In memoria di p. Antonio Bonanomi, figura profetica dei missionari della Consolata,
a fianco dei popoli indigeni della Colombia.
Padre Antonio Bonanomi, missionario della Consolata per quarant’anni in Colombia, si è spento all’età di 83 anni ad Alpignano (Torino) lo scorso 7 gennaio. Ho incontrato varie volte padre Antonio al “Centro Missioni e Culture” dei missionari della Consolata nel quartiere di Modelia, a Bogotá. Nel 2012 gli proposi un’investigazione sociologica sul suo lavoro missionario in prima linea. Aveva continuato a lavorare, infatti, sulla scia del Concilio Vaticano II e della Conferenza dell’Episcopato latinoamericano di Medellin nel 1968, scegliendo l’opzione preferenziale per i poveri e in particolare per i popoli indigeni del Cauca (sud Colombia), sulle orme del primo sacerdote cattolico indigeno Nasa e del teologo della liberazione india padre Alvaro Ulque. Spero che la Chiesa italiana raccolga tutti i numerossimi articoli pubblicati da p. Antonio, prova della sua ricchezza spirituale e sociale nel dialogo permanente con i popoli, in una prospettiva interculturale, infrangendo i dogmi della colonizzazione e dell’eurocentrismo. Padre Bonanomi è stato sempre molto coraggioso nelle sue scelte, un missionario scomodo.
Nella sua ultima intervista, rilasciata a Paolo Moiola della rivista dei missionari della Consolata, a 83 anni compiuti (nel 2016), non ha risparmiato critiche alla Conferenza Episcopale Colombiana: “Non è facile parlare della Chiesa cattolica colombiana perché è una realtà molto amplia e complessa. Non sono mai mancate voci e gesti profetici, però nella sua maggioranza la gerarchia e il popolo cattolico hanno assunto posizioni conservatrici e si sono opposti al cambiamento. Molto significative sono state, in questo senso, le figure dei cardinali Alfonso López Trujillo, Dario Castrillón e dell’attuale arcivescovo di Bogotá, card. Rubén Salazar Gómez. In generale, si tratta di andare d’accordo con chi detiene il potere e di respingere ogni progetto di modificazione. A tal punto che molti pongono anche la Chiesa fra i responsabili della violenza in Colombia” (www.rivistamissioniconsolata.it/2016/11/01/colombia-un-paese-alla-ricerca-della-pace/).
Opzione preferenziale per gli indigeni
Padre Antonio Bonanomi (1934-2018), prima di rientrare in Italia per problemi di salute, è stato per 19 anni, dal gennaio 1988 al giugno 2007, a Toribío, nel nord del Cauca, sulla cordigliera centrale delle Ande: un luogo strategico per le vie di comunicazione e per la vicinanza alla città di Cali, oltre che epicentro delle attività di guerriglia, soprattutto delle ora disciolte Farc-Ep, che qui avevano formato il “sexto Frente” (sesto Fronte).
Pensando al difficile processo di pace in Colombia, p. Bonanomi lascia un’eredita spirituale per costruire pace coniugata con la giustizia e la nonviolenza: “È necessario cambiare il modello di sviluppo, consolidare uno Stato sociale di diritto, difendere i diritti delle minoranze, stabilire una politica ambientale chiaramente schierata a tutela degli interessi della nazione, toccare gli interessi dei grandi latifondisti, imprenditori e banchieri, porre dei limiti agli investimenti delle grandi compagnie multinazionali straniere e avviare un processo concreto per superare l’ingiusto divario tra ricchi e poveri”. E padre Giacinto Franzoi, compagno di missione di P. Bonanomi, commentava: “Anche in Colombia gli orizzonti di Antonio erano infiniti, dalla formazione dei seminaristi a missionario al fronte, sulle Ande tra gli Indios Nasa, con i quali ha fatto faville. Sapeva battere le porte per mettere insieme quell’elemosina che gli avrebbe consentito di portare a termine quei progetti di promozione umana a cui teneva molto. Non ci si può dimenticare di un uomo come lui, saggio, caparbio, buon compagno di viaggio, sognatore di ideali grandi, non per sé, ma per gli altri”.
