L’immigrazione in Italia: le rappresentazioni e i dati effettivi. Chi sono i migranti che giungono sulle nostre coste?
Il discorso pubblico ripete ogni giorno che siamo di fronte a un fenomeno migratorio gigantesco ed epocale, in tumultuoso aumento, che proverrebbe principalmente dall’Africa e dal Medio Oriente e sarebbe composto soprattutto da maschi musulmani.
I dati disponibili ci dicono, invece, che l’immigrazione in Italia, dopo anni di crescita, è sostanzialmente intorno ai 5,5 milioni di persone, che diventano 5,9 milioni tenendo conto delle stime sulle presenze irregolari. Sono arrivate per lavoro, in un primo tempo, poi per ricongiungimento familiare, con circa un milione di minori e 2,4 milioni di occupati regolari. Come se non bastasse, le statistiche dicono che l’immigrazione è prevalentemente europea, femminile e proveniente da Paesi di tradizione cristiana (cfr. tab.1, Ho trattato più ampiamente questi temi in un recente libro, di taglio divulgativo: M.Ambrosini, Migrazioni, ed. Egea, 2017).
La crisi economica sta condizionando le strategie dei migranti e, in modo particolare, i nuovi arrivi. Mentre, per circa trent’anni, il mercato ha assorbito manodopera immigrata, obbligando governi di ogni colore a varare ben sette sanatorie in 25 anni, ora il sistema economico sta comunicando il messaggio che nella fase attuale non ha bisogno di nuovi lavoratori. Persino i ricongiungimenti familiari risentono dell’avversa congiuntura economica e le stesse nascite da genitori immigrati sono leggermente calate negli ultimi due anni.
Si verifica, dunque, una perniciosa confusione tra asilo e immigrazione in generale. Arrivi molto visibili, certo drammatici ma anche drammatizzati, hanno occupato il centro della scena, offuscando le altre componenti, molto più rilevanti, di un universo complesso e sfaccettato come quello delle migrazioni. Per dare qualche termine di paragone, a fronte di 250.000 rifugiati gli immigrati titolari di partita IVA sono quasi 600.000, le persone che lavorano presso le famiglie italiane sono stimate in circa 1,6 milioni, i cittadini stranieri che hanno ottenuto la naturalizzazione hanno raggiunto nel 2016 la cifra di circa 200.000.
Per di più, gli sbarchi solo negli ultimi due anni si stanno traducendo prevalentemente in richieste di asilo in Italia: in precedenza la maggioranza passava le Alpi per chiedere protezione internazionale in altri Paesi. Nel 2014, su 170.000 sbarcati meno di 70.000 avevano richiesto protezione internazionale al nostro governo. Le loro aspirazioni si incontravano con la tradizionale politica italiana in materia: favorire i transiti verso Nord, evitando il più possibile d’impegnarsi nell’accoglienza. Ora le domande di protezione internazionale sono sensibilmente cresciute, fino alla recente svolta delle politiche governative (estate 2017): 86.722 nel 2015, 123.482 nel 2016. Da qui all’invasione c’è ancora comunque molta strada.
Oggi semmai il transito è diventato più difficile e i Paesi dell’Europa centro-settentrionale fanno pressione perché i rifugiati siano identificati e accolti nei Paesi di primo approdo, anche prelevando forzatamente le impronte digitali presso i cosiddetti hotspot. Gli accordi di redistribuzione faticosamente raggiunti nell’autunno 2015, e non con tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, di fatto non sono stati finora onorati: solo 8.200 richiedenti asilo ricollocati in altri Paesi (settembre 2017).
Anche l’idea largamente diffusa di un nesso diretto tra povertà e migrazioni è ugualmente approssimativa. Certo, le disuguaglianze tra regioni del mondo, anche confinanti, spiegano una parte delle motivazioni a partire. Anzi, si può dire che i confini sono il maggiore fattore di disuguaglianza su scala globale.
Nel complesso, però, i migranti internazionali sono una piccola frazione dell’umanità, rappresentando all’incirca il 3,3% della popolazione mondiale: in cifre, intorno ai 244 milioni su oltre 7 miliardi di esseri umani, una persona ogni 33. È una quota pressoché costante nel tempo da decenni: i numeri assoluti sono aumentati, ma è aumentata anche la popolazione mondiale, sicché il tasso è cresciuto di pochi decimi di punto percentuale.
