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Qual è oggi l’ordine delle cose? Si può cambiare? Intervista al regista Andrea Segre.

 

Andrea Segre, il film ha preannunciato qualcosa che è già accaduto. Cosa è tutto questo sommerso che non conosciamo o che ci viene nascosto, che non vogliamo vedere e che ci riveli con la tua opera?

È semplicemente quello che accade dall’altra parte del confine. Noi ci occupiamo da troppo tempo di quello che succede solo nel punto di contatto dei flussi di immigrazione. Cioè, ci occupiamo di Lampedusa, di Ventimiglia, dei luoghi in cui le cose sembrano succedere. In realtà, le cose non accadono prima, sia nei punti di partenza, sia nei punti di transito. I governi lo sanno molto bene; la task force e tutti quelli che si occupano di immigrazione lo sanno proprio perché agiscono sulle frontiere. Per ridurre l’impatto sociale, hanno deciso di rafforzare un cuscinetto di gestione e di controllo al di là della frontiera. In questi anni, ho osservato e approfondito tutto questo. E ho potuto raccontare l’attività di Corrado, un personaggio fittizio che lavora in questo sistema di controllo sulla frontiera, laddove “succedono” anche violazioni di vite, di persone trattenute in condizioni di detenzione inaccettabili. Ma nel momento in cui ci distraiamo rispetto a quello che succede al di là della frontiera, proprio lì può accadere qualsiasi cosa. 

La Libia e tutto ciò che è stato, che è e che nel tuo film denunci con chiarezza: come lo hai “scoperto”?

Non è molto difficile. È sufficiente parlare con le persone che arrivano o che lavorano nei luoghi di accoglienza e di integrazione. Bastano 10 minuti di conversazione con un uomo o una donna che ha attraversato la frontiera, per sapere cosa accade al di là del mare. Abbiamo intervistato anche qualcuno che lavora nei luoghi di controllo e così abbiamo capito cosa accade. Ora tutto questo comincia a essere noto. Il problema, però, è la nostra capacità di reazione di fronte al crollo evidente della dignità umana. Noi, in questo momento storico, stiamo pagando qualcuno perché blocchi con violenza, senza alcun controllo democratico, qualcun altro che ci dà fastidio. Questo accade. Scandaloso, ma vero. Siamo veramente d’accordo?

Quando i numeri diventano volti: tu fai un balzo in avanti verso una pratica di tutela della dignità umana, condivisa da chi la legge la esegue e da chi la subisce. Qual è stato il percorso dal film alle altre azioni pubbliche? 

Il film nasce da quanto alcuni funzionari, coinvolti nella task force, dicevano: “Nel nostro lavoro non possiamo conoscere la storia delle persone, dobbiamo considerarli dei numeri, per gestire l’impatto psicologico. Non possiamo avere a che fare con persone, ma dobbiamo considerarli dei numeri perché altrimenti non possiamo reggere”. E noi ci siamo, invece, chiesti: cosa accade se l’incontro è tra esseri umani? E così nasce l’idea narrativa del film, che è anche una provocazione non solo cinematografica ma anche pubblica. Cosa succede se tutti noi cominciamo a confrontarci con la dimensione umana di chi, oggi, è un numero? E come facciamo se decidiamo che questa cosa ci tocca a tal punto da far modificare le nostre scelte quotidiane, il nostro stile di vita, perché la dignità di queste persone non sia schiacciata? Come possiamo fare in modo che la nostra dignità non sia calpestata? Noi viviamo una dimensione di totale passività rispetto al “dato” generalizzato che altri esseri umani possano essere detenuti, torturati, bloccati alle frontiere, perché non hanno diritti come li abbiamo noi. Io credo che sia necessario aprire un nuovo tempo, non soltanto lamentandoci, ma cercando la forza di proporre un modo nuovo perché la dignità di tutti sia al centro. Questo abbiamo lanciato con il forum “L’ordine delle cose”. 

Hai denunziato alla magistratura tutto quello che hai visto, ma sai che non basta. Così hai pensato ad altri percorsi. A quali precisamente? 

Il nostro è stato un appello libero, aperto, senza sapere a cosa di preciso porterà, senza alcuna chiamata verticistica. Si è avviato un processo di base, con un primo appuntamento a cui son giunte 500 persone da 40 città di Italia e oltre 600 che lo hanno seguito via streaming. E queste persone non sono tra quelle che hanno già forti appartenenze o motivazioni per reagire a questa “crisi” umana. C’era tantissima gente che ogni giorno si ritrova a “fare” qualcosa rispetto al fenomeno migratorio, perché si occupa di accoglienza (anche se il processo è ben più complesso e difficilmente riducibile a una semplificazione). Un mondo di gente che attua pratiche positive e che ha voglia di prendere posizione, che si è messa insieme per confrontarsi e migliorare le pratiche esistenti e per trovare il coraggio di aver voce per contrastare l’odio. Per poter, appunto, “cambiare l’ordine delle cose”. 


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