Qualifica Autore: Docente di Sociologia della Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Una scena, un’opera, un palcoscenico. E attori in grado di proiettare gli spettatori nel mondo dei sentimenti, della rappresentazione della realtà, di lacrime e di orizzonti inaspettati. Il bello del teatro non è solo estetico.

  

Le vie della bellezza sono molteplici e varie. Non si finisce mai di esplorarle, anche se, sommersi dalla frammentazione incessante di azioni e relazioni in cui si vive oggi, e frastornati dal peso delle cattive notizie, rischiamo di dimenticare per disattenzione o assuefazione alcune espressioni di fondo della bellezza che ci circonda o in cui siamo inseriti. Una di queste è sicuramente il teatro.

Forma singolare di arte che solo in parte il cinema e la televisione hanno rivisto e “aggiornato” nel corso del Novecento, il teatro è un’espressione per così dire storica della bellezza di una società. Per quanto ci riguarda, teniamo presente il mondo greco e di quella Magna Grecia dove ancora oggi, per una sorta di miracolo che continua nel tempo, si rappresentano in alcuni spazi teatrali all’aperto, come avveniva oltre duemila anni fa, le grandi opere dei classici greci: penso a Taormina, a Siracusa, a Epidauro.  

Non si tratta solo di una bellezza in termini estetici. Ai tempi di Aristotele, il teatro, sia drammatico che comico, era un grande fatto di partecipazione sociale, che permetteva ai cittadini di cogliere gli eterni sentimenti dell’animo umano e i problemi delle relazioni profonde attraverso un duplice meccanismo: l’immedesimazione e la distanziazione. Come spiega Aristotele in alcune pagine della sua Poetica che non sono tramontate, il teatro riesce – grazie all’abilità degli attori – a far fremere gli spettatori, a indurli a seconda dei casi alle lacrime o al riso, con un processo che opera una sorta di “purificazione” o catarsi; ma questo avviene soltanto nell’ambito dello spazio-tempo della rappresentazione, della messa in scena dell’opera (Aristotele, Dell’arte poetica, Fondazione Lorenzo Valla – Mondadori, Milano 1997). Esattamente come oggi, e come possiamo sperimentare in misura ancora maggiore attraverso la visione cinematografica o televisiva.  

Oltre la maschera

Gli attori, utilizzando anche strumenti come la maschera, che crea un distacco tra la persona reale e il protagonista sulla scena, riescono a creare una finzione che produce effetti reali, quelli costituiti appunto dalla partecipazione intensa ed effettiva degli spettatori al mondo messo in scena nello spazio-tempo della rappresentazione, drammatica o comica che essa sia. Il teatro in realtà è per lo spettatore, ieri come oggi, una sorta di universo parallelo alla vita normale e “seria” in cui egli è coinvolto con le responsabilità relative: ma è un mondo che gli trasmette una grande ricchezza, non solo in termini di bellezza della parola, dei gesti, della musica e degli altri artifici che accompagnano la recitazione. Lo spettatore a teatro accoglie e vive emozioni, condivide i grandi interrogativi della vita e della società del suo tempo, s’interroga sul futuro della propria esistenza e di quella dei sistemi in cui è inserito. Oggi credo si possa dire che l’universo parallelo del teatro contribuisce direttamente o indirettamente a portare avanti quell’obiettivo di qualità della vita che sta sempre più a cuore ai contemporanei: una qualità di vita che non rifugge dal confronto con i drammi del nostro tempo, ma che trova nel teatro uno strumento di partecipazione alla vita civile e di confronto corretto con le tensioni conflittuali e distruttive oggi all’opera nel mondo. In effetti, il teatro è intrecciato alla vita quotidiana, come dimostra la sua presenza ininterrotta nel tempo dalle società arcaiche e antiche sino a oggi, in forme diverse: esso del resto è una delle metafore più significative e ricorrenti della vita e del mondo, come ricorda già nel titolo una delle opere più significative del teatro classico spagnolo, Il gran teatro del mondo scritta nel Seicento da Calderón de la Barca (P.Calderón de la Barca, Teatro, Garzanti, Milano 1990). In tempi più vicini a noi, Pirandello ha espresso in modo magistrale nei Sei personaggi in cerca d’autore le dinamiche essenziali che legano la finzione teatrale alla realtà della vita vissuta. Nella Prefazione scritta a quest’opera egli parla del “mistero della creazione artistica” che a un certo punto genera esperienze vive, anzi vere e proprie creature:

Un artista, vivendo, accoglie in sé tanti germi della vita, e non può mai dire come e perché, a un certo momento, uno di questi germi vitali gli s’inserisca nella fantasia per divenire anch’esso una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile vana esistenza quotidiana (L. Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, Einaudi, Torino 1993).

