Le Scuole del Perdono e della Riconciliazione sperimentate in Colombia quale possibilità per una pace sostenibile tra persone e popoli.
Leonel Narvaez Gómez
Dopo quasi 5 anni di negoziati a L’Avana (Cuba), finalmente, il 26 settembre 2016, il governo colombiano è riuscito a firmare un accordo di pace con i leader delle FARC. Una prima proposta di pace fu respinta in un plebiscito in cui vinse il no, con un margine molto ristretto. L’accordo è stato rinegoziato dal Congresso e infine approvato. Così si son conclusi ben 52 anni di conflitto armato che ha causato 8,5 milioni di vittime. Questo processo ha avuto ampia legittimazione legale, accademica e diplomatica, ma meno legittimazione politica.
Infatti metà dei colombiani, ancora oggi, si rifiuta di accettare l’accordo di pace. Questo sta influenzando a tal punto l’opinione pubblica che le previsioni per le elezioni presidenziali del 17 giugno 2018 confermano che i colombiani voteranno di nuovo per un candidato (Iván Duque) che propone di rifare una buona parte di negoziati e garantire una linea di giustizia punitiva, rappresentando i settori più aristocratici del Paese. Il suo avversario (Gustavo Petro), che rappresenta invece la base sociale più popolare, propone il rispetto di ciò che è stato concordato nei negoziati, opta per la giustizia riparativa, la reintegrazione degli autori nella società e persino nella vita politica della nazione.
Molti osservatori (specializzati in questi temi) hanno sottolineato il fatto che coloro che rifiutano il patto di pace e si rifiutano di perdonare – la stragrande maggioranza degli abitanti delle grandi città – sono quelli che non hanno subito violenza e che non hanno attraversato gli innegabili traumi che milioni di vittime hanno dovuto patire nelle zone più povere del Paese.
La generosità delle vittime capaci di perdonare, la si riscontra così ogni giorno, da parte degli animatori della Fondazione per la Riconciliazione che promuove la cultura civica del perdono in molte aree della Colombia: la Fondazione è una realtà senza scopo di lucro, specializzata nella progettazione di strumenti e tecniche di perdono e riconciliazione, non solo in Colombia.
Tuttavia, è ancora alto il numero dei colombiani che si rifiutano di perdonare, quasi certamente perché storicamente, culturalmente e politicamente, costretti a vivere nella sub-cultura della vendetta. Infatti, le statistiche di omicidi degli ultimi tre decenni hanno registrato una percentuale fino al 95% di uccisioni per vendetta (cfr. il recente rapporto ufficiale di Medicina legale della Colombia Forensis, Giugno 2018), o – che è la stessa cosa – resa dei conti e battibecchi. Queste cifre non solo scioccano, ma sfidano fragorosamente in molti modi, fuori e all’interno della Chiesa cattolica che annuncia la proposta di Gesù di perdono delle offese.
Allora è naturale chiedersi il motivo per cui in Colombia, uno dei Paesi con la più alta percentuale di cristiani nel continente, la metà dei suoi abitanti rifiuti più spesso di perdonare.
Il perdono è il cuore della proposta di Gesù Cristo. Gli esegeti concordano nel concludere che il messaggio che Gesù annuncia è il perdono dei peccati e la pratica della misericordia. È questo il Regno. Paolo sintetizza l’intero messaggio di Gesù dicendo che la giustizia di Dio è la giustificazione. Un cristiano che non perdona non è più un cristiano. È nella cultura civica e nella spiritualità del perdono che si gioca la futura incidenza del cristianesimo. Che peccato la scandalosa ignoranza delle Chiese cristiane su una questione così vitale per l’umanità!
A causa del ministero che esercito, come prete cattolico, con una certa assiduità incontro classi medio-alte, perciò posso confermare che i cattolici colombiani amano sapere di esser perdonati da Dio ma si arrabbiano, con estrema animosità, quando viene annunciato che gli ex-guerriglieri delle FARC riceveranno una riduzione di pena nelle sentenze che li riguardano (non meno di 5 e non più di 8 anni di privazione della libertà in campi aperti) a condizione che confessino tutta la verità, che restituiscano i beni indebitamente sottratti per una riparazione integrale delle vittime e che garantiscano che nessuno dei loro crimini si possa ripetere.
