Una fraternità possibile in ambito economico e sociale: cosa abbiamo imparato da questa crisi?
Da un laboratorio pugliese, riflessioni in ambito di economia civile.
La crisi economica che ha colpito l’Italia e gran parte del mondo occidentale si avvia a compiere i suoi dieci anni, lasciando uno strascico di problemi e una grande quantità di morti e feriti sul campo. Ma come ogni grande crisi, essa può rappresentare anche un momento di rilevanti opportunità. Di sicuro ha comportato un significativo rallentamento e, per diversi anni, una recessione delle economie di Paesi occidentali con perdite di posti di lavoro e aumento delle fasce di popolazione che vivono al confine o al di sotto della soglia di povertà. Questa crisi, scatenata da una “bolla“ speculativa dei mercati finanziari e immobiliari statunitensi, ha finito per evidenziare i limiti di un modello economico basato su due soli pilastri: il mercato e lo Stato. Una lobby ristretta di banche e di potentissime multinazionali ha finito per condizionare sempre più le scelte dei singoli Paesi in quanto gli strumenti in possesso di questi ultimi si sono rilevati inadatti e non più efficaci a governare fenomeni e spinte speculative di dimensioni globali. Gli Stati nazionali occidentali si sono ritrovati incapaci nell’assicurare quell’opera di “rimedio” ai danni causati da un mercato lasciato libero di agire o di effettuare quella redistribuzione della ricchezza alle fasce più povere che ha garantito dal secondo dopo guerra un livello di vita e di agiatezze mai avuto in precedenza.
Questi anni di crisi hanno evidenziato anche il crescere di una forte diseguaglianza sociale fra ricchi che, nonostante la recessione, divenivano sempre più ricchi e fasce più ampie di popolazione che arrancavano ad arrivare a fine mese o vivevano in uno stato di vera povertà.
Ma si è aperta la necessità di guardare verso nuovi modelli di sviluppo economico-sociali che riportino al centro la persona, le sue relazioni, il suo ben-essere, in una parola la felicità, intesa come bene pubblico. È tempo di voltare pagina e riportare parole come fraternità, dono, gratuità, scambio di “beni relazionali”, al centro del vocabolario del nostro vivere, del nostro agire economico, sociale e politico e contribuire a costruire un homo reciprocans da contrapporre all’homo economicus. È possibile farlo?
Ritrovare la speranza
Io sono convinto che sia possibile anche perché questa crisi sta divenendo sempre più anche crisi di senso e di speranza, soprattutto per i giovani. Per recuperare e ritrovare questa “speranza e senso” occorre un cambiamento radicale dei modi di pensare e di agire, una rivoluzione dei modelli sociali, politici ed economici che devono essere diversi da quelli che ci hanno portato fin qui.
L’economia civile
Una risposta può venire dal nuovo paradigma sviluppato in questi anni dall’“Economia Civile” finalizzato a produrre risposte concrete e a riportare la persona, le relazioni di comunità, la fiducia, al centro. Questo “nuovo sguardo” rappresenta il superamento del modello dualistico “Stato-mercato” per proporne uno nuovo a tre gambe: “Stato-mercato-società civile”.
Questo paradigma ha ripercussioni sia sui modelli politico-istituzionali di sviluppo locali e nazionali, sia sulle modalità di fare impresa sia, infine, sui nostri stili di vita.
L’economia civile vuol far riscoprire:
• agli imprenditori, la bellezza di essere “imprenditori civili” che coniugano il profitto con la sostenibilità ambientale, sociale e fiscale. Cioè, produrre ricchezza economica (sostenibilità economica), minimizzando o eliminando gli impatti ambientali (sostenibilità ambientale), rispettando la dignità delle persone che lavorano (sostenibilità sociale), e pagando le imposte dovute nel Paese dove si produce la ricchezza, senza ricorrere a escamotage di trasferimenti di sedi nei paradisi fiscali (sostenibilità fiscale);
• ai consumatori, che non sono un mero obiettivo di marketing, ma che possono divenire “consum-attori” grazie alla possibilità di “Votare con il proprio portafoglio”, preferendo quelle aziende e imprese che si comportano “civilmente” o depositando/investendo i propri risparmi in quelle banche o istituzioni finanziarie con un rating etico più alto (numerose sono ormai le agenzie in tal senso). Stanno nascendo anche strumenti sulla rete web che informano i consumatori sul “rating di sostenibilità” delle imprese in modo da riequilibrare quelle carenze di informazioni (asimmetria informativa) tipica del consumatore.
• ai giovani, che occorre studiare per acquisire capacità per creare anche nuovo lavoro puntando su ciò che non è de-localizzabile: sul nostro tesoro italico, rappresentato dalle bellezze del nostro territorio, dalla valorizzazione dei prodotti eno-gastronomici, dei beni artistici, archeologici.
• alla politica e alle istituzioni, che occorrono nuovi modelli partecipativi e inclusivi di “governance” dei territori quali l’applicazione del modello della “sussidiarietà circolare”, come lo ha definito il prof. Stefano Zamagni, che supera la “sussidiarietà orizzontale” prevista, recentemente, dalla nostra Costituzione. Questo modello pone le basi per una modalità diversa di pianificazione strategica dei nostri territori nella quale le istituzioni, le imprese e la società civile, sia pur con ruoli differenti e lasciando alle istituzioni un compito di regia, sono su uno stesso piano di pari dignità e sono co-protagonisti.
Formazione permanente
Perché questo paradigma dell’economia civile venga attuato occorre un vero e proprio cambiamento culturale. Occorre informare e formare sia i giovani, che saranno i decisori e pianificatori dello sviluppo di domani, sia gli attuali decisori.
Un ruolo fondamentale possono svolgere anche la Chiesa e le comunità cristiane per declinare e mediare le chiare e lungimiranti parole di papa Francesco (cfr. “Laudato si” ed “Evangeli Gaiudium”). Penso non ci sia leader sulla terra che abbia espresso in maniera più chiara di papa Francesco quale debba essere la via da percorrere per assicurare un futuro a questa nostra terra, che ponga al centro le persone, l’ambiente, un lavoro dignitoso.
Oltre alla formazione-informazione occorre poi creare “esperienze istituenti” che sperimentino questo nuovo paradigma. È urgente aiutare a far nascere esperienze imprenditoriali anche con la creazione di luoghi di accompagnamento dei giovani, di confronto, di co-working, di consulenza, nei quali i giovani si sentano accolti e accompagnati.
Occorre, infine, far nascere esperienze di pianificazione strategica dei territori, partecipative e inclusive, basate su standard, indicatori e obiettivi ormai consolidati a livello nazionale (vedi gli indicatori del BES - Benessere equo sostenibile – implementati da tre anni dall’ISTAT per fotografare la ricchezza e la sostenibilità delle nostre città) e i goal di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 (L’Agenda Globale delle Nazioni Unite sottoscritta dall’Italia e in particolare l’obiettivo n. 11 che parla di “rendere le città inclusive, sicure, resilienti e sostenibili”) per dimostrare che si possono progettare e realizzare politiche di sviluppo economico, industriale, urbanistico delle nostre città caratterizzate da principi di sostenibilità civile.
Queste “esperienze istituenti” possono aiutare tutti noi a capire che si può inaugurare un modello nuovo di fare impresa, di fare politica, di progettare e sviluppare i territori, nel quale oltre alle parole libertà e uguaglianza si riscopra la parola fraternità, la grande dimenticata delle tre parole regalateci dalla rivoluzione francese.