Qualifica Autore: Ricercatrice Università di Bari

Martin Luther King e l'attualità del suo messaggio. Nel cinquantesimo anniversario della sua morte, riproponiamo, in due puntate, una rilettura della sua biografia e del suo pensiero.

 

Per tratteggiare sinteticamente la nonviolenza di Martin Luter King, farò riferimento alla Lettera dal carcere di Birmingham del 1963, con una premessa essenziale.

Come ha evidenziato su Azione nonviolenta Gianni Scotto, Martin Luter King è il "catalizzatore di un processo corale". Egli diventa leader quasi naturalmente e grazie a doti di carisma e di oratoria non comune in un contesto che era già fittissimo di sensibilità, formazione culturale, attivismo nel campo della nonviolenza. Si pensi all'ispiratore comune a molti "padri" della nonviolenza che è H. D. Thoreau, letto e assimilato da Tolstoj e Gandhi, alla tradizione delle Chiese evangeliche, ai movimenti per i diritti civili dei neri, nel cui ambito c'era stato un avvicinamento al pensiero di Gandhi, alle sue tecniche. È un contesto ricco e fertile quello in cui Martin Luter King diventa leader nonviolento delle proteste dei neri per i diritti civili, a cui egli aggiungerà le peculiarità di una comunicativa forte ed efficace, persuasiva e coinvolgente, in cui la leadersihp sarà sempre dentro un contesto corale di formazione e addestramento di tutti alle tecniche nonviolente e contemporaneamente di approfondimento spirituale dell'ideale, per lui sempre riportato alla fede e al Vangelo.

Nel 1963 King, insieme ad altre 3mila persone, viene arrestato a Birmingham, in Alabama, dove l'atteggiamento violento dei bianchi è particolarmente feroce. Durante la permanenza in carcere scrive una lettera in risposta al comunicato fatto circolare in opposizione alla sua modalità di lotta e alla sua presenza sul territorio firmato da 8 leader religiosi (1 rabbino, 4 vescovi e 3 pastori, tutti bianchi). Si tratta di uno scritto potente dal quale è possibile trarre alcuni spunti sulla nonviolenza di Martin Luter King. Davanti all'accusa di essere un "agitatore esterno", cioè di infilarsi in faccende che non lo riguardavano, King si sofferma su uno dei più interessanti spunti di riflessione. Possiamo cambiare le ingiustizie tenendoci alla larga, mantenendo una distanza come se quel che accade "altrove" non ci tocchi? Non è possibile, oggi più che mai, visto che siamo abituati a cliccare "firma" sull'ennesima petizione on line e coltiviamo l'errata percezione che stare davanti a immagini in preda all'indignazione sia sufficiente. Essere là dove è l'ingiustizia per King è un imperativo morale e di fede: "Io pure [come S. Paolo] sono costretto a portare il Vangelo della libertà aldilà della mia propria città". Costretto. Questa parola rivela la cogenza e per certi versi la "tragedia" di chi ha sposato un ideale e non può più vivere diversamente. Mi riecheggiano dentro le parole di Aldo Capitini quando scrive "La nonviolenza significa prospettarsi una situazione tormentosa" e di don Tonino Bello con il suo accorato "Perderete il sonno, ma non la vita; perderete la fame, ma non la vita; perderete molte cose…". E qualcuno perde anche la vita, come Martin Luter King, fermamente convinto che "L'ingiustizia, ovunque si verifichi, minaccia la giustizia dappertutto. Siamo presi in una rete ineluttabile di rapporti reciproci, legati allo stesso destino: qualsiasi cosa colpisca una persona direttamente, indirettamente colpisce tutti". E allora è importante essere proprio là dov'è l'ingiustizia e agire, insieme.

Le cause sottostanti

L'azione nonviolenta intende andare in profondità, dove sono le cause dell'ingiustizia. È questo che porta King a spostarsi nel corso della sua breve esistenza dai diritti dei neri, ad esempio, ai diritti dei poveri, a superare il cerchio della lotta per un gruppo specifico per approdare a una lotta che ha nel suo orizzonte "i tutti" capitiniani. Andando alla radice delle dinamiche inique, troviamo anche la "violenza strutturale" e la "violenza culturale" di Galtung, i dispositivi di potere di Foucault e tutto l'insieme delle procedure che di fatto impediscono il godimento di diritti formalmente sanciti. 

