Editoriale

La notte del 31 dicembre 1968 dal cortile di casa Roncalli, a Sotto il Monte, partì la prima marcia per la Pace organizzata da Pax Christi. E da lì è ripartita, 50 anni dopo, la notte del 31 dicembre 2017. Ripercorrere gli stessi passi, attraversare gli stessi luoghi, dà significato alla memoria e segna nuove partenze.

Sbaglierebbe chi pensasse che il popolo della pace vive solo di ripetitive liturgie scandite da marce e manifestazioni perché in questi stessi anni si sono attivate Campagne, sono state promosse azioni di lotta nonviolenta, si è raccontato di un mondo che si ostina a non lasciarsi omologare in logiche di potere e in cui i diritti di tutti si incancreniscono nei privilegi di pochi, ci si è fatti voce di chi non può parlare.

Insieme al colorato popolo della pace, abbiamo proposto e fatto approvare la legge 185/90 che regola il commercio delle armi e ne impedisce la vendita a Paesi in guerra (la stessa, per capirci, che ha consentito le denuncia della RWM per la vendita di bombe all'Arabia Saudita poi utilizzate per bombardare lo Yemen), la messa al bando delle mine antipersona, con tanto di Nobel per la Pace nel 1997. Per la prima volta abbiamo sperimentato l’intermediazione nonviolenta con 500 persone nella Sarajevo assediata. Ci siamo trovati a Verona in tante Arene di pace, abbiamo urlato – ed eravamo un milione – contro la guerra in Iraq. Arrivando a mettere in discussione anche nella Chiesa, il concetto radicato di guerra giusta.

Eravamo in Centro America per il Giubileo del 2000, per imparare dalle comunità di base latinoamericane e dal loro vescovo-martire, Oscar Romero. In quello stesso anno, siamo stati tra quelli che hanno fatto approvare una legge per il condono del debito ad alcuni Paesi dell’Africa. Eravamo e continuiamo ad essere impegnati per la smilitarizzazione dei cappellani militari, 

Eravamo a Genova nel 2001, all'interno di quel Social Forum che rivendicava un mondo migliore e possibile, alternativo alla globalizzazione neoliberista. Ne abbiamo subìto la repressione forte e violenta come non mai, perché forse mai eravamo così in tanti e tanto vicini a un ripensamento generale dei paradigmi che pretendono di regolamentare il mondo. E nel 2002 e nel 2003, le idee sono andate avanti e abbiamo seguito fiduciosi i Social Forum europei e mondiali, luoghi inediti di sognatori per i diritti dei popoli e delle persone.

Perché di diritti, alla fin fine si tratta: dei popoli, come quelli del Kosovo a cui siamo stati vicini quando altri facevano ancora fatica a rintracciarlo sulla cartina geografica e del Sud Sudan che abbiamo accompagnato con Campagne ad hoc, o quello della Palestina, con la Campagna Ponti e non Muri, o dell’Iraq che ci vede amici dal 1998 a tutt'oggi. Di diritti si tratta, come il diritto a migrare, a fuggire da guerre, fame o disastri ambientali. Perché i migranti non sono un’emergenza, sono persone. Come il diritto di ciascuno ad accedere all'acqua bene comune, un obiettivo che abbiamo confermato con un referendum stravinto. O come il diritto a vivere in un mondo libero da mafie. Abbiamo lottato contro gli F-16 negli anni ‘80, così come continuiamo a farlo oggi contro gli F-35. E anche la messa al bando delle armi nucleari ci vede impegnati per chiedere: Italia ripensaci!

Di strada ne abbiamo fatta molta, ma molta ne abbiamo ancora da fare. Con compagni che ci hanno incoraggiato e regalato studio e impegno (in questi anni è nata anche Rete Italiana per il Disarmo, di cui siamo parte) e ci hanno spinto a osare. Persone e movimenti con cui continuiamo a camminare concretamente o stringendoli al cuore, con un misto di riconoscenza e nostalgia. Perché il futuro che abbiamo dinanzi ha il volto dei poveri che attendono liberazione, persone che chiedono diritti, terre che vanno salvate, soldi da investire in cooperazione e disarmo. Non possiamo accettare che l’Italia spenda 2,6 milioni di euro all'ora per le armi! 

Ma ora è tempo di proseguire la marcia. Se non ora, quando? Potremmo dire “rubando” uno slogan a un altro dei mille luoghi che abbiamo attraversato insieme.


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