
La società civile italiana e il riconoscimento dello Stato palestinese.
Atti della Giornata Onu 2017 per i diritti del popolo palestinese.
A cura di Norberto Julini e Rosa Siciliano
L’occupazione israeliana di territori, risorse e diritti in Palestina avanza.
La narrazione storica mura e distorce la verità. Gli Stati Uniti mostrano appoggio incondizionato alle politiche israeliane.
Eppure la Palestina esiste. È necessario riposizionare la causa palestinese nel più ampio spettro delle lotte per la giustizia e la liberazione.
Dall’OLP in poi, che resistenza esiste e come ricompattare un movimento dal basso forte e autorevole, anche transnazionale?
Clicca qui per acquistare questo numero in formato PDF
- Dettagli
- Scritto da Norberto Julini
- Categoria: Dossier - Febbraio 2018 - La Palestina esiste e resiste
- Qualifica Autore: Consigliere nazionale Pax Christi, presidente dell’associazione “Nova Jerusalem”
Dalla Giornata Onu per i Diritti del Popolo Palestinese dello scorso 9 dicembre, un dossier per raccontare, per capire, per riflettere su cosa è accaduto in Palestina dal 1947 a oggi. Che soluzioni si prospettano?
Il 29 novembre del 1947, l’Assemblea Generale adottava la risoluzione 181 nella quale si stabiliva la costituzione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo nel territorio della Palestina mandataria, dando alla città di Gerusalemme lo status di “corpus separatum” sottoposto a regime speciale internazionale. Settant’ anni dopo, solo uno dei due Stati previsti dalla Risoluzione ha visto la luce, mentre il popolo palestinese vive in Cisgiordania (2,5 milioni), a Gaza (2 milioni), territori palestinesi occupati da Israele a partire dal 6 giugno 1967, o a Gaza assediata (2 milioni), o in Israele (1,5 milioni) con cittadinanza discriminata, o in 29 campi profughi ospitati dai Paesi arabi confinanti, dove il loro numero supera ormai i 5 milioni di persone, permanentemente sostenuti dall’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA) e quindi a carico della Comunità internazionale.
- Dettagli
- Scritto da Mjriam Abu Samra
- Categoria: Dossier - Febbraio 2018 - La Palestina esiste e resiste
- Qualifica Autore: ricercatrice e analista palestinese
Dalla firma degli Accordi di Oslo, il movimento di resistenza nazionale è precipitato in una paralisi generalizzata. Perché quegli Accordi hanno ribaltato lo spirito originario della politica palestinese?
Oslo è stato spesso definito come uno spartiacque della storia palestinese. Ci si riferisce comunemente ad esso come il punto di rottura nella politica palestinese, che segna l’inizio del declino del movimento di resistenza e la fine dell’“epoca d’oro” dei successi rivoluzionari. Il dibattito su come superare le tragiche condizioni create dagli Accordi di Oslo si è spesso focalizzato sulle trasformazioni che ha generato, ponendo un’attenzione solo secondaria alle dinamiche e alle traiettorie che hanno condotto al “fallimento di Oslo”. Durante gli eventi della Nakba (la catastrofe palestinese del 1948, ndt) il movimento di resistenza palestinese aveva concepito e articolato la sua lotta incentrandola sul tema della giustizia, in pieno spirito anti-coloniale, nel quale la liberazione della Palestina storica dalla colonizzazione sionista e il ritorno del popolo indigeno erano intesi come obiettivi fortemente interconnessi. La liberazione completa e il ritorno erano due facce della stessa medaglia, impossibili da scindere. Durante gli anni Cinquanta e Sessanta gli studenti palestinesi, insieme ad altre componenti della società civile, crearono gruppi popolari di guerriglia, organizzazioni, partiti e sindacati per portare avanti i principi di giustizia, liberazione e “diritto al ritorno” per l’intera nazione.
- Dettagli
- Scritto da Filippo Landi
- Categoria: Dossier - Febbraio 2018 - La Palestina esiste e resiste
- Qualifica Autore: Giornalista Rai, già corrispondente a Gerusalemme
Il Medio Oriente infuocato e la Palestina nel difficile contesto internazionale. L’intelligence, i tentativi di dialogo e le politiche italiane.
