Siamo razzisti. Questo emerge dal quarto Libro Bianco sul razzismo in Italia. Un’ondata anomala di discriminazione attraversa il nostro Paese.

 

Muhammad Shazad Kan. Roberto Pantic. Sare Mamadou. Emmanuel Chidi Namdi. Mohamed Habassi. Qualcuno ricorderà sicuramente questi nomi. Per altri, saranno solo sconosciuti.

Eppure, dovremmo conoscerli, perché fanno parte della nostra storia recente: sono i nomi di sei persone che hanno perso la vita in Italia. Non sono morte per cause incidentali: sono state uccise. Il motivo? Il razzismo: sono state colpite a morte perché “straniere”, altre, diverse, non italiane. Muhammad Shazad Kan, cittadino pakistano di 28 anni, è stato picchiato a morte a Roma il 18 settembre 2014. Roberto Pantic è stato ucciso tra il 21 e 22 febbraio 2015 vicino a Bergamo, mentre stava dormendo nella sua roulotte. Sare Mamadou è stato colpito da un proiettile mentre prendeva da un campo pugliese un melone marcio, per sfamarsi. Emmanuel Chidi Namdi, richiedente asilo nigeriano di 36 anni, è stato picchiato a morte a Fermo, il 5 luglio 2016, dopo aver difeso la compagna da un insulto razzista. Mohamed Habassi nella notte tra il 9 e il 10 maggio 2016 è stato torturato e ucciso dai padroni della casa in cui viveva, in provincia di Parma.

