La pastorale indigena e la sfida per la società e la Chiesa nel XXI secolo.
Da più parti dell'America Latina stiamo assistendo all'irruzione dei popoli indigeni sulla scena della storia e della Chiesa dopo secoli di emarginazione e occultamento della loro identità di abitanti originari della Patria grande o, "Pachamama",
come nelle lingue indigene viene indicata quella fascia di terra che va dal Rio Bravo alla Terra del Fuoco, nella Patagonia argentina. È un " segno dei tempi" che quei popoli che portano ancora le ferite della conquista, la distruzione e l'assoggettamento, adesso assumano un ruolo protagonista anche nelle Costituzioni politiche di molti Stati e persino nella Chiesa, dove finalmente sono ascoltati e le loro proposte sono inserite in programmi pastorali di rinnovamento, nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II e dalle Conferenze episcopali del CELAM. Alcuni governi in America Latina sono a guida indigena e hanno resistito all'impatto di una globalizzazione a senso unico, che molto spesso confisca interi territori abitati da popolazioni originarie e impone ai politici locali programmi di sviluppo che non rispettano la loro idiosincrasia e costringono migliaia di persone all'emigrazione o a ingrossare le fila degli esclusi e dei "cartoneros" delle grandi megalopoli.
Il caso Messico
In Messico, dopo il ritorno al potere del PRI nel 2012 (Partito della Rivoluzione Istituzionale), che aveva dovuto cedere il testimone per più di un decennio ai governi del PAN (Partito Alleanza Nazionale), la questione indigena ritorna all'ordine del giorno nell'agenda politica con il riproporsi della negazione dei diritti fondamentali alla terra, all'acqua, all'assistenza sanitaria, all'educazione, alla demarcazione dei propri territorio, come ancora si verifica nella maggior parte degli Stati federali. Continua imperterrita una politica assistenzialista che non tiene conto delle autentiche richieste dei popoli indigeni. I progetti faraonici delle grandi dighe, condotti dalle multinazionali con il consenso e la complicità dei politici locali, stanno innescando risposte di protagonismo indigeno non sempre ascoltate dall'atteggiamento paternalista delle autorità che sfruttano il voto indigeno per i propri interessi politici. Le stesse polizie indigene (policias comunitarias) che si sono andate diffondendo in Messico, a partire dall'originario principio di difesa del territorio, rischiano di essere inquinate dalla corruzione dei partiti e della politica e dall'infiltrazione della delinquenza organizzata. I popoli indigeni vogliono essere anche una sfida e una risorsa per l'umanità nel XXI secolo. Attualmente i popoli indigeni dell'America Latina si trovano in un crocevia storico: o soccombere per sempre schiacciati dalla modernità galoppante che li nega e li esclude, o arrivare a essere il seme di vita di una nuova presenza umana nel futuro.
La vita delle comunità indigene è minacciata oggi dall'imposizione di un modello di società che pone il lucro e il denaro al di sopra del valore umano e crea forme molto efficaci di esclusione-annichilimento dei poveri, visto che questi non hanno valore di scambio e non funzionano competitivamante secondo la logica del mercato. I pochi beni e le risorse che ancora sono nelle mani delle comunità autoctone si vedono costretti a entrare nel mercato globale, nella buona o nella cattiva sorte. I megaprogetti di sviluppo stanno invadendo rapidamente le terre, i fiumi, l'acqua, le spiagge, le risorse naturali, il sottosuolo dei nativi. Sono molte le testimonianze a riguardo.
