Qualifica Autore: Arcivescovo di Campobasso-Bojano

La Casa è luogo di accoglienza e di apertura. La figura biblica di Lidia ci introduce alla necessità di aprire il cuore e le proprie esistenze agli altri.

 

Tutti ogni giorno ci presentiamo davanti a speranze grandi. A volte, di corsa, senza più fiato. Altre volte, con calma e riflessione acuta. E lo facciamo con gli occhi fissi su un domani che spesso non presenta nulla di certo e bisbiglia al nostro orecchio solo preoccupazioni.

Ecco il valore della fede. Essa ci soccorre e ci aiuta ad affrontarlo senza angoscia. La fede può guidarci laddove noi, con le nostre semplici forze umane, rischieremmo di arrenderci e scappare. Senza, cioè, il peso della paura davanti alla maestà del non-ancora. Ritengo che l’unico modo per farci alleato il domani sia questa capacità di investire nel presente, di fecondarlo con scelte liberanti, puntando però a fondarlo su beni duraturi, in progetti di valore e valorizzazione di tutto ciò che un giorno potrà affacciarsi sull'avvenire positivamente, serenamente, come vero segnale di emancipazione. 

Le chiavi del futuro 

Il futuro ha dato in prestito al nostro oggi le sue chiavi, per schiudere gradualmente i suoi tesori e i suoi misteri. Per fare questo è richiesto un gran bagaglio di fiducia sul sentiero di un impegno costante, dove al centro regna sempre un senso di collaborazione e non di contrapposizione. Di comunione con tutti e non di esclusione. Di verità e non di finte libertà. Perché non ci può essere identità laddove la dignità è calpestata, dove ancora vige la legge del più forte sul più debole. Né si può parlare di sviluppo integrale se esso prescinde deliberatamente o, peggio, rigetta la dimensione spirituale dell’uomo, per esaltare piuttosto solo quella materiale e tecnocratica. 

La persona, ogni persona, ha una dignità tale che non può essere umiliata, né ridotta a una cosa da gestire. Siamo noi gli interlocutori diretti col nostro destino, modellato con le nostre stesse mani. Sono le nostre scelte che lo tessono, usando o il filo spinato o la seta. Non è una scure che ci casca addosso, perché la responsabilità ultima resta sempre questo sano e sanante realismo con noi stessi. Perché è facile scaricare le colpe su gli altri, davanti a un mondo assolutista, che batte i pugni per ottenere tutto in click, pur di non scomodarsi. Da ciò arriviamo a capire che il vero protagonista della storia non è il destino, ma l’uomo. Con tutte le sue contraddizioni, ma anche con quella possibilità, segreta in lui, di trasformare l’oppressione in bellezza, il fango in soffio, le prigioni in giardini.

La tenda dell’incontro 

Ma come? Ciò che ci cambia è l’entrare nella tenda dell’incontro, che resta la vera medicina per guarire il cuore spezzato e le braccia scoraggiate. Così lo sguardo spento si ravviva nel lanciare il nostro io verso un tu. Siamo creature di incontro. Di ponti e non di muri. Di abbracci e non di armi. 

Colpisce un passaggio del messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace, dal titolo eloquentissimo: “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pane!”. In esso, il Papa evidenzia molto l’importanza dello sguardo. In un passaggio ne parla così: “Osservando i migranti e i rifugiati, questo sguardo saprà scoprire che essi non arrivano a mani vuote: portano un carico di coraggio,capacità, energie e aspirazioni, oltre ai tesori delle loro culture native, e in questo modo arricchiscono la vita delle nazioni che li accolgono. Saprà scorgere anche la creatività, la tenacia e lo spirito di sacrificio di innumerevoli persone, famiglie e comunità che in tutte le parti del mondo aprono la porta e il cuore a migranti e rifugiati, anche dove le risorse non sono abbondanti. (…) Chi è animato da questo sguardo sarà in grado di riconoscere i germogli di pace che già stanno spuntando e si prenderà cura della loro crescita. Trasformerà così in cantieri di pace le nostre città, spesso divise e polarizzate da conflitti che riguardano proprio la presenza di migranti e rifugiati”. 