76 milioni di migranti, pari al 31,4%, risiedono in Europa, che è anche però terra di origine di 59 milioni di emigranti. Ciò significa che le popolazioni povere del mondo hanno in realtà un accesso assai limitato alle migrazioni internazionali, e soprattutto alle migrazioni verso il Nord globale. Il temuto sviluppo demografico dell’Africa non si traduce in spostamenti massicci di popolazione verso l’Europa o altre regioni sviluppate. La mobilità dell’Africa sub-sahariana si indirizza per oltre l’80% verso altri Paesi africani.
In questo scenario, la povertà in senso assoluto ha un rapporto negativo con le migrazioni internazionali, tanto più sulle lunghe distanze. Le migrazioni sono processi selettivi, che richiedono risorse economiche, culturali e sociali: occorre denaro per partire, che le famiglie investono nella speranza di ricavarne dei ritorni sotto forma di rimesse; occorre una visione di un mondo diverso, in cui riuscire a inserirsi pur non conoscendolo; occorrono risorse caratteriali, ossia il coraggio di partire per cercare fortuna in Paesi lontani, di cui spesso non si conosce neanche la lingua, di affrontare vessazioni, discriminazioni, solitudini, imprevisti di ogni tipo; occorrono (soprattutto) risorse sociali, rappresentate specialmente da parenti e conoscenti già insediati e in grado di favorire l’insediamento dei nuovi arrivati. Come ha detto qualcuno, i poverissimi dell’Africa di norma non riescono neanche ad arrivare al capoluogo del loro distretto. Di conseguenza, la popolazione in Africa potrà anche aumentare, ma senza una sufficiente dotazione di risorse e senza una domanda di lavoro almeno implicita da parte dell’Europa, non arriverà fino alle nostre coste.
I migranti, dunque, come regola non provengono dai Paesi più poveri del mondo. Certo, gli immigrati arrivano soprattutto per migliorare le loro condizioni economiche e sociali, inseguendo l’aspirazione a una vita migliore di quella che conducevano in patria. Ma questo miglioramento è appunto comparativo, e ha come base una certa dotazione di risorse. Lo mostra con una certa evidenza uno sguardo all’elenco dei Paesi da cui provengono. Per l’Italia, la graduatoria delle provenienze vede nell’ordine: Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, Moldova. Nessuno di questi è annoverato tra i Paesi più poveri del mondo, quelli che occupano le ultime posizioni nella graduatoria basata sull’indice di sviluppo umano dell’ONU. In generale, i migranti provengono prevalentemente da Paesi collocati nelle posizioni intermedie della graduatoria. Per esempio, negli Stati Uniti provengono in maggioranza dal Messico. Per le stesse ragioni, i migranti non sono i più poveri dei loro Paesi: mediamente, sono meno poveri di chi rimane. E più vengono da lontano, più sono selezionati socialmente. Forse la conoscenza non riuscirà a cambiare gli atteggiamenti politici, ma potrà aiutare a combattere le false rappresentazioni e ad assumere decisioni migliori.
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Migrazioni
Il nuovo libro di Maurizio Ambrosini, Migrazioni, ed. EGEA 2017, spiega in modo comprensibile un fenomeno complesso e controverso come quello migratorio, ponendo in discussione molti luoghi comuni sull’argomento, sulla base di dati statistici e di ricerche. In Italia, infatti, l’immigrazione da alcuni anni è sostanzialmente stazionaria. I rifugiati e richiedenti asilo erano in tutto circa 250.000 a fine 2016, ossia il 5% circa di una popolazione immigrata stimabile in 5,5 milioni di persone. I rifugiati (oltre 65 milioni a livello globale) sono accolti per oltre l’80% in Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, e comunque fuori dell’Europa. Il Libano, ad esempio, accoglie 169 rifugiati ogni 1.000 abitanti, la Turchia circa 40, l’Italia 4.Il libro prosegue analisi e riflessioni in ambito di relazione tra migranti e povertà e tra migranti e welfare. Un libro, insomma, che non può mancare nella biblioteca di chi vive con consapevolezza il tempo presente.