Il dialogo è laboratorio permanente di umanità e la vita è incontro e relazione con le diversità.

 

Credo sia realmente rivoluzionario il pensiero di papa Francesco quando vede nella categoria di popolo di Dio la chiave ermeneutica per rileggere oggi il Concilio Vaticano II

e permettere quel rovesciamento di prospettiva che stenta ancora troppo a entrare nella nostra mentalità e nella nostra prassi. 

"Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio" (Lumen Gentium, 13). Qualche tempo fa, parlando alla Commissione per l'America Latina, il Papa chiarisce bene questa prospettiva: "Evocare il Santo Popolo fedele di Dio è evocare l'orizzonte al quale siamo invitati a guardare e dal quale riflettere. È al santo Popolo fedele di Dio che, come pastori, siamo continuamente invitati a guardare, proteggere, accompagnare, sostenere e servire. Un padre non concepisce sé stesso senza i suoi figli (…) ciò che lo fa padre ha un volto: sono i suoi figli".  Il rischio sempre in agguato è di pensare al popolo di Dio come massa omologata attraverso modi standardizzati di vivere una fede lontana dalla vita della gente nella sua diversità. Le nostre esistenze, attraverso l'ascolto reciproco e non superficiale, chiedono di accorgersi della diversità che ci caratterizza e ci mettono di fronte l'istanza etica dell'accoglienza gratuita. Da questo si capisce che la mancata accoglienza preclude ogni possibilità di reale incontro, di riconoscimento dell'altro, di dialogo, di scambio culturale. 

Incontrarsi

Lo Spirito parla in questa possibilità di ascolto reciproco autentico, nella ricerca del vero e del bene di tutti gli uomini e di tutte le donne, nella condivisione di valori, di tutto quello che forma ed edifica l'umano. Comprendersi e incontrarsi è esperienza di grazia donata, riconoscimento dell'iniziativa di Dio che opera nella vita di tutti. Il fondamento di questo processo, che parte dal comune ascolto dello Spirito, caratterizza la vita delle prime comunità cristiane. È la vita della Chiesa dai molti volti che nasce dalla Pentecoste. L'incontro di culture nella Chiesa delle origini ha consentito di valorizzare le diversità nella comune tensione alla comunione. È la presenza delle diversità che ha permesso di cogliere il dinamismo dell'incarnazione. "Non farebbe giustizia alla logica dell'incarnazione pensare a un cristianesimo monoculturale e monocorde" (Evangelii Gaudium, 117). Il ricordo del Signore spinge i discepoli non a ripetere i gesti e le parole di Gesù, ma a riconoscerlo operante sulle strade e nelle vite concrete degli uomini. La storia, che è sempre storia di incontri, di relazioni, di culture, è esodo, continua ricerca del volto di Dio nella pluralità dei volti. L'esperienza dell'esodo come consapevolezza del dono rende possibile e ravviva la convivialità delle differenze: "Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere" (At 2,42).  

Diversità

Nell'unità si esprime visibilmente la diversità di carismi, di ruoli, di ministeri, di funzioni. La sfida della reciprocità continua a provocare la Chiesa al suo interno. Il dinamismo della comunione si incarna nel vivere concreto della comunità, nella vita sociale, nello strutturarsi delle relazioni a tutti i livelli. Fede e vita, Parola e cultura: ogni tentativo di assolutizzazione renderebbe sterile l'annuncio e la testimonianza. La tensione alla comunione con Dio e con tutti i fratelli sarà visibile nella capacità di parlare con parole comprensibili a tutti. La chiesa avrà così realmente un volto aperto all'altro e pluriforme. "La Chiesa, che è insieme ‘società visibile e comunità spirituale', cammina con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio" (Gaudium et spes, 40). L'incontro di culture fa il popolo di Dio e lo costituisce fermento nella storia. Papa Francesco, richiamando la Novo Millennio ineunte, ricorda che "il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale, bensì, ‘restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all'annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato'" (Evangelii Gaudium, 116).

Il dialogo

Il Papa ci ricorda che la Chiesa, fedele alla sua missione, è chiamata ad annunciare il Vangelo della vita nei molteplici ambiti dell'esistenza concreta dove uomini e culture vivono e si incontrano. Assolutizzare un'unica forma di comunicazione culturale significherebbe cadere "nella vanitosa sacralizzazione della propria cultura" (cfr Evangelii Gaudium, 117). Il dialogo, quando è abitato dalla comune tensione al bene, diventa disposizione di coscienza aperta all'accoglienza, al confronto sereno, al discernimento. La valorizzazione delle differenze ridona dignità e diventa via di giustizia. Di fronte alle grandi trasformazioni sociali, politiche ed economiche, dovute al fenomeno della globalizzazione, è difficile definire correttamente la realtà in termini pluralistici: non è un caso che il Papa parli di globalizzazione dell'indifferenza. Per ribadire l'amicizia sociale è necessario puntare su quell'unità rigenerata continuamente dalle differenze che aprono possibilità di vita nuova. L'istanza della solidarietà, come ferma e costante decisione per il bene comune, si fa impegno profondo e sfida: il superamento dei conflitti e delle tensioni nel dialogo è passo che costruisce la storia. "Non significa puntare al sincretismo, né all'assorbimento di uno nell'altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto" (Evangelii Gaudium, 228). Pluralismo e dialogo devono poter consentire l'apertura a una cittadinanza attiva che coinvolga tutti nel pensare e progettare insieme nuovi processi e tentativi di formazione. Insieme per aiutarci reciprocamente a riconoscere vie di autentica realizzazione e promozione di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Alla comunità credente è chiesta un'attenta e lucida riflessione che contribuisca a individuare percorsi di formazione finalizzati a promuovere la convivenza in contesti multiculturali. L'incontro tra culture favorisce il pensare critico, il confronto come reciproca educazione al dialogo, come responsabilità e cura di relazioni. La Chiesa ha bisogno di riscoprire anche al suo interno la bellezza del dialogo, l'importanza del riflettere insieme, la certezza di essere sostenuti dallo Spirito nel cammino non facile della comune tensione al bene. Il dialogo si fa così istanza imprescindibile per una Chiesa che si vuole in uscita e in ascolto delle speranze e delle attese di tutti. La Chiesa-profezia è fermento nella società quando promuove l'impegno politico come la più alta forma di carità e l'utopia del bene comune come realizzazione della speranza. Lo ha ricordato anche papa Francesco al convegno ecclesiale di Firenze: "Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria fetta della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti". Una cultura che tendenzialmente assume al suo interno il valore dell'accoglienza è di per sé già aperta all'autentico dialogo interculturale. Il riconoscimento delle differenze genera la possibilità di simmetrie necessarie per creare spazi di condivisione nella complessità delle relazioni. Il dialogo si fa consegna dell'umano redento!