Dagli scarti delle nostre città e dalle periferie umane e urbane, possono nascere inediti percorsi di riconciliazione.
…Vi sono cittadini che ottengono i mezzi adeguati per lo sviluppo della vita personale e familiare, però sono moltissimi i “non cittadini”, i “cittadini a metà” o gli “avanzi urbani”. La città produce una sorta di permanente ambivalenza, perché, mentre offre ai suoi cittadini infinite possibilità, appaiono anche numerose difficoltà per il pieno sviluppo della vita di molti. Questa contraddizione provoca sofferenze laceranti. In molte parti del mondo, le città sono scenari di proteste di massa dove migliaia di abitanti reclamano libertà, partecipazione, giustizia e varie rivendicazioni che, se non vengono adeguatamente interpretate, non si potranno mettere a tacere con la forza.
Evangelii Gaudium, 74
Una nuova grammatica dell’esistenza è forse l’unica vera profezia del nostro tempo! Il linguaggio di papa Francesco genera irrimediabilmente un curioso fastidio. Sarebbe più conveniente sentire parole che rassicurano i nostri stili di vita e che giustificano le nostre contraddizioni e fughe. Le nostre coscienze, però, scombussolate da una provocazione che ci riporta all’essenziale, cioè al volto dell’uomo più ferito, più fragile, sono richiamate a un rovesciamento di prospettiva, a un nuovo modo di guardare la città, i luoghi e gli spazi dove le nostre esistenze si intrecciano e si incontrano. Il Papa, nella semplicità di parole e passaggi comprensibili a tutti, rivoluziona mentalità e provoca i credenti a pensare. Dio abita la città!
Dov’è tuo fratello?
La presenza degli “scarti” apre vie di denuncia e annuncio: beati coloro che riconoscono e raccolgono l’ingiustizia; beati coloro che cercano, attraverso l’impegno personale e sociale, modi concreti per un’autentica attuazione del bene comune.
“Sono moltissimi i ‘non cittadini’, i ‘cittadini a metà’ o gli ‘avanzi urbani’. La città produce una sorta di permanente ambivalenza, perché, mentre offre a suoi cittadini infinite possibilità, appaiono anche numerose difficoltà per il pieno sviluppo per la vita di molti. Questa contraddizione provoca sofferenze laceranti” (Evangelii gaudium, 74).
La città dell’uomo è il punto di vista essenziale che può indicare percorsi nuovi e coerenti andando oltre le forme e le geometrie, per leggere attentamente la maniera dello strutturarsi del vivere comune. Una lettura critica della città può e deve innescare processi di promozione della dignità umana, della giustizia e della reale partecipazione di tutti e di ciascuno, proprio là dove dimora l’indifferenza, l’incapacità di sentire l’altro, il rifiuto dei poveri, la miseria che si impone ai nostri occhi e chiede un impegno responsabile: che ne hai fatto di tuo fratello?
È in questa domanda, riconosciuta e accolta, il segno autentico della nostra conversione. La presenza interpellante dell’altro, il grido sordo del debole, la miseria dell’avanzo urbano è specchio davanti al quale siamo chiamati a riconoscere la nostra stessa dignità e il senso della nostra presenza in questo mondo.
Solo questa solidarietà è capace di risvegliare le coscienze a “vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città” (Evangelii gaudium, 75) edificando e fecondando l’intera città, rendendo incisiva la presenza di credenti e non credenti.
È una solidarietà che apre i confini, che dona orizzonti condivisibili, è la cifra della vera esistenza umana, forma della fraternità universale (cf Laudato si’, 228).
Dio è presente, abita e opera nella continua ricerca degli uomini che desiderano promuovere logiche di solidarietà, di fraternità, di ricerca del vero bene, di giustizia. “Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata” (Evangelii gaudium, 71).
Profezia dei piccoli passi
Le strade delle nostre città, i luoghi della comune convivenza, gli spazi che possiamo aprire per un impegno concreto, gli angoli dell’indifferenza, le piazze sempre più vuote diventino veri segni di contraddizione!
