Le guerre, gli attentati, le missioni militari nell'opinione pubblica, nella conoscenza diffusa, nella carta stampata. Presentazione dei dati di un sondaggio svolto in Italia.

 

La sesta edizione del rapporto di Caritas Italiana sui conflitti dimenticati nel mondo viene pubblicato con la collaborazione di Famiglia Cristiana, Avvenire e il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur).

Il rapporto approfondisce la presenza delle guerre nel mondo, con particolare attenzione ai conflitti dimenticati, lontani dai riflettori dell'arena mediatica internazionale. Il tema dell'edizione 2018 è quello delle armi e degli armamenti. All'interno della seconda parte del volume vengono presentati i principali risultati di alcune ricerche sul campo condotte appositamente per l'edizione 2018 del Rapporto. 

Sondaggio

Il Rapporto restituisce i risultati di un sondaggio demoscopico condotto da SWG sulla percezione degli italiani sui temi della guerra e delle armi. Il livello generale di amnesia è piuttosto elevato: il 14% del campione non ricorda neanche un attentato terroristico (10% tra i giovani). Una quota di popolazione ancora maggiore (24%) non ricorda neanche una guerra (29% tra i giovani). Gli italiani conoscono pochissimo i conflitti in corso: nessuna guerra del continente africano è ricordata da più del 3% degli intervistati. Fa eccezione la guerra in Siria, ricordata dal 52% del campione. Poco meno di un terzo del campione accetta la possibilità di una guerra; due terzi sono comunque contrari, oppure lo sono salvo decisioni delle Nazioni unite. In 15 anni è scesa dal 75 al 59% la percentuale di chi è d'accordo che sul fatto che solo l'Onu possa decidere su eventuali interventi militari, mentre cambia l'orientamento sulla partecipazione dell'Italia alle missioni militari: nel 2005 il 70% era favorevole; nel 2013 si era scesi al minimo storico del 32%, ora si assiste a una risalita al 45%. 

Metà degli intervistati (quasi il 60% tra i giovani), è favorevole a limitare la produzione italiana di armi, evitando soprattutto di esportare armi laddove c'è guerra. Poco meno di un terzo ritiene, inoltre, che si tratti di un tipo di industria che andrebbe soppressa e riconvertita in altri tipi di produzione. Due terzi degli intervistati ridurrebbe anche la vendita di armi a persone o enti privati. Sul polo opposto, non dimentichiamo che esiste un segmento di popolazione, pari a poco più di un quinto, che ritiene invece giusto produrre armi e lasciarne inalterata la vendita. 

Una giovane speranza

Nel rapporto sono riportati i risultati di un ulteriore studio nazionale, condotto in collaborazione con il Miur,  su un campione di 1.782 studenti, frequentanti 58 classi di terza media inferiore, presso 45 istituti scolastici, in tutto il territorio nazionale. Il 39,3% dei ragazzi non è in grado di indicare neanche una guerra degli ultimi cinque anni. Gli studenti che hanno, invece, fornito delle risposte "esatte" sono pari al 44,4% del campione. Le risposte di tipo misto, in cui convivono elementi di verità con indicazioni sbagliate, sono pari al 13,2%.  Nel caso degli attentati terroristici la quota di oblio è inferiore, scendendo a quota 11,8%. 

La metà degli studenti intervistati ha dichiarato di conoscere la Dichiarazione universale dei diritti umani, di cui ricorre nel 2018 il Settantesimo anniversario, mentre una quota importante di ragazzi, pari al 32,4%, non è sicuro di conoscerla.

La grande maggioranza dei ragazzi considera la guerra come un "elemento evitabile", da superare attraverso il progresso culturale. Ma un ragazzo su cinque la ritiene un elemento inevitabile, legato indissolubilmente alla natura dell'uomo.

La maggioranza degli studenti (61,3%), reputa giusto accogliere, a certe condizioni, le persone che fuggono dalla propria terra, a causa della guerra. Una presenza significativa di ragazzi (28,2%), stima doverosa l'accoglienza, a prescindere dalle capacità ricettive dei singoli paesi. Solo un ragazzo su dieci non ritiene giusto, in nessun caso, accogliere le persone in fuga dalla guerra.