Coloro che non soddisfano questi requisiti, sono noti perché ricevono sanzioni peggiorative dai tribunali ordinari (15-20 anni di prigione ordinaria). Tragicamente, è questo tipo di giustizia – e di reintegrazione, anche in termini di partecipazione politica degli ex combattenti – che genera orticaria nei settori più tradizionali del cristianesimo in Colombia.
Con la chiara missione di generare una cultura dei cittadini che sostenga la giustizia riparativa, che fornisca la verità capace di guarire e che assicuri che mai più ci sarà violenza, la Fondazione per la Riconciliazione ha creato le Scuole del Perdono e della Riconciliazione – ES.PE.RE – proposta nata nelle missioni cattoliche della regione della foresta di Caguán in Colombia, negli anni più critici del conflitto con la guerriglia. Si è cercato, da una parte, di rispondere all’urgente bisogno di consolazione per le vittime e, dall’altra, all’urgenza di superare l’odio verso i colpevoli.
L’ES.PE.RE è un corso di 50 ore (25 per il perdono e 25 per la riconciliazione) in cui i partecipanti, con il supporto di un animatore preparato per questo scopo, fanno dei giri narrativi cruciali nelle loro vite. Questi giri o metanoie sono: rabbia e rancore oscuro che ostacolano il buon vivere; è possibile ricordare l’offesa con nuovi occhi; è possibile passare dalla necessità della vendetta alla compassione (nel corso del perdono) e dalla sfiducia verso la fiducia (nel corso della riconciliazione); servono solo le verità che guariscono; la vera giustizia restituisce il colpevole, non lo elimina; è necessario elaborare accordi di non ripetizione.
Dopo questo prezioso percorso, è necessario celebrare la nuova memoria e il salto evolutivo che le persone hanno compiuto.
ES.PE.RE, in base a rigorosi accordi di riservatezza, privilegia la conversazione in piccoli gruppi. È molto efficace la trasformazione di sé tramite questi piccoli gruppi perché i partecipanti arrivano a capire e ad assimilare nuovi paradigmi di relazione e si convincono che il perdono non può cambiare il passato, ma il futuro sì e le vittime ne escono vittoriose contro l’irrazionalità della violenza. Contro quest’ultima è necessario proporre e offrire l’irrazionalità del perdono perché uomini e donne vittoriose ascendano a livelli di umanità più alti, in cui compassione e misericordia divengano la forza più potente che sia mai esistita, così come peraltro invoca papa Francisco.
È possibile ricostruire un conflitto di 54 anni con la cultura civica del perdono? Certo, è possibile, a condizione di assumere la pazienza storica richiesta dai lunghi processi di trasformazione e di promozione culturale, che sono necessariamente individualizzati. Ne sono testimoni quasi un milione di colombiani (appena il 2% della popolazione totale) che hanno sperimentato la loro grande forza interiore riscoperta: il perdono e la compassione. Un momento magico ci fa capire non solo la finitezza e l’imperfezione degli esseri umani, ma anche l’immensa felice scoperta della divinità dentro di noi. L’altro con cui abitiamo su questa terra ci obbliga al rispetto della sua suprema, altissima dignità. Naturalmente, ciò non toglie nulla all’urgenza di garantire i diritti fondamentali degli impoveriti della terra, vittime e carnefici nello stesso tempo. Senza perdono non c’è pace sostenibile. O, come dice Desmond Tutu, senza perdono non c’è futuro.
Leonel Narváez Gómez è missionario della Consolata, sociologo, laureato sia all’Università di Cambrige che a quella di Harvard.
È presidente e fondatore della Fondazione per la Riconciliazione e creatore delle Scuole di Perdono e Riconciliazione (Espere).
www.fundacionparalareconciliacion.org