Parola a rischio

L’uomo sul potere o il potere sull'uomo? Si può edificare se stessi e il mondo pacifico e pacificato solo se liberi da egoismi e ingordigia, da denaro e potere.

 

L’uomo ha potere sulle cose, ma non ancora potere sul proprio potere”. È la lettura lucida e sempre più attuale di Romano Guardini. Siamo riusciti a superare tanti e tanti confini che sembravano invalicabili, nella scienza e nella tecnica.

Eppure, come siamo in ritardo in umanità! Dell’uomo, cioè della sua grandezza creaturale, restano soltanto dei ruderi di coscienza. Perché egli si adopera a liberarsi da molte realtà-limite, ma non trova piena libertà da se stesso, dalle proprie recondite brame. A tal proposito, ricordo una sottolineatura molto profonda nel dialogo con un monaco del Monte Athos, incontrato su un eremo nella Locride: “L’uomo può edificare veramente se stesso, solo quando distrugge il suo egoismo. Quando invece costruisce sull’egoismo, è allora che distrugge se stesso!”.  Come non fare nostra questa esortazione! 

Barnaba

Sono parole che ci permettono di cogliere il senso della nostra storia e ancor più di dilatare lo sguardo verso cime di mondo nuovo, dove ci si inerpica su sentieri faticosi, ma non impossibili. Faticosi come salire sul Matese, nel cuore del Molise. Non per edificare di nuovo la torre della Babele, ma scalando il monte della Verità, dal quale si affaccia la Giustizia e sorge la Salvezza. 

Proprio in un contesto come il nostro è necessario riprendere in mano anche le indicazioni concrete presenti in un documento assai prezioso, un po’ dimenticato, ma sempre valido per riflessioni approfondite e solide. Soprattutto in questo mese, che ci regalerà il tempo propizio della Quaresima. Si tratta della Lettera di Barnaba, testo del secondo secolo, che pare scritto oggi, per noi. Vi leggiamo: “La via delle tenebre è tortuosa e piena di maledizioni. È la via della morte eterna nel castigo, in cui si hanno le cose che rovinano l’anima: idolatria, arroganza, superbia di potere, ipocrisia, doppiezza di cuore, adulterio, omicidio, rapina, disprezzo, trasgressione, inganno, malizia, alterigia, veneficio, magia, avarizia, mancanza di timore di Dio. Coloro che vessano i buoni, odiano la verità, amano la menzogna, non riconoscono il guadagno della giustizia, non aderiscono al bene né al giudizio giusto, non si curano della vedova e dell’orfano, non vegliano per il timore di Dio, ma per il male, e da essi sono assai lontano la mansuetudine e la pazienza, amano la vanità e si procacciano la ricompensa. Sono crudeli verso il povero, indolenti verso il sofferente, facili alla maldicenza, ingrati verso il loro creatore, uccisori dei figli, distruttori del plasma creato da Dio, incuranti del bisogno, oppressori del tribolato, avvocati dei ricchi, giudici cattivi dei poveri, peccatori in tutto”. 

Ciascuno di noi si interroghi davanti a questa pagina, per un serio esame di coscienza, personale e sociale. Infatti, l’abuso del buio ha per l’uomo d’oggi un prezzo più alto da pagare che la stessa indifferenza verso la luce! 

Sì e no

Cosa c’è di più personale delle proprie scelte? Tutto gravita attorno ai nostri ‘si’ e ai nostri ‘no’. Essi sono sempre in lotta. Dentro e fuori di noi. E si mostrano a volte come consenso alla vita e disprezzo della morte. Altre volte, purtroppo, nella forma capovolta. Ed è lì che avviene ciò che non dovrebbe mai avvenire: che tradiamo la nostra grandezza per la bassezza, la nostra dignità per le ingiustizie, che al bene collettivo e alla destinazione universale dei beni (EG 181) si preferisce, come afferma il Papa, la dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano (EG 55), di un’economia dell’esclusione (EG 53) che genera il veleno di una globalizzazione dell’indifferenza (EG 54). 

Mi appaiono in questo contesto ancora più preziosi i quattro verbi che il Papa ci pone in agenda nel suo messaggio sulla Pace. Che abbiamo meditato uno a uno, nella Marcia della Pace, a Sotto il Monte, paese di papa Giovanni, grati a tante testimonianze e riflessioni. Ma soprattutto ammirati della forza mirabile di mons. Bettazzi, che con noi viveva la sua cinquantesima marcia. Con voce chiara e humour perenne ci ha subito riscaldato il cuore. 

Quella marcia, tratta dal messaggio incisivo di papa Francesco, sarà di chiarezza anche per le prossime elezioni, visto che la campagna elettorale ruoterà sempre più ferocemente attorno al tema dei migranti. Li ridisegno, volentieri, quei quattro verbi, a rischio di ripetizioni; ma lo faccio alla luce delle testimonianze ascoltate nella Marcia della Pace.

Accogliere: cioè aprire il cuore e le città, con corridoi umanitari innovativi e sicuri. Certo, con quella saggia armonia tra il rispetto della sicurezza nazionale e la tutela dei diritti fondamentali. Non più migranti ammassati in alberghi dal facile sapore speculativo, ma in numero ristretto e ben distribuiti nei nostri piccoli paesi. 

Proteggere: perché “il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova” (cfr. Sal 145). La loro dignità protetta diventerà difesa anche della dignità dei nostri giovani nei luoghi di lavoro. In una catena ininterrotta di solidarietà, sociale e giuridica.

Promuovere: è il compito affidato alla scuola e all’università. In questi luoghi di formazione si può insegnare la storia con occhi nuovi, far capire che in passato chi ha accolto è cresciuto. Che un’economia integrata regge, come una città difesa da solide mura antiche.

Integrare: riconoscere finalmente lo ius soli. Non è una concessione, è un diritto nativo, individuato già nel 1963 dalla Pacem in terris di papa Giovanni XXIII. 

Allora l’impegno per la pace sarà capace finalmente di mettere al bando le insidiosissime mine antipersona. Così non sarà più accolta una fabbrica di armi, nemmeno nei luoghi, come la Sardegna, dove regna la disoccupazione. Anzi, quella fabbrica, che vent’anni fa era stata malamente sopportata, oggi sarebbe subito rifiutata. Segno di un notevole cambiamento di coscienza civica. 

Non abbiamo bisogno di un altro senso, se non di quello che viene dalle mani aperte di chi semina germogli di pace, di servizio, di bene, di coscienza illuminata. No, non abbiamo altro bisogno che di sentinelle attente a quel futuro che, con passo velato e deciso, sta già arrivando. Perché così già coinvolge e chiama a misurarci con l’urgenza della liberazione dal male. Da ogni forma di male! Capaci perciò anche di avere potere sul proprio potere! Volerlo, impegnarci a realizzare questo proposito, è l’inizio dell’esperienza più importante: l’essere l’uno per l’altro.

 

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Parola a rischio, nel corso 2018, sarà dedicata all’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium. Mese dopo mese, alcuni vescovi ci offriranno brevi percorsi di lettura guidata e di riflessione, a partire da alcune parole del documento di papa Francesco. Ringraziamo sin da ora tutti gli autori che si susseguiranno, in una bella staffetta per la pace. (La redazione)

 

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No alla nuova idolatria  del denaro

Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che, alla sua origine, vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano a uno solo dei suoi bisogni: il consumo. (Evangelii Gaudium, 55)

 


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