Don Tonino e la sua pace intrecciata con la giustizia. Una vita spesa per i poveri, per la nonviolenza. Il testimone oggi passa a noi.
Lo ricordo bene quel pomeriggio di aprile. Il sole batteva sulla banchina del porto dove tantissima gente si affollava per dare l'ultimo saluto a don Tonino. Quel pomeriggio a salutarlo erano arrivati in tanti, anche da lontano. Tra questi anche io.
Non smettevo di piangere. Troppo forti erano sia il dolore che la rabbia. Quanto bisogno c'era proprio allora, nel nostro Paese e nella Chiesa, di persone come lui che, con parresia e profezia, annunciassero il Vangelo della pace!
Sono di nuovo qui oggi, sul porto di Molfetta. Il clima è tutt'altro. La città è in festa. Piena di colori. Tante bandiere arcobaleno la decorano e ne fanno una città simbolo di pace. Ad ogni angolo di strada, ad ogni palo della luce, sulla porta di ogni negozio tante immagini di don Tonino. Non avrei mai immaginato, venticinque anni fa, di ritrovarmi qui a fare festa. Oggi arriva Pietro. Per dire a tutti che non si erano sbagliati quando, accompagnandolo al cimitero, lo avevano acclamato nel pianto come un santo. Un evento di portata storica che consegna la vita e il messaggio di don Tonino a tutta la Chiesa italiana e alla Chiesa universale. Un gesto, quello di papa Francesco, che si pone in continuità con il viaggio fatto a Bozzolo per celebrare don Primo Mazzolari e a Barbiana don Lorenzo Milani. Due preti scomodi che tante difficoltà avevano dovuto sopportare per esercitare il loro ministero profetico nella Chiesa. Don Tonino, un vescovo strano, fratello e amico dei poveri, ma soprattutto testimone e profeta di accoglienza e di pace. Ma anche un vescovo controverso che destava sospetto e preoccupazioni per gli amanti dello status quo e dell'ordine. Oggi sono qui anche alcuni che, quando era in vita, gli avevano creato problemi; lo avevano accusato di protagonismo e di voler mettere naso in politica. Aspetto l'arrivo di papa Francesco e mi lascio trascinare dai ricordi. Che affiorano tumultuosi. Dalla prima volta in cui ho visto per caso la sua foto di "nuovo vescovo" di Molfetta su Luce e Vita, il settimanale della diocesi che arrivava alla redazione di Missione Oggi. Mi stupirono le sue parole di saluto ai suoi nuovi compagni di viaggio. Parole strane e inusuali per un vescovo. È iniziata così la mia "storia" con don Tonino. Ogni settimana leggevo ciò che scriveva su "Luce e Vita". Fino a quando, a Natale, non pubblicò una lettera a Gesù Bambino. Gli telefonai per chiedergli di pubblicare quella lettera su Missione Oggi. Dopo alcuni squilli di telefono venne la risposta da parte di una persona trafelata. "Vorrei parlare con il vescovo, se è possibile". "Sono io il vescovo". Mi presento: "Mi chiamo Eugenio Melandri, sono un saveriano, direttore di Missione Oggi". Non faccio in tempo a finire la frase. "Eugenio, che bello. Sono abbonato a Missione Oggi. La leggo sempre. Poi non sai che, quando ero in seminario a Molfetta, avrei voluto farmi missionario". Pubblicai la lettera e cominciò così la frequentazione e l'impegno comune soprattutto per l'approvazione della legge 185/90. Tanti i ricordi: dal primo incontro a Ruvo di Puglia, alle tante iniziative svolte insieme in quel comitato "contro i mercanti di morte" insieme a Graziano Zoni di Mani Tese e Aldo De Matteo delle Acli.
Anni intensi, con tanti incontri, tanta amicizia. Anni di cammino. Fino al giorno in cui, anche di fronte alle difficoltà nel portare avanti l'esperienza di Missione Oggi, cominciai a pensare anche ad altre strade di impegno. Prima nel 1987, quando mi fu proposto di candidarmi alla Camera dei Deputati. Dissi di no, ma lo confesso, con fatica.