Gli italiani in Medio Oriente per anni hanno avuto il volto degli operai andati, nella seconda metà dell’Ottocento, a scavare il Canale di Suez in Egitto. A qualche centinaia di chilometri, sulla costa libica del Mediterraneo, contigua a quella egiziana, avevano il volto dei soldati italiani andati a costruire la prima colonia italiana in Africa. Se in Egitto avevano l’aspetto di chi fatica per guadagnare il pane per sé e per la propria famiglia, diversamente andarono gli avvenimenti sulle coste e nel deserto libico. Qui i nostri generali guidarono una feroce repressione che raggiunse il culmine negli anni Trenta, nel periodo fascista, con migliaia di libici rinchiusi nei campi di internamento e altrettanti fucilati o morti di stenti in prigionia. Svanisce, con questi morti e con quelli che, poi, seguirono in Etiopia e in Eritrea, la favola degli italiani, colonialisti ma brava gente, che irrigavano il deserto e costruivano strade.
- Dettagli
- Scritto da Jamil Hilal
- Categoria: Dossier - Febbraio 2018 - La Palestina esiste e resiste
- Qualifica Autore: Sociologo alla Birzeit University e ricercatore presso l’Istituto palestinese per lo studio della democrazia (Muwatin) a Ramallah
Cosa è oggi la questione palestinese?
Quali elementi la caratterizzano e cosa si può fare?
Credo che siano centrali, in tutto il dibattito sulla questione palestinese, due interrogativi. Come viene descritta la questione palestinese? Data la condizione di frammentazione palestinese, apolidia, espropriazione e discriminazione, cosa si può fare?
Definizione
Negli ultimi tre decenni, abbiamo assistito a un sistematico processo di distorsione della storia, della demografia, della geografia, della cultura palestinese e della lotta per l’autodeterminazione. Questo logoramento della narrazione palestinese parte dall’evoluzione dello scenario che vede al centro, innanzitutto, la riduzione della Palestina alle aree della Cisgiordania e della Striscia di Gaza (WBG): il 22% della Palestina storica. Il termine “Territorio occupato palestinese” ha finito per significare tale zona (che definiremo WBG); il resto della Palestina, occupata dal 1948, non appare più, sulle mappe e nei dibattiti che si sollevano, come Palestina ma come Israele. La geografia della Palestina è stata alterata in modo tale da costringere i palestinesi stessi a sentirsi estranei ad essa. Non solo è stato cambiato il paesaggio, ma anche i nomi palestinesi dei luoghi, ad esempio, sono stati sostituiti con termini ebraici. Sono evidenti i tentativi sistematici di espellere i palestinesi dalla storia. In secondo luogo, la storia del popolo palestinese come indigeno della Palestina viene travisata o ignorata. Dato che la Palestina è ridotta al WBG, il problema palestinese è limitato a quello dell’occupazione israeliana del WBG nel 1967. La storia palestinese prima del 1967 e del 1948 (ciò che noi palestinesi chiamiamo Nakba), è generalmente trascurata e con essa la lotta per l’autodeterminazione e per l’indipendenza.
- Dettagli
- Scritto da Violette Khoury
- Categoria: Dossier - Febbraio 2018 - La Palestina esiste e resiste
- Qualifica Autore: Presidente dell’associazione Nasijona-Nazareth
La testimonianza di una donna araba israeliana.
Togliere terre non vuol dire cancellare un popolo.
Il valore della memoria.
“Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Queste parole del Nazareno mi hanno sempre affascinata e lasciata perplessa. Io sono nazarena, cristiana, cattolica, palestinese, araba e israeliana. La vita mi sembrava un bel sogno pur quando cercavo di sopravvivere in mezzo all’ingiustizia. Perché tutta questa mia esitazione? Perché sono turbata io che sono nata a Nazareth e continuo a vivere nella mia amata città? Sono nata in Palestina durante la Seconda Guerra Mondiale, lì risalgono i miei primi ricordi – tra la fine della guerra e l’inizio di una guerra in Palestina, la “Nakba”, e la nascita di Israele. Un cammino lungo e sofferto, fatto di sradicamento, di negazione, di pulizia etnica. Un cammino di oppressione e ingiustizie. Sono diventata una cittadina di seconda categoria circondata da profughi e separata dai miei cari membri di famiglia. Sono straniera nella mia stessa terra. Tra le guerre ho trascorso la mia infanzia, la mia giovinezza e la mia età adulta. Eppure, volevo semplicemente godere della vita, della pace, dei diritti umani. Volevo vivere in armonia e non difendermi contro discriminazione e ingiustizie. Desideravo comunicare con i miei familiari, con gli amici, profughi anch’essi. Eppure sono fuori dalla mia terra con una persecuzione continua.
Mosaico di pace, rivista promossa da Pax Christi Italia e fondata da don Tonino Bello, si mantiene in vita solo grazie agli abbonamenti e alle donazioni.
Se non sei abbonato, ti invitiamo a valutare una delle nostre proposte:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/abbonamenti
e, in ogni caso, ogni piccola donazione è un respiro in più per il nostro lavoro:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/altri-acquisti-e-donazioni