Storie

Le loro storie sono riportate nel Quarto Libro bianco sul razzismo in Italia, pubblicato dall’associazione di promozione sociale Lunaria, che l’ha presentato il 5 ottobre scorso alla Camera dei deputati (sono seguite altre presentazioni, a Roma come altrove, ed è possibile organizzarne altre su tutto il territorio nazionale). Sono vicende terribili, esemplificative del razzismo sempre più esplicito e aggressivo che ci circonda: sui mezzi pubblici, negli uffici, a scuola, così come in televisione, sulla stampa, nel dibattito politico. Le persone che abbiamo ricordato non sono, purtroppo, le uniche vittime del rigurgito di razzismo che è sempre più evidente in Italia: purtroppo, la lista è molto più lunga; se si considerano le discriminazioni, gli insulti, le aggressioni che non hanno portato alla morte delle vittime, il numero cresce, e di molto. Sono 1483 le discriminazioni e le violenze fisiche e verbali rilevate tra il 1° gennaio 2015 e il 31 maggio 2017. I dati sono riconducibili al monitoraggio svolto da Lunaria attraverso il database liberamente consultabile al sito www.cronachediordinariorazzismo.org: un lavoro di analisi realizzato attraverso fonti giornalistiche locali e nazionali e grazie a segnalazioni dirette di vittime e testimoni. Se scorporati, questi dati mostrano un significativo aumento delle violenze dirette, siano esse verbali o fisiche: se nel 2015 le offese e gli insulti registrati erano 76, e 79 nel 2016, al 31 maggio 2017 se ne evidenziano già 41. Un dato particolarmente preoccupante riguarda le violenze fisiche: 41 nel 2015, 28 nel 2016, e già 15 al 31 maggio 2017, con un terribile aumento se si guarda alle morti. Sono per forza di cosa dati parziali che non intendono avere alcuna rilevanza statistica, ma che segnalano una tendenza, su cui è necessario riflettere. Del resto, è proprio questo l’obiettivo del Libro bianco sul razzismo: nell’era della comunicazione rapida e fugace, Lunaria si propone di fornire uno strumento di analisi sul lungo periodo, che distacchi il cervello del lettore dall’episodicità dei fatti di cronaca per donargli piuttosto una visione d’insieme. A questo proposito, le precedenti edizioni del Libro bianco parlavano chiaro circa la necessità di un’inversione di rotta, in particolare nel linguaggio mediatico e politico, la cui costruzione ha sempre più virato verso una legittimazione del contrasto tra cittadini italiani e stranieri: prima in nome di una presunta questione sicurezza, poi nella retorica della crisi economica. Oggi, il quarto Libro bianco ci parla delle conseguenze della mancata inversione, andando ad approfondire alcuni degli ambiti in cui le stesse sono più palesi, oltre che maggiormente dannose. Alle radici del rigurgito di razzismo che, soprattutto dagli inizi del 2016, è tornato ad attraversare il nostro Paese, Lunaria individua una precisa responsabilità della politica, che ha riesumato la ricetta sicuritaria, adottando politiche migratorie e sulla protezione internazionale sempre più restrittive: il decreto Orlando-Minniti, approvato lo scorso aprile, si inserisce in queste scelte, e lo stesso si può dire per i diversi accordi fatti – tanto a livello nazionale quanto europeo – con i Paesi terzi, di fatto pagati per trattenere i e le migranti sui propri territori, lontani dall’Europa (si veda il capitolo Gli accordi bilaterali con Paesi tutt’altro che “sicuri”, in Dalle politiche migranticide dell’Unione Europea alle comunità del rancore A. Rivera). L’approccio politico è quello dell’esclusione, dal territorio prima, e dai diritti poi. Di fronte alle continue stragi che stanno trasformando il Mar Mediterraneo in un terribile cimitero, la politica continua a impegnarsi per impedire gli arrivi. Per chi ce l’ha fatta, viene prevista un’accoglienza che, per la maggior parte delle volte, poggia su un sistema emergenziale, che non crea reali percorsi di inserimento nel tessuto socio-economico del Paese, ma piuttosto mantiene le persone in una condizione di assistenzialismo (si veda Italia: l’abile uso della retorica della paura nasconde norme e scelte lesive dei diritti , G. Naletto. Per un approfondimento sulla situazione romana, s’invita alla lettura del dossier redatto da Lunaria Il mondo di dentro). C’è poi una gran fetta di popolazione che non riesce a entrare nel circuito dell’accoglienza, oppure che ne fuoriesce senza uno sbocco reale e autonomo: persone alle quali non è stato dato alcuno strumento di sostegno e che, di fatto, finiscono in strada, ingrossando spesso baraccopoli, insediamenti informali, occupazioni abitative. È proprio di fronte a queste situazioni, create dall’assenza delle istituzioni ormai deresponsabilizzate, che negli anni presi in considerazione dal Libro bianco sono sorte diverse esperienze di solidarietà dal basso: espressioni di una società altra, diversa da quella delle scelte politiche e del linguaggio mediatico che spesso a queste scelte strizza l’occhio – o le cavalca in modo strumentale – e che invece fornisce risposte pratiche tanto in termini di servizi quanto di costruzione di una realtà diversa, inclusiva e attenta ai diritti (si veda La società si organizza: la solidarietà dal basso, S. Chiodo). È forse proprio per questa loro funzione che tali esperienze sono andate spesso incontro alla repressione statale: sgomberi di presidi, indagini su membri di associazioni, ostacoli al funzionamento dei lavori portati avanti da volontari e attivisti sono all’ordine del giorno (si veda Reati di solidarietà, S. Bontempelli). In questo binario, s’inseriscono gli attacchi alle Ong che portano avanti operazioni di ricerca e soccorso in mare, a fronte della totale assenza istituzionale in tal senso. Attacchi legittimati da accuse politiche infondate, cavalcate dai mass media che, senza fonti certe, hanno alimentato nell’immaginario comune l’idea di organizzazioni interessate ai propri profitti, in complicità con i trafficanti di esseri umani. Una tesi poi smontata dalle inchieste giudiziarie, che però è stata deliberatamente diffusa a mezzo stampa e all’interno del dibattito politico (si veda il capitolo ONG: il buio in fondo al tunnel, G. Naletto). 

Quale società?

