Qualifica Autore: ASGI - Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione - www.asgi.it

La legge Minniti, le norme introdotte in Italia e le violazioni dei diritti della persona. Dubbi, diritti, punti oscuri.

 

La legge 13.4.2017 n. 46, meglio nota come “legge Minniti”, è intitolata “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto con l’immigrazione illegale”.

Si tratta di una norma che, approvata con voto di fiducia in sede di conversione del precedente decreto legge, introduce rilevanti modifiche non solo in relazione alla procedura per coloro che hanno richiesto la protezione internazionale, ma anche rispetto ad alcuni articoli contenuti nel T.U. Immigrazione D.Lgs. n. 286/98. Queste modifiche rappresentano purtroppo un gravissimo arretramento nella tutela dei diritti rispetto ai richiedenti asilo e non solo.

In sintesi, si evidenziano le principali novità.

• Vengono istituite, presso i Tribunali ove hanno sede le Corti di Appello, le Sezioni Specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini comunitari, composte da magistrati ai quali si richiedono specifiche competenze nelle materie loro assegnate. A tali Sezioni viene attribuita la trattazione delle controversie in tema di riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria, comprese quelle concernenti l’impugnazione dei provvedimenti della “Unità Dublino”, relative alla determinazione dello Stato che dovrà  decidere sulla domanda di protezione. Sono, inoltre, loro assegnate le controversie in materia di diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare, quelle relative all’accertamento dell’apolidia e della cittadinanza, nonché quelle concernenti il diritto al soggiorno dei cittadini dell’UE e l’impugnazione dei relativi provvedimenti di allontanamento.

L’istituzione di queste Sezioni specializzate, che operano in composizione collegiale (tre giudici) o monocratica (un solo giudice) a seconda delle diverse materie, potrebbe essere in sé positiva, ma si è persa la grande occasione di unificare in un unico giudice la materia della immigrazione: restano, infatti, escluse  materie rilevantissime come il diritto al soggiorno dei cittadini non comunitari e le espulsioni, che restano attribuite ai TAR e ai Giudici di Pace.

• Le maggiori modifiche della L.46/17 riguardano la protezione internazionale, e tra queste si segnalano le modalità delle  notifiche degli atti relativi (ad esempio, le decisioni della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale), che sono previste in forma elettronica tramite pec e devono essere effettuate dal responsabile del Centro o della struttura presso cui il richiedente è accolto, sia SPRAR sia CAS. In tal modo, il responsabile del Centro diventa ufficiale giudiziario a tutti gli effetti e provvede alla consegna del documento cartaceo all’ospite. Stante l’importanza di questo atto, si comprende immediatamente la delicatezza del compito, reso ancor più gravoso in caso di rifiuto di sottoscrizione o di irreperibilità del richiedente.

In realtà, questo sistema non è mai entrato in funzione, anche per la difficoltà d’individuazione della figura del responsabile, per cui attualmente, a seguito di una specifica circolare ministeriale della Commissione nazionale per il diritto di asilo dell’agosto 2017, è formalmente e temporaneamente sospeso.  

• La nuova legge prevede che l’audizione del richiedente avanti la Commissione Territoriale sia videoregistrato con mezzi audiovisivi e sia trascritto in lingua italiana con l’ausilio di sistemi automatici  di riconoscimento vocale. La videoregistrazione in sé può considerarsi positiva, bisogna rimarcare però che la copia della videoregistrazione non è consegnata al richiedente asilo, e sarà disponibile solo in sede di ricorso giurisdizionale e a seguito del deposito dello stesso, costituendo in tal maniera un’evidente violazione del principio del contraddittorio tra le parti. Inoltre, la videoregistrazione potrebbe porre in pericolo il richiedente in situazioni particolarmente delicate, come in relazione a vittime di tratta, che a di là della prevista riservatezza di tale mezzo, potrebbero essere facilmente riconosciute. È vero che la norma prevede la possibilità che il richiedente si opponga alla videoregistrazione ma su tale istanza decide la Commissione territoriale con un provvedimento che non può essere impugnato, restringendo in tal modo ulteriormente i diritti della persona. Occorre, peraltro, rilevare che attualmente nessuna Commissione dispone ancora di tale strumento, la cui effettiva operatività risulta pertanto spostata in un tempo futuro.