Non vi sono città ideali, vie diverse, per riconoscere le ferite del nostro vivere insieme, le ferite dell’uomo. Raccogliamo tra le mani la casa comune che ci è affidata: è la nostra casa, è la casa di tutti. Trasformiamo, con la delicatezza e la fermezza dei piccoli passi, le ferite in segni di speranza. Nessuno è escluso da questo cammino, tutti siamo chiamati a costruire ogni giorno, con il nostro impegno personale e sociale, la città dell’uomo, a misura d’uomo, a misura del bene concretamente possibile.
Conoscere le regole, le tradizioni religiose, i modi standardizzati di una comoda vita civile non bastano a convertire la nostra consapevolezza. Imparare la nuova grammatica dell’esistenza è possibile solo a partire dall’esperienza intima e profonda della prossimità di Dio che viene incontro, visita, rialza, riabilita. È Dio stesso ad operare quando noi siamo capaci di incontrare, visitare, rialzare. E Dio opera nel senso del bene comune di credenti e non credenti.
Dio opera nell’impegno politico di quei credenti che riconoscono nella politica la forma più alta di carità.
Le ferite della città non sono altro che lo specchio delle ferite di tutta l’umanità. Sono le piaghe di Dio, di un Dio che è risorto, feritoie di luce e speranza. La speranza siamo noi, che con le nostre mani, l’impegno concreto, siamo chiamati a prendercene cura. C’è una resistenza da mettere in campo, ed è la resistenza all’inganno. Resistere ad ogni tentativo di ledere la dignità, di rubare la libertà, la speranza, il futuro; resistere ad ogni dittatura dello spirito, ad ogni tipo di prepotenza e di prevaricazione.
Il Vangelo chiede di non rassegnarci, di non arrenderci, di non consentire alla verità di vivere sommersa dalla menzogna. Chiede impegno tenace, umile, quotidiano, accoglienza reale dei volti feriti. Questa sola e unica responsabilità non si coniuga con il disimpegno, con l’evasione, ma con la cura del vivere insieme nella città.
Solo in questo modo il Vangelo, parola di Dio all’uomo, può diventare via per ristabilire la dignità della vita umana nei contesti delle nostre città. I luoghi di fuga e di sfiducia possono trasformarsi in spazi di incontro e di solidarietà, di autentica reciprocità. Non sarà difficile lasciare abitare i nostri dialoghi dalle vere ferite che segnano le nostre strade, da parole che non edulcorano la realtà ma ne leggono l’abbandono, lo sfruttamento, la corruzione, la criminalità, l’esclusione. Parole capaci di andare oltre, di tendere al bene possibile, capaci di rialzare, di cambiare, di curare e di guarire. Organizziamo la nostra speranza! I veri profeti non solo parlano ma indicano vie concrete, trasfigurano la realtà, rendono il presente aperto al futuro. Anche la Chiesa è chiamata a porsi a servizio di questo dialogo difficile. “È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città” (Evangelii gaudium, 74).
Le ferite non sono nascoste a Dio, sono sacramento, luogo della riconciliazione, banchetto dell’Eucaristia. Sono il corpo e il sangue di Cristo. Sono il tabernacolo della speranza.
Impariamo a riconoscere e a chiamare per nome le ferite delle nostre città. Alla denuncia segua la reale cura!
Crediamo in una progettualità possibile che ci chiama a farci corresponsabili, chiediamo con forza alle istituzioni di mettere al csentro l’uomo e il bene comune. Crediamo nella cultura della legalità, che è il rispetto dell’altro, il privilegio del debole, il rifiuto della disuguaglianza non solo economica ma di speranze. Perché anche la politica possa essere progetto e tensione, sogno e profezia. Capacità di vedere lontano, di osare un tempo nuovo. Per ridare un volto umano alla nostra società.