Al centro l’accoglienza: una comunità veneta sulle orme dei poveri, come insegna Francesco. Intervista a don Paolo Pasetto.
Intervista di Sergio Paronetto e Enzo Nicolis
Collocata tra le colline veronesi in mezzo a viti e frutteti, ulivi e cipressi, la rete di iniziative di accoglienza coordinata da don Paolo Pasetto si distende da Fittà, vicina allo splendido castello medievale di Soave, al paese di Marcellise, sede della famosa casa girevole (a 10 km da Verona). “Ho al mio fianco gruppi di persone coraggiose, tanti slanci di coraggio”, dice don Paolo, sguardo mite e determinato, sorriso aperto e buono, barba sottile e sciarpa arcobaleno al collo.
Come siete organizzati?
Sono attive la comunità originaria di accoglienza “Sulle orme”, l’associazione di fedeli “Comunità Opera semplice” riconosciuta nel 2012 dal vescovo di Verona, la “Cooperativa sociale Multiforme” (presieduta da Simonetta Guadin), la parrocchia di Marcellise. Siamo operanti in quattro località (Fittà, Soave, Marcellise, Colognola) con luoghi di accoglienza, laboratori alimentari, artigianali e di assemblaggio meccanico, sartoria, falegnameria. Dalla storia delle famiglie della comunità è nata la trattoria “Cinque pani e due pesci”, segno che dalla condivisione delle risorse scaturisce la moltiplicazione dei beni. Promuoviamo nelle case incontri di formazione, di spiritualità e di preghiera, di riflessione ecumenica, feste... La chiesa e la canonica sono sempre aperte.
Allora, il filo che unisce tutto il vostro lavoro è quello dell’accoglienza. Chi ospitate?
L’accoglienza è stile di vita rinnovato dalla profetica bellezza del Vangelo, disponibile a ricevere persone con svariati disagi sociali, fisici, mentali e spirituali e ogni persona sola, fragile o in ricerca. Operiamo con regole condivise, dinamiche di gruppo e interventi articolati secondo le necessità. L’obiettivo è quello di ridare dignità alle persone nella libertà e nella responsabilità. Tante sono le difficoltà, ma in mezzo alle difficoltà nascono le opportunità. Siamo volontari, supportati da operatori competenti secondo i bisogni e sostenuti da gente che ci aiuta, dalla “provvidenza”, da attività di autofinanziamento e condivisione.
Il vostro impegno è radicalmente innovativo e scomodo.
Sì, è difficile accettare una esperienza come la nostra perché richiede un cambiamento di vita. Siamo convinti che il mondo cambia partendo dal nostro cambiamento. Vorrei precisare che l’accoglienza è sempre reciproca, interdipendente. Non siamo tanto una comunità di accoglienza ma diventiamo comunità tramite l’accoglienza.
Troverete molti ostacoli…
L’ accoglienza di un’umanità fragile tessitrice di relazioni provoca sempre diffidenze e contrarietà come è capitato dopo l’ultima festa di capodanno in chiesa (approvata dal vescovo) quando “dopo un momento di divertimento abbiamo aperto una riflessione dedicata a persone che con piccoli gesti hanno rovesciato dittatori e potenti”.
In diocesi cosa si dice?
Abbiamo amici e collaboratori. Qualcuno dice che non siamo in sintonia con l’unità pastorale di riferimento, ma noi siamo sempre aperti al dialogo per essere tutti in sintonia col messaggio evangelico. C’è anche chi ritiene “scandalose” alcune attività. Forse perché sono scomode o non avvicinate con animo aperto (come nel caso del rifiuto a Lidia Maggi). Il vescovo sostiene la nostra azione ma, a volte, forse impaurito da alcuni gruppi tradizionalisti, manda dei richiami formali. Ci vuole molta pazienza. La nostra è un’iniziativa sperimentale nata sulla strada e senza confini se non quelli della strada. Stiamo camminando con fatica, ma con fiducia nello Spirito e negli altri.
Difficile restare indifferenti davanti alle attività socio-ecclesiali di Fittà e di Marcellise. Davanti a noi c’è una comunità ecclesiale stile Evangelii gaudium di papa Francesco. Un germoglio di nuova umanità. Una Chiesa “in uscita” che si è messa in corpo l’occhio del povero, direbbe Tonino Bello.