La buona notizia della nonviolenza e la sua recezione nel Magistero della Chiesa Cattolica.
Tra i documenti del Concilio la Gaudium et spes si occupa espressamente del tema della pace, nel capitolo V. L'oltre mezzo secolo trascorso dalla sua promulgazione non offusca l'attualità di una connessione fondamentale:
la pace è inscindibilmente connessa al Vangelo, come aveva già compreso San Paolo, che parlava del "Vangelo di pace" (Ef 6,15). Lo aveva riaffermato Giovanni Paolo II, che scriveva: "Noi cristiani, l'impegno di educare noi stessi e gli altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra religione", perché Cristo è "la nostra pace" (Ef 2,14) e il suo è ‘Vangelo della pace'" (Giovanni Paolo II, Giornata mondiale della Pace del 1° gennaio 2004: "Un impegno sempre attuale: educare alla pace", nda). Ciò che ne consegue è la fattibilità storica della pace, che tuttavia non sempre era ed è ritenuta possibile. Non lo era nemmeno nell'allora giovane teologo Joseph Ratzinger, che nel dibattito conciliare aveva espresso non poche difficoltà (cfr. J. A. Komonchak, "La redazione della Gaudium et spes", in Il Regno – Documenti XLIV – 1999 – 13, 446-455, nda) e che tuttavia, da Papa, oltre a vedere la pace come dono di Dio, ha invitato a costruirla, perché essa è anche "frutto di un impegno da parte dell'uomo (Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLVI Giornata mondiale della Pace – 1° gennaio 2013, "Beati gli operatori di pace", nda) assecondando le parole di Gesù: "Beati coloro che fanno la pace" (Mt 5,9). Tale fattibilità era del resto maturata attraverso momenti importanti, come il messaggio di Paolo VI all'ONU del 4 ottobre 1965 e attraverso il dibattito relativo al V capitolo della Gaudium et spes, in cui emersero quegli aspetti etici oggi diventati patrimonio comune della teologia e che vanno dalla immoralità della guerra moderna indiscriminatamente distruttiva alla valutazione positiva della scelta della nonviolenza in nome di Cristo, dalla denuncia del pericolo del fratricidio generalizzato alla presa di coscienza delle guerre nascoste, dalla condanna del genocidio e della corsa agli armamenti alla proposta di un bando internazionale della guerra con il relativo controllo da parte di una comunità internazionale come le Nazioni Unite (cfr. Storia del Concilio Vaticano II, diretta da G. Alberigo, 5 voll., Il Mulino, Bologna 1995-2001, V, 411-412, nda ). Al Concilio proprio alcuni "periti" come J. Ratzinger e altri avevano ammesso l'inapplicabilità delle teorie morali classiche sulla "guerra giusta", pur invitando a non voler condannare tutti i responsabili politici e i cittadini coinvolti nelle operazioni belliche e pur difendendo il valore etico della legittima difesa e della difesa dei valori ultimi (cfr. Komonchak, "La redazione della Gaudium et spes", 451, che rimanda a J. Ratzinger, Die letzte Sitzungsperiode des Konzils, da noi consultata in Id., Gesammelte Schriften, Hg. G. L. Müller, Band 7/1 "Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils", Herder, Freiburg – Basel – Wien 2012, 527ss., nda). Sebbene l'utilizzo delle armi di distruzione di massa venisse condannato, non altrettanto avvenne al Concilio per la costruzione e il possesso delle armi atomiche. Ciò era anche effetto della guerra fredda tra gli Stati Uniti e l'URSS e della guerra in Vietnam, sotto il motto del "realismo politico" a fronte del valore evangelico "ideale", tacciato sovente di idealismo.
Il magistero contestuale e successivo al Vaticano II
E tuttavia non mancarono le voci profetiche sia allora sia successivamente al Concilio, che hanno spinto il magistero della Chiesa verso posizioni più consone al Vangelo. È da menzionare il cardinale Lercaro, che invitando a un discernimento tra "sapienza umana" e "sapienza evangelica", aveva criticato apertamente nell'aula conciliare la timidezza verso il ricorso al Vangelo e le ristrettezze culturali occidentali (cfr. J. A. Komonchak, "La redazione della Gaudium et spes", in Il Regno – Documenti XLIV 1999 - 13, 446 – 455, nda). Coerentemente, aveva invitato a non limitarsi a condannare solo gli atti di guerra indiscriminatamente distruttivi, ma la guerra in quanto tale, perché contraria al Vangelo e a Cristo. Parlando poi della resistenza al male, la riteneva doverosa contro l'ingiusto aggressore, ma muovendo dalla resistenza spirituale e sapienziale, mentre oggi diremmo dalla resistenza nonviolenta attiva.