Organizzarsi

Non è sufficiente una nonviolenza del cuore, pure essenziale per coltivare in sé la conversione radicale, né è sufficiente aver chiaro il fine: bisogna attivare strumenti, che siano organizzati e, come tali, collettivi. Martin Luter King era stato criticato perché praticava, come già altri leader neri (cfr. Jim Lawson a Nashville), l'azione diretta, senza per questo demonizzare le trattative. L'azione diretta tuttavia rappresenta una modalità particolarmente efficace perché "cerca di creare una tale crisi e stabilire una tale tensione creativa che un gruppo, che si è rifiutato costantemente di negoziare, sia costretto ad affrontare il problema". La situazione così non può più essere ignorata perché diventa visibile: le tensioni emergono e possono divenire oggetto di negoziazione con maggiore chiarezza. Questo significa anche aumentare il livello di conflitto visibile, ma se esso resta (e deve restare) sul piano della nonviolenza, questa intensificazione fa bene: "Non ho paura della parola tensione […] vi è un tipo di tensione costruttiva nonviolenta che è necessaria alla crescita".  

Non aspettare

Il rapporto che la nonviolenza nutre con la dimensione del tempo ha un ritmo che Capitini definirebbe "non rimandante". Aldo usa parole analoghe a Martin Luter King quando parla della rivoluzione nonviolenta che assume "il principio che bisogna far subito qualche cosa" perché il lavoro, la giustizia, la cultura, l'amore per tutti non possono accettare ritardi, rinvii, inganni, pretesti". È il motto di Danilo Dolci "fare presto, e bene, perché si muore". La nonviolenza allora non aspetta perché è tragicamente consapevole che aspettare equivale a restare complici dell'ingiustizia.  

Disobbedire all'ingiustizia

È da Thoreau che anche King interiorizza il valore della disobbedienza alle leggi ingiuste. La qualità nonviolenta di questo comportamento sta in alcuni suoi caratteri: in prima istanza si tratta di scelte pubbliche e non nascoste, chiuse nel privato. In questo modo la disobbedienza acquista legittimità morale grazie alla trasparenza e si muove sul piano collettivo e non individuale. In seconda istanza, si tratta di una disobbedienza che mantiene al centro l'amore, l'apertura a tutti di Capitini. Questo significa rispettare profondamente l'avversario (ad es. Gandhi evitava di organizzare manifestazioni durante le festività religiose degli inglesi per permettere loro di celebrarle) e non attuare mai comportamenti che potrebbero avere conseguenze nocive. Non usare mezzi immorali per fini morali, non usare mezzi morali per fini immorali. Anche Martin Luter King sottolinea la necessità di coniugare mezzi e fini, uno dei punti chiave della nonviolenza. La doppia declinazione del principio è illuminante perché siamo abituati a fermarci al primo enunciato. Sì, la pace non si porta con la guerra. Siamo meno esercitati a riflettere sul secondo aspetto perché rivela quanto possa essere subdolo il potere che si maschera dietro azioni apparentemente "buone". Martin Luter King risponde all'elogio conferito alla polizia di Birmingham che in un'occasione si mostra pubblicamente disciplinata verso i manifestanti, evidenziando che quel comportamento pubblico in sé non violento non è invece nonviolento, perché finalizzato a mantenere la segregazione, uno stato di profonda iniquità. E allora non va elogiato, ma condannato ugualmente. Davanti all'accusa di estremismo, Martin Luter King rilancia chiedendo retoricamente "Vogliamo essere estremisti dell'odio o vogliamo essere estremisti dell'amore?". I portatori di odio fanno paura e vanno combattuti, ma quanto è pericoloso "lo spaventoso silenzio dei buoni", di quelli che credono che col tempo tutto passa, quelli che allora erano i bianchi moderati e oggi potrebbero essere quelli che "non sono razzista ma"! Non è nulla di simile a questo la nonviolenza, che usa in modo creativo il tempo e il malcontento di chi subisce l'ingiustizia e di chi lotta per la giustizia, nella consapevolezza che gli eroi e le eroine che cambiano il mondo sono persone intrise di quotidiano, che scelgono e non possono fare a meno di fronteggiare "con coraggio e grande fermezza le folle ostili e la dolorosa solitudine che caratterizzano la vita dei pionieri". 

 

Nel prossimo numero sarà pubblicato un altro articolo su Martin Luter King a cura di Alberto Conci.