I processi politici e mediatici occorsi in questi anni, e ben delineati nel quarto Libro bianco, rappresentano la base della legittimazione sociale del razzismo, che si palesa anche all’interno della società virtuale: la rete palesa questo processo. I social network in particolare mostrano il volto di una società rancorosa, che odia. Gli attacchi a chi è visto come diverso sono sempre più frequenti e aggressivi, oltre che rivendicati: la rete deresponsabilizza, e da dietro uno schermo sono in tanti a scagliarsi contro il “diverso” (si veda Fuori controllo. Quando i social media scavalcano il “muro” del razzismo, P. Andrisani). Il passaggio dal virtuale al reale ora non è più così lontano: le distanze si accorciano, e aumentano le offese lanciate in strada, le discriminazioni. Fino ad arrivare alle aggressioni vere e proprie. I casi degli ultimi giorni – quando a Roma un gruppo di giovani ha aggredito due cittadini stranieri, riducendone uno in fin di vita – sono l’ultima terribile tappa del processo che è in corso in Italia. È una spirale di malessere che sfocia in rancore, che sapientemente viene incanalato, da chi detiene il potere per farlo – il mondo politico e quello mediatico – verso chi è considerato straniero, diverso, e per questo viene inferiorizzato, sfruttato quando serve – nel processo produttivo come nella costruzione di un capro espiatorio – e poi silenziato – i cittadini stranieri non hanno voce nel dibattito politico e mediatico – per essere infine marginalizzato – tanto a livello spaziale, con le strutture di accoglienza previste perlopiù nelle periferie, quanto economico, laddove i cittadini stranieri vengono impiegati solo in specifici ruoli lavorativi, come, anche, nella fruizione dei servizi, in cui vengono spesso trattati come cittadini di serie b. La questione della riforma della cittadinanza è un buon esempio di questa spirale: sollecitata a gran voce dalla popolazione italiana fin dal 2012, al momento è ancora ferma nei palazzi istituzionali, e la politica, incapace di assumersi la responsabilità di normare il reale, rincorre le strumentalizzazioni al ribasso. Intanto, più di 1 milione di persone, nate o cresciute in Italia, di fatto già cittadini, continua a essere inascoltata, non rappresentata, emarginata (per un approfondimento, si suggerisce la lettura del dossier redatto da Lunaria Cittadinanza. Ancora ospiti, ma sono cittadini). Che tipo di società si sta costruendo in questo modo? E che tipo di cittadini? Da una parte, persone desiderose di essere considerate parte attiva e integrante di uno Stato in cui vivono da anni (o spesso da sempre) sono costantemente escluse, e dall’altra a italiani sempre più poveri si indicano gli “stranieri”, presentati come un gruppo omogeneo indifferenziato e antagonista sul mercato del lavoro come nell’accesso al welfare. Una società del genere impoverisce e danneggia tutti, non solo chi per primo la subisce – i cittadini e le cittadine straniere: è una società che esclude chi non ha una rete di sostegno personale a cui appoggiarsi, che se la prende con chi è più debole invece che sollecitare i diretti responsabili; una società frammentata e impaurita. Invertire la rotta si deve e si può: lo dimostrano le tante esperienze di solidarietà dal basso, le ONG che s’impegnano autonomamente per la ricerca e il soccorso, la sperimentazione di pratiche sicure per la fuga (ad esempio i corridoi umanitari). È necessario capire il reale, e da questo partire per fare spazio a quello che c’è di buono. Il quarto Libro bianco sul razzismo redatto da Lunaria illumina alcuni punti, e fornisce alcune chiavi di lettura per ripartire.

 

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Serena Chiodo

Responsabile dell’area Migrazioni e lotta al razzismo di Lunaria e membro del Comitato di Presidenza dell’associazione. Coordina cronachediordinariorazzismo.org, il sito di Lunaria specificamente dedicato alle migrazioni e alla lotta contro il razzismo. Ha collaborato alle edizioni del Quarto Libro bianco sul razzismo in Italia in Italia del 2011 e del 2014 e agli ultimi dossier curati da Lunaria: Cittadinanza. Ancora ospiti, ma sono cittadini, 2017; Accoglienza. La propaganda e le proteste del rifiuto, le scelte istituzionali sbagliate, 2017; Il mondo di dentro. Il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati a Roma, 2016. 


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