Per questo, il Papa ci propone quattro verbi, quattro azioni concrete che organizzano l’accoglienza, la tenda dell’incontro, nel cammino dell’Io che si fa Tu. 

Eccoli: Accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Con proposte precise: nuovi corridoi umanitari finalmente sicuri; migranti ben distribuiti che rivitalizzano i borghi spopolati del nostro centro Italia, scuola e cultura che ne parlino positivamente, il riconoscimento politico dello jus soli, come diritto nativo, che non va concesso, ma riconosciuto. Sullo sfondo, la grata memoria per un popolo, come quello italiano, che tanti emigrati ha avuto: “Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto!”, Deuteronomio 10,18-19).

Lidia

E mi piace, allora, fare riferimento rapido a una figura biblica, narrata in Atti 16, che parla di Lidia, ricca commerciante di porpora. Un’imprenditrice aperta alla Parola di Dio. Anzi, il testo dice che: Il Signore stesso le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Dio la raggiunge tramite Paolo e il suo cuore viene toccato dalle sue parole. Lidia si lascia conquistare dalla Verità che esce dalla bocca di quell'apostolo sconosciuto. È l’incontro che le cambia la vita, la prospettiva esistenziale. E poiché si apre all'ascolto della Parola, Lidia scopre che anche la sua casa dovrà aprirsi all'ospitalità fraterna. Accogliere Dio nel proprio cuore significa per Lidia fare accoglienza nel cuore della Chiesa. 

Lidia decide perciò di mettersi a servizio della diffusione della Parola per creare a sua volta comunione di cuori, condividendo i propri beni. Così, una volta che ha aperto il suo cuore al Signore, sente la tenerezza di dare ospitalità nella sua casa a Paolo, ai missionari venuti da lontano, a questi stranieri. Perché l’accoglierli è per Lidia l’unico modo per ringraziare Dio. 

Nell'accogliere i fratelli, Lidia conferma il suo amore per il Vangelo vivente. La sua casa rispecchia il suo cuore aperto. La parola annunciata che ha accolto in sé ora diviene pane spezzato. Una donna d’affari, che diviene discepola dell’invito: “Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa!”. Con quel modo insistente perché premuroso e generoso, tanto che il testo esprime una frase, tipica di tanti paeselli del Sud: E ci costrinse ad accettare

La casa di Lidia è aperta come una tenda che ospita tutti per costruire una comunità, la comunità di Filippi, tanto cara a san Paolo, che si fa presenza, integrazione, fraternità riunita per condividere ogni dono. Il cielo e la terra, che si uniscono in una casa per renderla “famiglia”, è casa di gratuità e gioia. Nei tre passaggi decisivi di questo brano: il cuore aperto alla Parola, la casa aperta all'ospite, la comunità aperta alle necessità reciproche. 

Tutti siamo stranieri finché non ci incontriamo. Proprio quello che ha detto il Papa in aereo, al ritorno dal suo viaggio in Asia: “Facciamo vedere cosa fa l’egoismo del mondo. Continuiamo a far del bene, ad aiutare i Rohingya, continuando a muoverci perché siano riconosciuti i loro diritti. Non chiudiamo i cuori, non guardiamo dall'altra parte. La presenza di Dio, oggi, anche si chiama Rohingya!”.


Mosaico di pace, rivista promossa da Pax Christi Italia e fondata da don Tonino Bello, si mantiene in vita solo grazie agli abbonamenti e alle donazioni.
Se non sei abbonato, ti invitiamo a valutare una delle nostre proposte:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/abbonamenti
e, in ogni caso, ogni piccola donazione è un respiro in più per il nostro lavoro:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/altri-acquisti-e-donazioni