Quanto a papa Giovanni XXIII, il Concilio, pur non concluso da lui, risentì sicuramente del suo magistero, che in materia di pace era certamente innovatore e vicino al Vangelo. Un mese prima dell'apertura del Vaticano II nel suo Radiomessaggio ai fedeli dell'11 settembre 1962, egli aveva raccolto l'anelito generalizzato alla pace, dicendo che "la Chiesa, madre di tutti indistintamente, solleverà una volta ancora la conclamazione che sale dal fondo dei secoli e da Betlemme, e di là sul Calvario, per effondersi in supplichevole precetto di pace: pace che previene i conflitti delle armi, pace che nel cuore di ciascun uomo deve avere sue radici e sua garanzia". Su questa scia individuava la pace da costruire "non solo nella sua espressione negativa, che è detestazione dei conflitti armati, ma ben più nelle sue esigenze positive, che richiedono da ogni uomo conoscenza e pratica costante dei propri doveri". In questa luce papa Giovanni XXIII aveva dichiarato irrazionale e inumana la guerra e tutto ciò che conduce ad essa come il riarmo e le ingenti risorse sottratte ai poveri per realizzarlo e implementarlo (Così nella Pacem in terris, n. 59), ritenendo la guerra "aliena appunto dalla ragione", come poi ha scritto nell'enciclica Pacem in terris: "Pertanto nella nostra epoca, che si gloria della forza atomica, è alieno dalla ragione ritenere che la guerra sia adatta a ristabilire i diritti violati".
Il magistero di Paolo VI cammina sul binario del suo predecessore. Basta considerare il suo messaggio di Bombay (3-5/12/1964), poi esplicitamente ripreso nell'enciclica Populorum progressio (cfr. n. 51) e che la Commissione Giustizia e Pace ha sintetizzato con: "disarmare per sviluppare", in riferimento al suo discorso all'ONU del 4 ottobre dell'anno successivo. Qui troviamo un appello davvero incisivo: "Lasciate cadere le armi dalle vostre mani!". La Commissione "Giustizia e Pace" poteva perciò concludere: "Pertanto, il dovere è altrettanto chiaro come la diagnosi: - Bisogna fermare la corsa agli armamenti. - Bisogna tradurre in atto la riduzione degli armamenti" (Pontificia Commissione Giustizia e Pace, La santa sede e il disarmo, conclusione del primo capitolo della prima parte – EV 5/2005, nda). Il materiale riguardante Giovanni Paolo II sulla pace è molto vasto. Si può ricondurre a una serie di binomi, come quelli che compaiono espressamente nei temi di molte Giornate mondiali della Pace, iniziate già con Paolo VI. Quello del 1982 recitava: "La pace, dono di Dio affidato agli uomini", mentre il tema del 1980 era: "La verità come forza della pace". È un'espressione che evoca "la forza della verità" (Satyagraha) di Gandhi, ma che per il Papa era anche saldamente da raccordare con il grande tema della libertà, se nel 1981 lo riformulava: "Per servire la pace, rispetta la libertà". Le Giornate mondiali successive (1983-1985) raccordavano la pace con le condizioni o le persone che la favoriscono (Rispettivamente: "Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo"; "La pace nasce da un cuore nuovo"; "La pace e i giovani camminano insieme"), ed erano seguite da temi che sembrano essere risposte a obiezioni di stampo spiritualistico, le quali dichiaravano e dichiarano tuttora inutile l'impegno per la pace, essendo essa soltanto dono di Dio. Dal 1986 al 1996 le Giornate mondiali mettono a tema vere e proprie aperture di spazi mentali, sociali ed ecclesiali da compiere verso l'esterno e verso nuove situazioni del mondo attuale, sì da chiedere il superamento di confini e di frontiere geografiche e mentali. La costruzione della pace passa perciò anche attraverso l'agire umano nella storia, come attestano i temi: "Sviluppo e solidarietà, chiavi della pace"; tra le quali chiavi ci sono "l'opzione preferenziale per i poveri", la pace della famiglia umana, la figura della donna, educatrice alla pace, il futuro di pace cui hanno diritto i bambini. Un ritorno alla Gloria a Dio e pace agli uomini avviene con il tema del 2000, anno giubilare della redenzione e con l'inscindibile nesso tra giustizia e pace, accompagnato dal perdono. Gli altri interventi, compresi quelli di Benedetto XVI e papa Francesco sono numerosissimi ed è impossibile menzionarli tutti. Collegano però la pace alle caratteristiche del regno di Dio, come si evince da una sintesi a partire dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (CDSC), che tiene conto del Vaticano II e dell'insegnamento magisteriale ad esso successivo. Il capitolo 9 è dedicato specificamente alla comunità internazionale, mentre il 10 riprende il tema dell'ambiente, con riferimenti biblici e teologici, oggi riaffermati e ampiamente sviluppati nella Laudato si' di papa Francesco, mentre il capitolo 11 chiude la seconda parte del Compendio e verte specificamente sulla promozione della pace. Fondamentale appare al n. 488 questo passaggio: "Prima di essere un dono di Dio all'uomo e un progetto umano conforme al disegno divino, la pace è anzitutto un attributo essenziale di Dio: ‘Signore-Pace' (Gdc 6,24)", perché "nella Rivelazione biblica, la pace è molto più della semplice assenza di guerra: essa rappresenta la pienezza della vita (cfr. Ml 2,5)", per questo non è mai disgiunta dall'annuncio del Vangelo, che è appunto "la buona novella della pace".