Due anni dopo, nel 1989, decisi di candidarmi al Parlamento Europeo. Prima di fare questa scelta mi recai da don Tonino per chiedergli consiglio, ma non ebbi il coraggio di parlargliene. Fino a quando fu lui a rompere il ghiaccio. "Eugenio, lo so perché sei venuto qui...". "Don Tonino, non ho avuto il coraggio di parlartene". La sua risposta, ancora una volta spiazzante, non si fece attendere: "Qualsiasi scelta faccia, non abbandonare mai i poveri".
La celebrazione eucaristica si è conclusa. Papa Francesco è ripartito. La città riprende la sua vita di sempre. Verranno tolte le bandiere della pace e i tanti manifesti che adornavano finestre e vetrine. Comincia adesso un altro tempo di attesa, fino a quando non si concluderà il processo di Beatificazione. Un processo che ha certo senso, ma di cui a me sinceramente interessa poco. Don Tonino è santo: al di là delle carte processuali, dei testimoni e delle deposizioni.
Forse abbiamo bisogno di essere certi della sua santità proprio adesso, in questo tempo difficile in cui è in atto, come dice papa Francesco, "la terza guerra mondiale a pezzi". Ma la santità di don Tonino è comprensibile, penso, solo a partire dal suo impegno totale e totalizzante per la pace.
Se volessi, infatti, trovare una mancanza nell'organizzazione della magnifica giornata del 20 aprile, la individuerei nel fatto che don Tonino è stato presentato quasi esclusivamente come vescovo di Molfetta. Non è stato sufficientemente messo in evidenza che don Tonino è stato Presidente di Pax Christi. Sono, infatti, convinto che, almeno nella percezione comune di tanti che lo hanno conosciuto, la sua santità fatta di amore verso i poveri, attenzione ai bisogni di tutti, capacità di ascolto e di accoglienza nei confronti degli "altri" ecc., sia leggibile e comprensibile soltanto all'interno del suo impegno totale e totalizzante per la pace. Una pace, quella che don Tonino ha predicato e testimoniato, fatta non solo di disarmo, di stop alla produzione di armi, di impegno politico perché il territorio non si trasformasse in arco di guerra ma in arca di pace.
La pace che ci ha insegnato don Tonino era quella che rifiutava i segni del potere per testimoniare il potere dei segni. Quella che si faceva obiezione di coscienza al servizio militare, ma che poi portava a vivere la vita con la "coscienza dell'obiezione"; la capacità, cioè di dire di no ad ogni forma di egoismo.
Il don Tonino, amico e fratello dei poveri, vescovo padre e fratello di tutti è comprensibile totalmente solo alla luce del don Tonino testimone coraggioso e profetico di pace. Una parola, Pace, a cui occorre dare contenuto e significato, nelle scelte quotidiane di vita. La Pace "made in cielo" di don Tonino, "frutto della giustizia" è diventata per lui prassi pastorale, attenzione agli ultimi. Visione e prassi di una Chiesa accogliente, che sa camminare con tutti, anche con i non credenti; che non ha paura di strumentalizzazioni.
È pienamente comprensibile solo così la santità di don Tonino. Una santità a tutto tondo che coniuga insieme l'attenzione al barbone o all'ubriaco con l'impegno contro la militarizzazione delle Murge, per una legislazione riduttiva del commercio delle armi o per i marocchini che dormono sotto una pensilina. Resterebbero isolati e non parte del disegno di tutta la sua vita i tanti gesti di amore e di accoglienza dei poveri se non fossero letti anche attraverso il viaggio a Sarajevo o le lunghe ed estenuanti audizioni alle commissioni parlamentari.
A me pare che, se non vogliamo fare di don Tonino non un santino ma un santo, non possiamo mettere fra parentesi il suo impegno totale e totalizzante per la pace. E dentro questo grande quadro si può collocare ogni suo gesto, ogni sua scelta.
Forse è questo il messaggio che ci arriva dalla giornata del 20 aprile. Don Tonino è il santo di tutti, sepolto nella terra di tutti. Che continua a richiamarci ad alzarci in piedi.
È stato difficile tagliare la bellissima e intensa testimonianza di Eugenio Melandri. Vi invitiamo, pertanto, a leggerla integralmente nel sito di Mosaico di pace, nella sezione "mosaiconline".