Non solo mistica e non solo estetica: dalla ricerca della verità all’attenzione alla realtà in ogni suo aspetto.
Quando si scrive sulla bellezza, come in questa rubrica che cerca di coglierne le sfaccettature più diverse nella società contemporanea, vengono in mente e in aiuto alcune persone che, con la loro vita e i loro scritti, hanno testimoniato l’impegno e la responsabilità verso la bellezza come valore primario da perseguire e costruire nel mondo. Simone Weil è sicuramente tra queste persone, credo anzi sia la figura di riferimento principale nella riflessione e nella testimonianza sulla bellezza. Nata a Parigi nel 1909 e morta a Londra nel 1943 mentre partecipava dall’estero alla resistenza contro il nazismo, la Weil ci parla più volte di bellezza dai suoi Cahiers, che sono una sorta di zibaldone con migliaia di riflessioni e annotazioni folgoranti. Questi Quaderni (Adelphi, Milano,1982-93, 4 voll.), nonostante o forse proprio a motivo della loro frammentarietà, rappresentano in effetti una delle più lucide analisi dei problemi umani e sociali che siano state scritte nel Novecento e che ancora oggi ci interpellano con grande forza.
È ovviamente impossibile trattare qui in modo esauriente la biografia di Simone, per la quale rinvio soprattutto all’ampia biografia di Simone Petrémont (La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994) e ai saggi di Giancarlo Gaeta che accompagnano i Quaderni. Mi limito a ricordare che Simone, nata e cresciuta in una famiglia ebrea non osservante, fu allieva del filosofo Alain e unì alla passione per la filosofia, intesa in modo integrale, una pratica costante dei valori che la portò a lavorare in fabbrica e nei campi, così come a partecipare, fino all’esaurimento fisico, all’attività della radio della resistenza francese che trasmetteva da Londra durante la guerra e l’occupazione della Francia.
La ricerca religiosa
Una dimensione dominante della vita della Weil è rappresentata dalla sua incessante ricerca religiosa: fino alla fine, come testimoniano soprattutto le sue lettere al padre Perrin raccolte in Attesa di Dio(Adelphi, Milano 2008), Simone è stata sulla soglia del cristianesimo e del desiderio di essere battezzata ma, per quanto ci è dato sapere, non si è sentita di superarla formalmente.
Un episodio essenziale della vita di Simone è rappresentato da una singolare esperienza mistica di cui ella riferisce in modo velato in quello che viene chiamato il Prologo e che la stessa autrice intendeva dovesse essere l’inizio dei suoi Cahiers. Vale la pena di riportare l’inizio di questo misterioso brano, che Simone scrisse durante alcuni giorni di riflessione passati presso il monastero di Solesmes, dopo l’ascolto del gregoriano, e che alludono a un incontro personale con il Cristo: “Entrò nella mia camera e disse: ‘Miserabile, che non comprendi nulla, che non sai nulla, Vieni con me e t’insegnerò cose che neppure sospetti’. Lo seguii. Mi portò in una chiesa. Era nuova e brutta. Mi condusse di fronte all’altare e mi disse. ‘Inginocchiati’. Io gli dissi: ’Non sono stato battezzato’. Disse: ‘Cadi in ginocchio davanti a questo luogo con amore, come dinanzi al luogo in cui esiste la verità’. Obbedii” (Quaderni I, pp.103-104).
L’incontro si conclude con il distacco, non privo di speranza, dalla figura del misterioso maestro:
“So bene che non mi ama. Come potrebbe amarmi? E tuttavia in fondo a me qualcosa, un punto di me, non può impedirmi di pensare tremando di paura che forse, malgrado tutto, mi ama”. (Ivi, p.105).
La ricerca della verità
Risulta anche che l’esperienza mistica fu legata alla lettura di una intensa lirica del poeta metafisico inglese George Herbert (1593-1633) intitolata Love, in cui si allude all’amore del Cristo (la poesia venne tradotta da Cristina Campo in La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991, p.173). Questa premessa ai Cahiers è un elemento, accanto ad altri, per farci comprendere che la bellezza per la Weil non ha nulla di estetizzante, di esterno o separato rispetto ai valori e ai bisogni più profondi dell’uomo, e alla sua stessa sofferenza. Quando Simone scrive: “Il bello è l’unico criterio di valore nella vita umana. Il solo che si possa applicare a tutti gli uomini. Altrimenti non resta che il benessere… Le condizioni di una vita piena sono equivalenti per tutti gli uomini, ma sotto forme, beninteso, differenti (Quaderni, I, p.191), essa non dimentica le due forme del male, il peccato e la “sventura” o malheur, parola difficilmente traducibile che allude a una situazione penosa o alla sorte malvagia. Vi sono, secondo la Weil, due modi per cambiare il mondo, la forza (che assume nella guerra la sua forma estrema) e l’insegnamento: ma a ben guardare accanto ad essi si trova anche una terza via, che è il bello.
