Qualifica Autore: Presidente dell’associazione Nasijona-Nazareth

La testimonianza di una donna araba israeliana.
Togliere terre non vuol dire cancellare un popolo.
Il valore della memoria.

 

Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Queste parole del Nazareno mi hanno sempre affascinata e lasciata perplessa. Io sono nazarena, cristiana, cattolica, palestinese, araba e israeliana. La vita mi sembrava un bel sogno pur quando cercavo di sopravvivere in mezzo all’ingiustizia. Perché tutta questa mia esitazione? Perché sono turbata io che sono nata a Nazareth e continuo a vivere nella mia amata città? Sono nata in Palestina durante la Seconda Guerra Mondiale, lì risalgono i miei primi ricordi – tra la fine della guerra e l’inizio di una guerra in Palestina, la “Nakba”, e la nascita di Israele. Un cammino lungo e sofferto, fatto di sradicamento, di negazione, di pulizia etnica. Un cammino di oppressione e ingiustizie. Sono diventata una cittadina di seconda categoria circondata da profughi e separata dai miei cari membri di famiglia. Sono straniera nella mia stessa terra. Tra le guerre ho trascorso la mia infanzia, la mia giovinezza e la mia età adulta. Eppure, volevo semplicemente godere della vita, della pace, dei diritti umani. Volevo vivere in armonia e non difendermi contro discriminazione e ingiustizie. Desideravo comunicare con i miei familiari, con gli amici, profughi anch’essi. Eppure sono fuori dalla mia terra con una persecuzione continua. 

Io, come ogni palestinese, ho un sogno: il sogno della giustizia e della pace.

È un sogno comune a tutti i palestinesi, nei campi di profughi come in Cisgiordania, a Gaza come a Gerusalemme, in Israele come altrove. Eppure, non possiamo perdere la speranza!

Quando parlo di speranza, mi riferisco a una dimensione umana, che si fonda sulla memoria storica, sulla conservazione della propria struttura sociale. L’ingiustizia non è inflitta e perpetrata solo nella sfera dei diritti politici ma anche in quella personale e privata, negando la storia e l’esistenza stessa.

È essenziale per un popolo mantenere una coscienza viva, una consapevolezza chiara, una memoria, un legame comune, una visione lucida, una pace di spirito e una coesione. Tutto ciò costruisce una società sana. Non abbiamo altra scelta possibile se non l’impegno per la giustizia e la pace. Senza nessun privilegiato, nessun diseredato. Nessuna divisione, né dominio. Ma prima di parlare di dialogo, dobbiamo abbattere ogni muro di separazione invisibile, un lavoro essenziale che deve partire dalla base civile e sociale!

A Nazareth, questo cammino di dialogo quotidiano e di lavoro per la pace e ricostruzione della memoria storica si sta realizzando nel Centro dell’associazione “Nasijona-Nazareth”. Un progetto che mira a favorire la rinascita del patrimonio artigianale tradizionale palestinese e a promuovere la cultura e l’arte come veicolo di armonia e pace. Il progetto è nato tre anni fa, ad opera della comunità palestinese israeliana. 

Davanti all’intimidazione della repressione dell’identità palestinese e al pericolo di diventare nemici per il solo fatto di appartenere a etnie e religioni diverse, dinanzi al lavoro quotidiano di logoramento della memoria storica, noi resistiamo lavorando. Promuoviamo l’artigianato palestinese che risale a secoli fa: un lavoro di pizzo fine e preciso che appartiene al passato. Salvare la tradizione, tramandare le abilità e le arti artigianali alle nuove generazione è un modo di restituire l’identità perduta. La tradizione ci accomuna e ci ricorda che siamo tutti fratelli e sorelle, pur se di religioni e denominazioni diverse, condizioni socio-economiche differenti, educazione diversa. Insieme componiamo un mosaico armonico di umanità. 

Centinaia di persone frequentano il centro per la formazione o per la produzione di manufatti artigianali o collaborano con eventi sociali o culturali. Una luce in mezzo al buio!

 

Una versione più lunga dell’articolo è pubblicata nel sito di Mosaico di pace, nella sezione “mosaiconline”.


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