Qualifica Autore: Sociologo alla Birzeit University e ricercatore presso l’Istituto palestinese per lo studio della democrazia (Muwatin) a Ramallah

Cosa è oggi la questione palestinese?
Quali elementi la caratterizzano e cosa si può fare?

 

Credo che siano centrali, in tutto il dibattito sulla questione palestinese, due interrogativi. Come viene descritta la questione palestinese? Data la condizione di frammentazione palestinese, apolidia, espropriazione e discriminazione, cosa si può fare?

Definizione 

Negli ultimi tre decenni, abbiamo assistito a un sistematico processo di distorsione della storia, della demografia, della geografia, della cultura palestinese e della lotta per l’autodeterminazione. Questo logoramento della narrazione palestinese parte dall’evoluzione dello scenario che vede al centro, innanzitutto, la riduzione della Palestina alle aree della Cisgiordania e della Striscia di Gaza (WBG): il 22% della Palestina storica. Il termine “Territorio occupato palestinese” ha finito per significare tale zona (che definiremo WBG); il resto della Palestina, occupata dal 1948, non appare più, sulle mappe e nei dibattiti che si sollevano, come Palestina ma come Israele. La geografia della Palestina è stata alterata in modo tale da costringere i palestinesi stessi a sentirsi estranei ad essa. Non solo è stato cambiato il paesaggio, ma anche i nomi palestinesi dei luoghi, ad esempio, sono stati sostituiti con termini ebraici. Sono evidenti i tentativi sistematici di espellere i palestinesi dalla storia. In secondo luogo, la storia del popolo palestinese come indigeno della Palestina viene travisata o ignorata. Dato che la Palestina è ridotta al WBG, il problema palestinese è limitato a quello dell’occupazione israeliana del WBG nel 1967. La storia palestinese prima del 1967 e del 1948 (ciò che noi palestinesi chiamiamo Nakba), è generalmente trascurata e con essa la lotta per l’autodeterminazione e per l’indipendenza.

Un popolo

Gran parte della politica israeliana non considera i palestinesi come un popolo, con una storia, una cultura e un’identità legata al diritto all’autodeterminazione. Il conflitto israelo-palestinese è uno scontro tra uno Stato coloniale e gli abitanti colonizzati, occupati, espropriati e oppressi della Palestina.

I palestinesi sono ridotti a coloro che vivono nel WBG (sotto il controllo israeliano). I palestinesi in tale area costituiscono, però, meno del 39% del totale. La maggior parte di essi è costituita da rifugiati, che Israele non riconosce come titolari di diritti in alcun modo.

Inoltre, l’attuale contesto politico dominante presenta Israele come uno Stato democratico e raramente come una nazione colonialista che sta reprimendo il popolo palestinese. Israele è una etnocrazia di destra e uno Stato che discrimina i suoi cittadini di origine palestinesi, imponendo loro un regime di apartheid

Le comunità palestinesi del WBG sono circondate da insediamenti (colonie), da circonvallazioni, dal muro della segregazione, dall’Area C (il 62% della Cisgiordania completamente sotto il controllo israeliano) e dai posti di blocco. Ci sono tra 700 e 800 mila coloni in Cisgiordania e Gerusalemme Est (uno su quattro è un colono israeliano in WBG).

Occupazione indebita

Arresti arbitrari, punizioni collettive, demolizioni delle case delle famiglie di coloro che resistono all’occupazione sono fenomeni diffusi. La vita a Gaza è insostenibile a causa del blocco imposto dal 2007; alcuni considerano l’assedio su Gaza un processo di lento genocidio; i palestinesi a Gerusalemme Est sono sottoposti a una vera pulizia etnica. 

Nella Palestina storica, ci sono ora circa 6 milioni di ebrei israeliani e 6 milioni di palestinesi. La richiesta di Israele ai palestinesi di essere riconosciuto come uno Stato ebraico equivale a chieder loro di rinnegare la propria storia, di sradicarsi completamente e di “celebrare” la propria espropriazione, la reclusione nei ghetti e la disumanizzazione. Come è possibile tutto questo? 

Si è diffuso il mito secondo cui “lo sviluppo sostenibile” è possibile sotto il dominio coloniale israeliano. Come è pensabile che uno “sviluppo sostenibile” sia realizzabile nel WBG, sotto la dominazione di coloni e con un programma neoliberale? Vale la pena ricordare che l’Autorità Palestinese non ha alcun controllo sulle risorse naturali, sui valichi di frontiera, sul commercio estero e sulla libera circolazione di beni o individui né all’interno della WBG né all’esterno. 