Parecchi pensieri dei Quaderni testimoniano, con la frammentarietà creativa che è una loro caratteristica, l’importanza del bello nell’arte e nella poesia: “È bella la poesia composta mantenendo l’attenzione orientata verso l’ispirazione inesprimibile, in quanto inesprimibile” (Quaderni, III, p. 89).
“E come il poeta non scrive un bel verso per i suoi lettori, o per Dio, o per una ragione qualsiasi, ma perché l’ispirazione lo prende, e a motivo della realtà inesprimibile verso la quale è orientata la sua attenzione.., così è dell’atto d’amore. Il poeta produce il bello mediante l’attenzione fissa su qualcosa di reale. Così pure l’atto d’amore” (Ivi, p. 132).
Il punto più intenso delle meditazioni weiliane sulla bellezza riguardano il rapporto con la verità, tema caro alla filosofia classica greca. Secondo Simone, “Non c’è niente al di là del bello. Solo il bene è più del bello, ma non è al di là, è all’estremità del bello come il punto terminale di un segmento di retta… (Ivi, p.336).
“L’Amore è disceso per amore in questo mondo sotto forma di bellezza” (Ivi, p.386).
“Il bello è il contatto del bene con la facoltà sensibile… il vero è il contatto del bene con l’intelligenza. Tutti i beni di quaggiù, tutte le bellezze, tutte le verità sono aspetti diversi e parziali di un bene unico” (Quaderni, IV, p. 118).
In definitiva, “Grazie alla saggezza di Dio, che ha posto sul mondo il contrassegno del bene sotto forma di bellezza, si può amare il bene sotto forma di bellezza, si può amare il Bene attraverso le cose di quaggiù. La bellezza è rispetto alle cose ciò che la santità è rispetto all’anima” (Ivi, p.175).
Vi sono altri passaggi straordinari, come quando la Weil, che aveva condiviso la dura esperienza degli operai in fabbrica negli anni Trenta, giunge ad affermare che “i lavoratori hanno bisogno più di poesia che di pane. Hanno bisogno che la loro vita sia una poesia, bisogno di una luce di eternità” (Quaderni, III, p.321).
Pensieri
Leggendo e meditando su questi e altri pensieri – che continuano a colpirci profondamente a 70-80 anni dalla loro elaborazione –, viene da chiedersi come abbia potuto maturare una vocazione tanto eccezionale in una giovane donna francese che visse 34 anni soltanto e che ci ha lasciato soltanto delle riflessioni non sistematiche (quelle dei Quaderni, soprattutto), delle lettere e poche poesie, oltre a un unico libro compiuto, la tragedia Venezia salva (Adelphi, Milano 1987). A questo riguardo, l’ambiente familiare di Simone rappresentò evidentemente un elemento primario nella sua maturazione e socializzazione a certi valori e stili di vita. Un ruolo eminente nello sviluppare l’attenzione come forma di accostamento alla realtà, uno dei tratti più caratteristici della Weil, venne svolto dalla madre, Selma. Ce ne parla in un prezioso volume di memorie Margherita Pieracci Harwell, che negli anni Cinquanta-Sessanta fu a Parigi e divenne amica e quasi figlia adottata da Madame Weil, morta poi nel 1965 (S’apriva la finestra sull’amata Parigi, Poiesis ed., Alberobello 2017).
In particolare, la Pieracci illustra, con l’aiuto del proprio diario inedito tenuto in quegli anni, lo straordinario foyer culturale – il contrario di un salotto alla moda – che trovava espressione nella modesta abitazione di Madame Weil vicino al Lussemburgo e a cui partecipavano scrittori e intellettuali di indiscusso valore, tra cui Albert Camus.
I princìpi educativi che Simone ricevette insieme al fratello André sono stati sicuramente importanti nel forgiare la sua personalità e hanno contribuito a sviluppare, oltre alla virtù dell’attenzione, il sentimento della giustizia e della solidarietà. Ma poi la sua figura è emersa con tratti di straordinaria originalità, tra i quali l’accento sull’esperienza della bellezza non è certo secondario.
Vorrei terminare con una citazione dal volume della Pieracci, che ci parla di povertà e conferma una volta di più la qualità umana e l’intensità spirituale che animò Simone Weil: “La vera povertà è ‘essere pronti’ a lasciare tutto. E la santità di Simone consiste in questo: che aveva accettato di restare in attesa. A me pare la cosa più difficile – non gettarsi nell’atto ma essere pronti e fermi. Si deve accettare il vuoto, prima dell’azione” (S’apriva la finestra sull’amata Parigi, p.29).