• La modifica più rilevante operata dalla legge Minniti riguarda l’abolizione del secondo grado di giudizio, ovvero la possibilità di proporre appello avverso la decisione di primo grado del Tribunale, che ha disposto il rigetto del ricorso presentato contro la decisione negativa della Commissione. Si tratta di una pesantissima discriminazione, basti considerare che in caso di una semplice violazione amministrativa del Codice della Strada sono previsti tre gradi di giudizio, mentre di fronte a una persona che chiede l’affermazione di un diritto fondamentale, in quanto perseguitato o esposto a un grave danno in caso di rientro nel proprio Paese, la fase di appello è stata completamente cancellata. Rimane solo il ricorso in Cassazione, che avviene unicamente per “motivi di diritto” e non di fatto nel merito della domanda e, dunque, particolarmente difficile, reso inoltre ancor più arduo dal limitatissimo termine (30gg a fronte dei precedenti sei mesi) in cui deve essere presentato. A questo si aggiunga che dopo la decisione di rigetto del Tribunale, anche in caso di ricorso in Cassazione, non sussiste alcun effetto sospensivo, per cui il soggetto potrebbe essere espulso dal territorio. La norma prevede, infatti, una possibilità, invero assai remota, di sospensiva della decisione di rigetto del Tribunale, ma la richiesta va fatta in tempi strettissimi (5 giorni) allo stesso Tribunale che ha appena disposto la reiezione del ricorso !

• L’abolizione dell’appello si accompagna altresì con una rilevante modifica relativa al rito previsto per il ricorso avanti il Tribunale contro le decisioni negative della Commissione Territoriale. È stabilito, infatti, il c.d. rito camerale, nel cui ambito non è prevista la fissazione dell’udienza di comparizione della parte e della sua audizione, resa possibile solamente, in casi residuali e rimessa alla discrezionalità del Giudice, che può disporla solo laddove la consideri necessaria ai fini della decisione. Unico caso di obbligatorietà della fissazione dell’udienza di comparizione riguarda il caso in cui sia mancante la prevista videoregistrazione.

Si tratta, dunque, di una gravissima limitazione dei diritti della persona e della sua effettiva possibilità di difesa, con un ruolo del difensore del tutto ridotto e mortificato, dal momento che il Tribunale potrà arrivare a una decisione senza mai vedere né il richiedente né l’avvocato. La situazione è ancor più grave se si considera una delle peculiarità della protezione internazionale, per cui, nella stragrande maggioranza dei casi, la prova stessa di quanto richiesto risiede nella narrazione e nel racconto della persona. 

Il principio fondamentale del contraddittorio tra le parti viene così violato in maniera pesante, a maggior ragione ove si consideri che, come prima sottolineato, la videoregistrazione verrà messa a disposizione del richiedente solo dopo la presentazione del ricorso in Tribunale.

• La legge Minniti introduce anche modifiche sul D.Lgs 286/98 (T.U. Imm.). In particolare, viene introdotto il nuovo articolo 10 ter che prevede che lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare delle frontiere o giunto sul territorio nazionale a seguito di salvataggio in mare, sia condotto presso i denominati “punti di crisi” (cioè gli hotspot), al fine di identificazione e fotosegnalamento: nulla si specifica in relazione alla natura di questi “punti di crisi” né tantomeno sul periodo temporale in cui le persone possono essere trattenute all’interno degli stessi. Non esiste una base giuridica che li regoli, in quanto l’unico riferimento normativo indicato è la c.d. “Legge Puglia” L.563/95, che si riferiva però ai centri installati per far fronte all’afflusso dei migranti dall’Albania durante gli anni Novanta, e  nulla specifica in merito alla natura degli stessi, se ad esempio “aperti” o “chiusi”. Nella realtà, purtroppo, i “punti di crisi”- hotspot sono diventati luoghi in cui le persone vengono trattenute e private in tutto o in parte della propria libertà trasformandosi di fatto in luoghi di detenzione.  

• Il nuovo art.10 ter prevede che il “rifiuto reiterato” dello straniero di sottoporsi ai rilievi foto-dattiloscopici costituisca un “rischio di fuga” che può determinare il  trattenimento nel Centro di  Permanenza per i Rimpatri per un periodo di 30 giorni. Si introduce, in tal modo, un’ulteriore ipotesi di detenzione amministrativa, e anzi si richiede l’ampliamento della rete dei CPR “in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull’intero territorio nazionale”.

• La L. 46/2017 non si applica ai minori stranieri non accompagnati.

Con la legge Minniti è stata scritta una pagina molto scura nella storia della nostra legislazione, codificando una pesante discriminazione nell’effettivo godimento di alcuni fondamentali diritti delle persone.