Secondo i ragazzi, la guerra si previene mediante il dialogo e il rispetto dei diritti umani (62,8% dei ragazzi intervistati). Segue la prospettiva di intervenire sulla dimensione economica e commerciale (51,9%). Il ruolo di controllo e vigilanza, che non esclude l'opzione militare, trova d'accordo un numero minore di ragazzi (34,3% del campione).

Accanto alla rilevazione condotta nelle scuole medie è stato effettuato uno studio parallelo, che ha coinvolto un campione di ragazzi impegnati nello scautismo Agesci. Rispetto ai loro coetanei intervistati nelle scuole medie, i giovani scout evidenziano livelli simili di competenza ma un maggior livello di sensibilità al tema dei valori e dei comportamenti concreti: in media il 61,9% degli scout evidenzia un alto livello di sensibilità e di coerenza etica sui grandi temi della guerra e della pace, dell'accoglienza e della solidarietà (contro il 55% del campione complessivo). Sulla disponibilità ad accogliere nel nostro paese, in modo incondizionato, i profughi e i richiedenti asilo gli scout evidenziano un maggiore livello di disponibilità e apertura: il 43,5% di loro si dichiara a favore di questo tipo di apertura (28,2% tra i ragazzi delle scuole medie). 

Nella carta stampata

Allo scopo di comprendere meglio lo spazio dedicato dai tradizionali media della carta stampata alla guerra e alle armi, è stata coordinata dal quotidiano Avvenire un'analisi del contenuto, relativa alla copertura che quattro importanti quotidiani nazionali (Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Avvenire), riservano a quattro conflitti dimenticati, in quattro aree diverse e lontane di mondo: Ucraina, Yemen, Somalia, Venezuela. L'analisi ha avuto come base temporale un mese campione (dal 15 maggio al 15 giugno 2018). La raccolta dei dati è stata realizzata da alcuni allievi del master di giornalismo dell'Università Cattolica.

La lettura attenta dei quotidiani ha consentito di individuare, nella finestra di osservazione considerata, un totale di 40 articoli su questi conflitti.  Il risultato impone una considerazione generale, comune a tutti gli articoli individuati: scarsissima è la presenza percentuale in quantità (numero di articoli, numeri di battute/righe per articolo) ma anche in qualità (posizione dell'articolo in pagina, richiamo eventuale in prima pagina, uso di immagini a corredo, approfondimenti). Non di rado, le notizie su questi conflitti si risolvono in trafiletti di poche righe, su una delle pagine di esteri delle testate su menzionate, senza alcun richiamo in prima, senza alcuna immagine a corredo. Siamo di fronte a dei perfetti conflitti fantasma, che solo ogni tanto riemergono dall'oblio. La copertura di questi quattro conflitti conferma il trend generale: i media italiani coprono poco i conflitti apparentemente lontani dall'Italia. Se accade, succede quando una notizia di valore soprattutto geopolitico o strategico irrompe nell'attualità: l'attacco al porto di Hodeida, durante la guerra nello Yemen o la conferma della responsabilità russa sull'abbattimento dell'aereo MH17, nel caso del conflitto in Ucraina.  

Per la qualità della copertura (principio di notiziabilità, collocazione in pagina o nel palinsesto dei temi), enorme differenza fa la presenza sul campo di un inviato o di qualcuno che funge come tale: è il caso della copertura delle elezioni in Venezuela per quasi tutte le testate, in particolare di Avvenire, e del rarissimo reportage con foto dalla Somalia, pubblicato dal settimanale Panorama, il 14 giugno 2018.

Oltre la dimensione scientifica dell'indagine, uno degli obiettivi della rilevazione è stato quello di avviare una riflessione sullo scarto che esiste nel nostro paese tra la domanda di informazione del pubblico e la risposta dei media. Il nostro è un punto di partenza da cui avviare una più ampia riflessione sullo spazio che la stampa italiana dedica ai conflitti e all'informazione sul Sud del pianeta, nell'era della globalizzazione. Convinti del fatto che il fermarsi alla superficie dei grandi fenomeni internazionali può contribuire a spiegare la tendenza alla chiusura che sta investendo la nostra opinione pubblica, compresa una parte non trascurabile  della nostra classe dirigente.