Pace e giustizia
È, inoltre, affermato che la pace, "frutto della giustizia" (Is 32,17), ha necessarie conseguenze per il rispetto dei diritti umani e del bene comune, essendo essa sempre da collegare alla carità; anzi, essendo la pace stessa atto specifico di carità (cfr. Tommaso d'Aquino - STh II-II, q. 29, a. 3, ad 3 - e ovviamente il Vaticano II - GS 78, nda). Pertanto viene rifiutata la violenza, che non è mai una risposta "giusta" all'ingiustizia (CDSC n. 496). I nonviolenti sono nello stesso testo finalmente apprezzati e realisticamente menzionati: "Anche il mondo attuale ha bisogno della testimonianza di profeti non armati, purtroppo oggetto di scherno in ogni epoca" (n. 496). La nonviolenza si profila, così, come l'alternativa evangelicamente più idonea al cosiddetto fallimento della pace che è la guerra (n. 497 ss). Ciò significa la condanna dell'"enormità della guerra" e il ricorso alle organizzazioni internazionali nel dirimere le controversie foriere di guerra (nn. 498-499), mentre per la "legittima difesa" non solo riaffiorano le riserve della GS, ma si accentua la difficoltà della valutazione etica per il "grandissimo peso e della potenza dei moderni mezzi di distruzione". È così anche acquisita l'immoralità etica della cosiddetta "guerra preventiva", che si affianca all'esplicita e diretta condanna della guerra totale contenuta nella Gaudium et spes al n. 80, mentre si riprende e rafforza l'obbligo morale di disubbidire agli ordini criminali: "Ogni membro delle forze armate è moralmente obbligato a opporsi agli ordini che incitano a compiere crimini contro il diritto delle genti e i suoi principi universali" (n. 503). Si afferma che deve sempre prevalere il principio di umanità anche per la tutela degli innocenti e quella dei rifugiati, contro ogni genere di distruzione di gruppi e di etnie (nn. 504-506) e per ciò che riguarda il disarmo, nei successivi nn. 507-508, facendo riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica e a Giovanni Paolo II (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2316; Giovanni Paolo II, Discorso al Mondo del Lavoro, Verona 1988, 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, nda), il Compendio afferma: "Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente […] Le armi non devono mai essere considerate alla stregua di altri beni scambiati a livello mondiale o sui mercati interni" (n. 508). "Severe riserve morali" sono avanzate anche sulla deterrenza attraverso l'accumulo delle armi, con una più chiara e netta condanna delle armi di distruzione di massa (biologiche, chimiche e nucleari) e del terrorismo e dell'odio omicida in nome di Dio" (nn. 513-515). Sul riarmo è importante richiamare un testo della Pontificia Commissione Giustizia e Pace del 1976, oggi pressoché ignorato, dal titolo La santa sede e il disarmo, che condannava "la corsa agli armamenti, anche quando è dettata da una preoccupazione di legittima difesa". Lungi dall'essere un valore, del riarmo si diceva che è un pericolo, un'ingiustizia (violazione del diritto e furto), un errore; una colpa. Il testo aggiungeva realisticamente che "leggi e convenzioni resteranno lettera morta se non sono animate dall'interno da una volontà politica, accompagnata da una strategia di pace". A tale strategia di pace richiama continuamente papa Francesco che, oltre a indicare nel commercio delle armi stesse e la fonte primaria delle guerre e delle tensioni, ha invitato anche a praticare fattivamente la nonviolenza come la via più coerente con il Vangelo e con la testimonianza della carità. Basti qui ricordare il tema della Giornata mondiale della Pace del 2017, che costituisce un'acquisizione dottrinale, un programma per il presente e il futuro e un impegno continuo: "La nonviolenza: stile di una politica per la pace".