"La Santa Sede e il disarmo" è un documento della Commissione ‘Iustitia et Pax' del 1976. Si apre con "una condanna senza riserve" della corsa agli armamenti che viene definita (e argomentata): un pericolo, un'ingiustizia, un errore, una colpa e una pazzia. La condanna viene declinata "nel nome della pace che la corsa agli armamenti non assicura"; "nel nome della morale naturale e dell'ideale evangelico", essendo ormai saltata la proporzione tra il danno causato e i valori che si tenta di salvaguardare e avendo ormai l'armarsi non più per fine la difesa ma l'aggressione, perdendo così "la sua ragione d'essere, la sua giustificazione, la sua legittimità". L'alternativa, dunque, è il disarmo che, per risultare "giusto ed efficace", deve seguire alcuni criteri: il mantenimento della sicurezza, la progressività, il controllo.
La seconda parte del documento è dedicata ai modi per "sostituire la guerra" e avanza delle proposte, tra cui la penalizzazione per le nazioni sottosviluppate che aumentano il loro bilancio militare e i finanziamenti di favore per i paesi che riducono le spese militari a scopi sociali.
Il commercio delle armi
Quasi vent'anni dopo il documento sul disarmo, "Giustizia e Pace" pubblica una riflessione sul commercio internazionale delle armi, in particolare di quelle convenzionali o classiche.
Si denuncia la costante ed enorme crescita del "trasferimento" delle armi, non sempre legale, e la mancanza di una regolamentazione internazionale (che avverrà solo nel 2013 col Trattato sul commercio delle armi).
Inoltre, il trasferimento di armi "pone gravi problemi morali" poiché nessun trasferimento "è moralmente indifferente", perciò il documento ricapitola i principi morali generali in materia. Il primo è il "no" alla guerra quale strumento per la soluzione dei problemi politici, economici o sociali. Il secondo il diritto alla legittima difesa con le armi, che tuttavia "non è un diritto assoluto". Il terzo è il "dovere di aiutare l'innocente", da cui deriva l'ampia riflessione sulla cosiddetta "ingerenza umanitaria". Segue il principio della sufficienza che si basa sul rapporto tra il diritto alla difesa in armi di ciascuno stato e la quantità di armi da questo posseduto. Infine, il trasferimento di armi deve sempre considerare che esse "non sono come gli altri beni".
La seconda parte del documento esplora le responsabilità degli stati esportatori, mentre la terza parte analizza quelle degli stati destinatari. Infine, l'ultima parte è dedicata alla regolamentazione internazionale del trasferimento delle armi. Il principio-base ispiratore è la ricerca della pace: insomma, regolamentare per ridurre il trasferimento di armi. Per questo è necessario un "sistema di sicurezza internazionale".
Papa Francesco
Papa Francesco torna di continuo sul tema delle armi e del loro commercio. In questi anni è spesso ritornato sul rapporto tra armi e affari, come quando, ad esempio, chiede di svelare "gli interessi e le trame, spesso oscuri, di chi fabbrica violenza, alimentando la corsa alle armi e calpestando la pace con gli affari" (Bologna, 2017) o quando parla dei "venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli e danno ai loro figli da mangiare il pane insanguinato" (Venerdì Santo 2016) in un mondo "sottomesso ai trafficanti di armi che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne" (intervista, 2017).
Inoltre, il papa non dimentica di richiamare le responsabilità dei detentori del potere, soprattutto delle nazioni "più potenti" (Bari, 2018), perché abbiano "il coraggio di evitare il dilagare dei conflitti e di fermare il traffico delle armi" (Pasqua 2017) e perché "investiamo sulla pace, non sulla guerra! (Angelus, 2018).
Da ultimo, l'importante discorso del 10 novembre 2017 al convegno svoltosi in Vaticano sul disarmo nucleare, nel quale, dopo aver notato che "gli armamenti che hanno come effetto la distruzione del genere umano sono persino illogici sul piano militare", ha ricordato che recentemente la comunità internazionale ha "stabilito che le armi nucleari non sono solamente immorali ma devono anche considerarsi un illegittimo strumento di guerra". Si tratta di un segnale importante che da' speranza e che "può rendere attuabile l'utopia di un mondo privo di micidiali strumenti di offesa", così come aveva chiesto Giovanni XXIII.