Recentemente p. Bonanomi ha sintetizzato il suo percorso esistenziale: “Ho iniziato la mia vita quasi 83 anni fa da Giovenzana (Lecco). Il mio cammino ha assunto tre dimensioni. La prima geografica, perché ho visitato una cinquantina di Paesi tra Europa, Africa, Nord e Sud America. Ho iniziato dall’Italia, dove sono nato e cresciuto, e poi, a 19 anni, sono partito per la Colombia. Il mio è stato un camminare nel mondo. La seconda è, invece, una dimensione culturale. Quella degli indios d’America è la cultura che più porto nel cuore. È un popolo che vive di natura, e non della tecnica e del dominio che sono una farsa e ci stanno uccidendo, come persone e come società. Incontrarlo è stato per me un’esperienza entusiasmante e meravigliosa, che mi ha cambiato il cuore. La terza dimensione del mio cammino è spirituale. Sono partito come uno che doveva dare, invece ho imparato tanto. Sono diventato più umile e ricercatore della verità e della condivisione con il sorriso. Grazie alla Conferenza Episcopale Italiana in Colombia siamo riusciti a far molto, creando un centro universitario con 4 facoltà e circa 1000 studenti. È un luogo di crescita, che guarda al futuro sulla base della propria identità e del dialogo con gli altri”.
Anche p. Bonanomi credeva nel cambiamento intrapreso da papa Francesco, di cui apprezzava la visione di evangelizzazione “in uscita”, riflettendo in vari ambiti:
“Uscita da una ‘Chiesa-fortezza’, che proteggeva i suoi fedeli dai pericoli della cultura moderna, verso una ‘Chiesa-ospedale da campo’, che si preoccupa di tutte le persone ferite, senza badare alle loro situazioni morali o ideologiche.
Uscita da una ‘Chiesa-istituzione’, centrata in sé stessa, verso una ‘Chiesa- movimento’, aperta al dialogo universale con altre Chiese, religioni e ideologie.
Uscita da una ‘Chiesa-gerarchia’, creatrice di disuguaglianze, verso una ‘Chiesa-popolo di Dio’, nella quale tutti sono fratelli e sorelle uniti in una immensa comunità fraterna.
Uscita da una ‘Chiesa-autorità’ ecclesiastica, lontana dai suoi fedeli, a cui rischia di voltare le spalle, verso una ‘Chiesa-Buon Pastore’, che cammina in mezzo al popolo, che ha l’odore delle pecore e il profumo della misericordia.
Uscita da una ‘Chiesa-Papa’ di tutti i cristiani e dei vescovi, che governa con il diritto canonico, verso una ‘Chiesa-vescovo’ di Roma, che presiede nella carità, e solamente così diventa papa della Chiesa universale.
Uscita da una ‘Chiesa-maestra’ di dottrine e di norme, verso una ‘Chiesa-madre’, tenera e misericordiosa, con le porte aperte per incontrarsi con tutti, senza guardare la loro appartenenza religiosa, morale o ideologica, ponendo al centro le periferie esistenziali.
Uscita da una ‘Chiesa-ricca’ di potere sacro, di pompe e di vestiti solenni, di palazzi apostolici e titoli nobiliari, verso una ‘Chiesa-povera’ e per i poveri, spogliata di simboli di onore, serva e profeticamente contraria al sistema di accumulazione del denaro, l’idolo che produce sofferenza, miseria e morte.
Uscita da una ‘Chiesa che parla’ dei poveri, verso una ‘Chiesa che cammina’ con i poveri, dialoga con loro, li abbraccia e li difende.
Uscita da una ‘Chiesa-equidistante’ di fronte ai sistemi politici ed economici, verso una ‘Chiesa che si schiera’ a favore delle vittime e chiama per nome i responsabili delle ingiustizie; una Chiesa che invita a Roma i rappresentanti dei Movimenti sociali mondiali per discutere con loro su come creare possibili alternative.
Uscita da una ‘Chiesa-disciplina’, dell’ordine e del rigore, nello stile degli scribi e dei farisei, verso una ‘Chiesa misericordia’ impegnata nella rivoluzione della tenerezza e della cura, secondo l’esempio del Buon Samaritano.
Uscita da una ‘Chiesa triste’, ‘con faccia da funerale’, verso una Chiesa che vive la gioia e la speranza del Vangelo.
Uscita da una ‘Chiesa senza il mondo’, che ha permesso che nascesse un mondo senza Chiesa, verso una ‘Chiesa-mondo’, sensibile al problema dell’ecologia e del futuro della casa comune, la madre terra”, conclude p. Bonanomi.