Che fine ha fatto la sinistra? Come ricostruire un percorso di cambiamento? Domande aperte sulla nuova stagione politica, italiana ed europea.
La fase politica che si è aperta dopo le elezioni del 4 marzo – e che ha portato alla formazione di un nuovo governo Lega/Movimento 5 Stelle – fa emergere la costruzione di un blocco politico-sociale nuovo che Mario Pianta su il manifesto e sbilanciamoci.info ha definito come lib-pop, liberista e populista, più liberista che populista.
L’affermazione elettorale della Lega e dei 5 Stelle ha ovviamente diverse e specifiche ragioni, tra tutte una. Lega e 5 Stelle hanno saputo meglio interpretare (naturalmente in modo sbagliato e distorto) la rabbia, la sofferenza, la paura e la reazione di una parte della società al modello di sviluppo della globalizzazione, fondato sulla diseguaglianza e l’impoverimento di una parte crescente della società.
La crisi della sinistra
È un fenomeno non solo italiano: populismo, nazionalismo e “politica della rabbia” sono cresciute in questi anni in quasi tutti i Paesi europei e stanno alla base della vittoria di Trump negli Stati Uniti. È il popolo delle periferie, della marginalità sociale, dei disoccupati, delle fabbriche insieme alla “pancia” del ceto medio impoverito (da quello delle botteghe, delle piccole imprese, delle partite IVA) ad aver dato la spinta decisiva, anche in Italia, alla formazione di questo blocco politico-sociale nuovo, strano impasto tra politiche liberiste e antistataliste e ricette populiste (che allo Stato chiedono protezione), spesso solo di facciata e nutrito della “caccia al nemico” (l’immigrato). La sinistra – in Italia e in Europa – non è stata capace di farsi interprete e guida di questa domanda di cambiamento ed è stata drammaticamente sconfitta. È stata vista come parte dell'establishment, del sistema, ed è stata duramente sconfitta.
Questo impasto di liberismo e populismo lo si trova plasticamente riassunto nel cosiddetto “contratto di governo” dove si trovano misure iperliberiste a favore dei ricchi come la flat tax e la moltiplicazione delle carceri e dei centri di detenzione per gli immigrati, le privatizzazioni e gli asili nido solo per gli italiani. In questo zibaldone contrattuale di governo ci sono poi parole che strizzano l’occhio a temi che rimandano a un immaginario di sinistra: la revisione del sistema pensionistico con l’introduzione della “quota 100” (in pensione sommando età e anni di contribuzione arrivando a 100) o il reddito di cittadinanza che, però, dura solo due anni ed è solo per gli “italiani”. Al momento sono poco più che annunci (come la flat tax): servono decine e decine di miliardi di euro che non si sa dove potranno essere trovati. E naturalmente si strizza l’occhio anche a quella parte di blocco sociale di eredità berlusconiana: a parte la flat-tax, ecco in arrivo un nuovo condono fiscale per gli evasori proprio per finanziare la riduzione delle tasse ai ricchi.
Politica estera e difesa
Sulla politica estera e della difesa i 5 Stelle – che pure nella scorsa legislatura avevano condotto battaglie importanti sui temi della pace e del disarmo – fanno dei clamorosi passi indietro. Nel programma non si fa alcun cenno alla riduzione delle spese militari, alla cancellazione del programma F35, al riconoscimento dello Stato di Palestina. Infatti, su questi punti la Lega la pensa in modo radicalmente opposto: non vuole ridurre le spese militari, non vuole che sia cancellato il programma dei cacciabombardieri F35 e sul riconoscimento dello Stato di Palestina, ha le stesse posizioni del governo israeliano: non se ne parla.
Non si sa cosa il governo presieduto da Conte riuscirà a fare. Soldi non ce ne sono molti ed è complicato recuperarli con quelle politiche liberiste prospettate dal “contratto di governo” e oltretutto bisogna trovarne ben 25 di miliardi solo per sterilizzare le cosiddette “clausole di salvaguardia” (l’aumento dell’IVA), far fronte alle cosiddette spese obbligate (come le missioni militari) e venire incontro (anche solo in parte) ai desiderata europei sulla riduzione del deficit e del debito. I prossimi mesi il nuovo governo se li giocherà su provvedimenti di facciata come l’abolizione dei vitalizi, la costruzione di nuove carceri, la politica feroce contro gli immigrati e su annunci di misure che avranno corso tra due-tre anni. Poi si vedrà.
Cosa manca?
Quello che manca in questo programma è quello che è mancato ai precedenti governi: una politica massiccia di investimenti pubblici (la sola capace di rilanciare l’economia), una aggressiva politica di riduzione delle diseguaglianze (altro che la flat tax, ci vuole la patrimoniale sulle grandi ricchezze), una riduzione dei privilegi veri legati alla sopravvivenza di eterne guarentigie econonomiche e sociali, il disboscamento della precarietà. Anche sul Jobs Act e articolo 18 il Movimento 5 Stelle ha fatto marcia indietro.
La sinistra è comunque fuori gioco, almeno per il momento. Ha dimostrato tutta la sua incapacità di rinnovarsi e di interpretare quella richiesta di cambiamento, che ha trovato a destra la sua casa. Non è solo un problema italiano, ma europeo, come detto. La sinistra moderata si è limitata a tentare (senza riuscirci) di umanizzare il paradigma europeo liberista e delle politiche di austerità ed è stata sonoramente punita. La sinistra cosiddetta radicale in alcuni Paesi (in Spagna con Podemos, in Francia con La France Insoumise) è riuscita a testimoniare e a intercettare quella domanda di cambiamento, ma senza andare oltre la soglia di una rappresentanza ancora insufficiente, capace di costruire un blocco sociale egemone. Il problema non è solo della politica, ma della società. Non è solo la sinistra politica a soffrire, ma anche quella sociale: i movimenti sociali sono in crisi o comunque hanno perso quell'impatto che avevano fino a dieci anni fa, il mondo del terzo settore si è in gran parte rinsecchito perdendo la sua capacità di essere un soggetto di carattere generale e anche il sindacato è sulla difensiva. Sono in grande difficoltà, in definitiva, i cosiddetti corpi intermedi o dissolti o ridotti a un ruolo corporativo e di tradizionali “portatori di interesse”.
Ricostruire una prospettiva di cambiamento passa attraverso un percorso (che può durare del tempo) di radicale innovazione della cultura politica e delle pratiche sociali e culturali. Ricette sicuramente vincenti non ce ne sono. Ma le dinamiche sono sempre molto simili nel tempo e hanno a che vedere con parole care alla sinistra – come eguaglianza, diritti, solidarietà, pace – che devono essere declinate alla luce dei grandi cambiamenti degli ultimi trent'anni. I populisti e i liberisti hanno generato delle identità (sbagliate e perverse come il “prima noi, poi loro”, oppure contro la “casta”) che producono “narrazioni” della società, della politica e dell’economia. La sinistra deve essere capace di rimettersi radicalmente in discussione, a partire dall'autocritica della visione sbagliata che ha dato del fenomeno della globalizzazione (neoliberista): non si tratta, comunque, di contrapporre a questa una visione sbagliata come quella del “sovranismo”, ma di declinare un progetto alternativo alla globalizzazione neoliberista fondato su identità, proposte politiche e concrete e su pratiche capaci di produrre una nuova narrazione di cambiamento vero della società, fondato sul progresso e non sul rancore.