Editoriale

Dalle strade multicolore di una politica di base alla politica con una matita in mano, come diceva Giovanni Falcone. Dai luoghi di una politica fatta di campagne in difesa dei beni comuni, di raccolta firme per leggi di iniziativa popolare, di incontri perché si fermino le bombe nucleari, oggi siamo chiamati a scegliere in un’urna elettorale.

E ci sentiamo arrabbiati e tristi nel vedere la politica – impegno “generoso e trasparente per il bene comune” (don Tonino Bello) – ridotta a siparietto, priva di spessore, zeppa di contraddizioni e di vuoti, oltre che di voti come quello, solo per citare alcuni esempi, che ha bocciato la legge sullo ius soli o che ha approvato la missione in Niger (e certo lunga sarebbe la litania che si potrebbe recitare). Ma, accanto ad altri compagni di strada, crediamo che il prossimo appuntamento elettorale sia “occasione per capire un assetto sociale, quello dato e quello che contrassegnerà o dominerà la vita delle persone per il prossimo quinquennio e per il tempo avvenire” (cfr. articolo di Gugliemo Ragozzino, Sbilanciamo le elezioni, 25 gennaio 2018, ndr). 

Non vogliamo lasciare vuoto il nostro posto, perché il voto è uno strumento importante nelle nostre mani, nonostante tutto.

Il momento storico che attraversiamo è particolarmente complesso, a livello nazionale e internazionale. Una trasformazione epocale ha cambiato le regole del gioco. L’autonomia statuale è limitata da accordi commerciali transnazionali, i diritti delle persone passano in secondo piano in favore di dubbie politiche in cui la redistribuzione pare un concetto antico. La finanza regna sovrana e l’economia, quella liberista, detta le regole, lontano da quel bene comune che invece orienta il nostro agire. L’82% dell’incremento della ricchezza globale del 2017 è nelle mani dell1% della popolazione, registra l’ultimo rapporto Oxfam. 

D’altro canto siamo in piena “partita europea”. Questo nostro voto italiano precede quello europeo cui saremo chiamati nel 2019. E l’Europa avocherà sempre più a sé la regolamentazione di alcuni ambiti della vita comune, anche abdicando le singole autonomie statuali. Si pensi, ad esempio, alla questione migratoria: come prescindere da una visione e una politica europea sulle migrazioni, che vorremmo capace di accoglienza e di riconoscimento di alcuni diritti basilari? 

Dovremmo assumere questo sguardo, oltre i confini di casa nostra, nel prossimo appuntamento elettorale. Anche se le questioni nostrane certo non mancano. A partire dalle regole del gioco: il sistema elettorale, lo scollamento spesso esistente tra i candidati e il proprio territorio, il tradimento della volontà popolare, come nel caso del referendum sull'acqua pubblica, e più in generale la mancanza di chiarezza e trasparenza che sempre di più tendono a fare della politica una mera gestione del potere. Il proprio.

Vorremmo un cambio di rotta.

Sul disarmo, innanzitutto. Incompatibile con le nostre esportazioni di armi ai Paesi Sauditi, in guerra o in cui si ledono diritti umani, con il programma degli F35, troppo oneroso persino per la Corte dei Conti, con la mancata firma dell’Italia al Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari, adottato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017…. 

Su beni pubblici, sanità, ricerca, innovazione. Sulla scuola, quella buona veramente, costruita con maggiori risorse e attenzione per tutti, a partire da chi è più svantaggiato. 

Sul lavoro. Stabile e tutelato. Per il quale valga la pena studiare e, perché no, restare in Italia. Capace di restare fondamento della nostra Repubblica. E al termine del quale sia possibile andare in pensione. 

Non è nostro intento redigere un elenco esaustivo dei punti di programma necessari. Anzi, abbiamo discusso a lungo al nostro interno se si possa ancora chiedere qualcosa – e cosa – a questa politica. Quel che è certo, e che non cessa di accomunarci, è che non abbiamo alcuna intenzione di rassegnarci a una politica che non torni ad essere dialogo e rappresentazione collettiva e a una democrazia che non sia ponte tra candidati ed elettori.

Forse val la pena chiedere al nuovo Parlamento di ridarci quella democrazia, oramai sgretolata, e quei diritti, negati perlopiù, che ci spettano. E val la pena chiederlo oggi a chi si candida per governarci. 


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