I personaggi

L’artista sa di dover mettere al mondo dei personaggi che lo chiamano dal profondo e che – afferma Pirandello – attendevano appunto ch’egli li facesse entrare nel mondo dell’arte, li facesse vivere: non si tratta dunque di fantasmi, ma di “realtà concrete, costruzioni della fantasia immutabili: e dunque più reali e consistenti della volubile naturalità degli Attori” (ivi).

Siamo qui in presenza di una idea di teatro che naturalmente non è l’unica possibile, ma che personalmente mi sento di condividere. Essa ha stretti punti di contatto con la poesia e le sue potenzialità inesauribili, così come con l’avvicinamento progressivo all’idea di bellezza. 

Uno degli uomini di teatro italiani più interessanti di oggi, Corrado d’Elia, parla di “teatro del sogno” che non si limiti alla mera imitazione (la mimesis dei greci) ma che accolga l’irreale, l’onirico, la mancanza di qualcosa.

Lo spettatore deve immergersi nel teatro riscoprendo quello che piano piano si è dimenticato, o che il nostro tempo cerca di fargli dimenticare, prima di tutto l’emozione, il ricordo, il sentire. Senza la creazione di quello che non esiste, la ricerca della rivelazione dell’inesprimibile, non potremmo definire il teatro, la creazione e la bellezza (da un incontro su Bellezza e Teatro tenuto in Università Cattolica – Educatt, Milano, 30 marzo 2017). 

Continua D’Elia affermando che è “ciò che manca che accende il teatro”, come mancano quasi sempre nelle sue rappresentazioni teatrali degli oggetti concreti; analogamente Leopardi ci insegna a sognare oltre la siepe, perché “è dalla mancanza che nasce l’immaginazione. È dall’immaginazione che nasce l’arte”.

A questo punto, si scopre che la bellezza del teatro è legata, come nella poesia, nella musica o nell’architettura, alla ricerca di forme sempre nuove, di espressioni che incorporino o incarnino l’idea e l’esperienza stessa del bello. Ma con una differenza: nel teatro tutto si gioca nella performance, nel rapporto diretto e immediato tra attore e spettatore, in una contemporaneità irripetibile di esperienza che è aperta a ogni alea, come quella di una recitazione carente o erronea: essa sembra effimera ma in realtà trasmette, se il teatro è davvero tale, sentimenti e pensieri duraturi.  

C’è poi un ulteriore aspetto da considerare, senza aver certo la pretesa di esaurire qui un tema straordinario e ricchissimo come quello del teatro. Si tratta del rapporto tra un componimento poetico e la sua realizzazione drammaturgica, quando le parole scritte in un’opera e gustate in silenzio dal lettore di un libro diventano parole pronunciate e anzi recitate da una persona in carne e ossa che le interpreta in un certo modo, da un attore. Ho presente qui il teatro-poesia contemporaneo di Mario Luzi, come tra l’altro in Libro di Ipazia (M. Luzi, Teatro, Garzanti, Milano 1993) o nel testo sulla Passione che venne messo in scena nella Via Crucis al Colosseo in occasione della Pasqua del 1999 (M. Luzi, La Passione, Garzanti, Milano 1999). Si tratta di un passaggio essenziale: i versi di un poeta vengono per così dire oggettivati in una recitazione e in un impianto registico, in una scenografia che si avvale delle diverse strumentazioni teatrali, in particolare di luci e musiche. Anche in questo il teatro presenta una propria specifica creatività: alla dimensione artistica dell’autore di un testo si aggiunge, si aggrega e s’incorpora l’interpretazione anch’essa artistica offerta dal regista e dagli attori. 

Le parole silenziose di un testo diventano così parole parlate, udibili, comunicabili e comunicate a un pubblico che le ascolta e le accoglie in silenzio, nel quadro di una rappresentazione teatrale.