Nuove missioni
Come missionari ci chiediamo come fare per creare, ricreare e rafforzare le forme proprie di produzione, commercializzazione, raccolta e consumo delle comunità in vista della loro autosufficienza economica, garanzia di autonomia che non solo renda possibile la sopravvivenza, ma anche la realizzazione dei desideri di vita dei nostri popoli. Oggi lo spopolamento indigeno dei territori ancestrali ha dimensioni simili allo spopolamento prodotto immediatamente dopo la conquista di cinquecento anni fa. Questo fenomeno colpisce negativamente l'integrazione familiare, sociale, culturale e religiosa di quelli che emigrano e di quelli che restano. D'altra parte, non possiamo considerare l'emigrazione solo come minaccia, come caos che distrugge e disintegra, perchè essa è anche opportunità di interazione di popoli e culture differenti, occasione propizia per lo scambio culturale delle diversità, sfida per sopravvivere in contesti avversi e come ricreazione delle loro culture nell'universalità. Che fare, allora, ci chiediamo, per impedire che molti emigrino, oltre che offrire loro alternative con progetti di autosufficienza alimentare? Come accompagnare quelli che escono dalle proprie comunità per difenderli dai pericoli che li minacciano lungo il cammino e nei punti di arrivo? Inoltre, un buon numero di membri delle comunità indigene, in questi ultimi anni, è stato impiegato dai poteri criminali nella semina, custodia, traffico e consumo di stupefacenti con la conseguente degradazione morale del mondo indio a tutti i livelli. Molte comunità sono obbligate ad armarsi per difendere gli interessi delle mafie e dei cartelli della droga. Molte altre devono autodifendersi dalle loro infiltrazioni nei territorio comunitari. Le carceri federali sono piene di indigeni che ingenuamente o volutamente sono collusi con il narcotraffico. Anche in difesa degli indigeni da trasformazioni "antropologiche" degli indios con le Chiese locali, noi missionari stiamo sperimentando progetti di economia solidale autogestita alternativi alla narcoeconomia, che riutilizzino i territori comunitari a scopo produttivo, ricostruiscano il tessuto sociale e diffondano una cultura di pace.
Mondi plurali
Un'altra sfida, richiamata anche nell'ultimo congresso americano missionario in Venezuela nel 2013 (CAM 4-Comla 6), è la pluriculturalità della società latinoamericana. Il futuro prossimo non è solo esclusivamente dei popoli originari, ma di una pluralità di lingue, culture e modi differenti di concepire il mondo e la vita dentro questo mondo. La pluralità suppone rispetto, convivenza e dialogo interculturale con quelli che sono differenti, che siano mestizos o indigeni, ma capaci di convivere con le altre identità.
Sarà lavoro di tutti – specialmente della Chiesa missionaria – aiutare il superamento di modelli di monoculturalità per educare a una pluriculturalità e interculturalità intesa come "convivialità delle differenze" (don Tonino Bello). Di fronte a una globalizzazione livellatrice delle differenze, il lavoro missionario dovrà essere quello di valorizzare sempre più l'identità/alterità dei popoli indigeni, considerandoli non oggetti da museo dell'archeologia o del folklore, ma soggetti di ricchezze culturali e spirituali. Tale nuova missione potrà essere espletata attraverso l'apprendimento e l'insegnamento delle lingue locali, dell'inculturazione del Vangelo e della traduzione della Bibbia nelle innumerevoli lingue native così da costituire autentiche Chiese autoctone in comunione con la Chiesa universale.
È una grande sfida che, come missionari del PIME, vogliamo affrontare e rilanciare nel panorama internazionale odierno caratterizzato, da una parte, da omologazioni occidentalizzanti che misconoscono le differenze e, dall'altra, da tentativi di chiusure egoistiche e particolaristiche. Questa meta l'abbiamo tracciata anche riproponendo una formazione indigena intraecclesiale che faccia dei laici, dei catechisti, dei giovani e degli operatori pastorali dei veri soggetti di una nuova evangelizzazione integrale che tenga conto anche dei contributi che le culture originarie possono dare a una società giusta e solidale. In questo senso, sarà importante l'apporto delle cosmovisioni comunitarie indigene a una politica che voglia recuperare il bene comune, la difesa della vita e dell'ambiente, il riscatto degli ultimi, come valori innegoziabili di un mondo più fedele al Vangelo e al Regno di Dio. La pastorale indigena del XXI secolo dovrà essere caratterizzata da un rispettoso accompagnamento pastorale e dalle ricezione delle istanze di coloro che saranno i veri protagonisti di un altro mondo possibile e di un'utopia alternativa di una società e di una politica nuova. Una società non più basata sull'individualismo e sull'utilitarismo che sacrificano ogni cosa al lucro e arricchiescono solo pochi; bensì una nuova comunità umana che vuole il bene di tutti, dei piccoli soprattuto e della " madre terra che ci alimenta e ci sostiene".
È una grande sfida, ma vale la pena affrontarla!