Un secondo mito che, per un breve periodo ha guadagnato consensi, sosteneva che lo Stato palestinese potesse essere riconosciuto una volta che le istituzioni palestinesi sotto occupazione fossero divenute efficienti e trasparenti: questo principio è stato promosso dall’UE e adottato dall’ex primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad. Si trattava di far passare il principio che i palestinesi sappiano dimostrarsi degni di “essere” Stato. Eppure, lo Stato palestinese non si è mai materializzato, nonostante la Banca Mondiale e il FMI abbiano dichiarato che le istituzioni palestinesi fossero degne, appunto, di uno Stato. Israele non avrebbe mai accettato uno Stato palestinese indipendente in alcun territorio! E gli Stati Uniti non avrebbero mai sostenuto una soluzione del conflitto non approvata da Israele.

Cosa si può fare?

È sempre più evidente che l’accordo di Oslo sia fallito, che la soluzione dei due Stati non sembri più fattibile e che la colonizzazione continui senza sosta e con essa la repressione collettiva e la discriminazione. Il numero di coloni sta aumentando. Gli insediamenti (colonie) sono collocati in posizioni strategiche (sulle cime delle colline che dominano i villaggi, le città e i campi palestinesi). I coloni sono normalmente armati, addestrati, protetti e ricevono un trattamento privilegiato. 

È anche divenuto chiaro che una soluzione al conflitto israelo-palestinese non può essere raggiunta attraverso negoziati bilaterali (con la sponsorizzazione degli Stati Uniti!). La formula di Oslo è stata una ricetta per prevenire l’autodeterminazione palestinese, per giustificare la continua colonizzazione israeliana e per garantire a Israele il controllo di tutte le questioni e di tutti gli aspetti della vita palestinese in WBG.

Dunque, cosa si può fare? Il primo compito che i palestinesi hanno è quello di salvaguardare, abbracciare e arricchire la prova storica che essi sono una popolazione autoctona della Palestina, privata dei suoi diritti fondamentali. Va, poi, affrontata la questione della rappresentanza nazionale. Dobbiamo ricostruire le istituzioni dell’OLP su base democratica e rappresentativa. L’OLP ricostruito deciderà la forma e le funzioni dell’Autorità Palestinese e la strategia nazionale palestinese.

Qualsiasi negoziato futuro deve essere svolto sotto l’egida internazionale neutrale, rifiutando la gestione esclusiva degli Stati Uniti dimostratisi non affidabili né imparziali. I negoziati dovrebbero essere basati su tutte le risoluzioni ONU pertinenti (comprese le 181 e 194). 

I palestinesi devono impegnarsi in un serio lavoro di difesa delle proprie origini, soprattutto tra le nuove generazioni, con l’aiuto di ogni minoranza e dei movimenti sociali. Invece, di fatto, anche l’UE oggi è diventata un esecutore dello “status quo” creato dagli Accordi di Oslo, piuttosto che protagonista di un cambiamento che potrebbe portare Israele a cambiare le sue politiche nei confronti dei palestinesi.

Gli ebrei israeliani devono rendersi conto che una società che opprime un’altra non può essere libera né democratica. Lo status quo deve mutare e probabilmente non potrà accadere senza pressione internazionale.

Oggi, sia in Palestina sia nelle attività culturali della diaspora, con la musica, il teatro, la cultura, si sta ricolmando gran parte del vuoto politico creato da Oslo. La cultura è il mezzo con cui le giovani generazioni esprimono il loro impegno nei confronti della Palestina.

Per una risoluzione storica del conflitto, Israele deve abbandonare il sionismo, il razzismo, il fondamentalismo e la xenofobia. È necessario riconoscere l’ingiustizia storica che ha inflitto e sta infliggendo ai palestinesi e accettare il diritto dei palestinesi a vivere liberamente e inuguaglianza nella loro patria. D’altro canto, i palestinesi dovrebbero esser pronti a condividere la Palestina con gli ebrei israeliani e a convivere con loro in uno Stato democratico. Questo è un sogno, ma nessun’altra visione sarebbe basata sulla giustizia.

 

Traduzione a cura di Alessandro Riggi