Brevi considerazioni post elettorali.
Quali sfide attendono oggi la politica e a quali domande deve dar risposte?
In un modo o in altro, è fatta. Concluse anche queste elezioni politiche, con tante domande aperte, non poche perplessità, il senso di parecchie occasioni perdute, ma anche forse la possibilità di inedite prospettive di lavoro. Non è stato per niente facile, soprattutto perché abbiamo vissuto una campagna elettorale estraniante,vuota e dura, talora anche violenta. In più di un’occasione, i toni si sono esasperati al punto da rischiare di aprire la strada a forme di una violenza squadrista che davamo per sgominata una volta per tutte, ma che invece abbiamo visto riapparire in più occasioni nelle cronache. Ma il senso di ribaltamento prodotto dall'esito elettorale italiano, che segna la disfatta della sinistra ha le sue radici, profonde e lontane, internazionali, che sarebbe sciocco e irresponsabile ignorare. Così come non possiamo ignorare le grandi debolezze della politica di fronte alle domande della sua base sociale, delle sfide della contemporaneità, per le quali non ci sono e non possono esserci facili risposte: sfide serie come quella della disuguaglianza, della speculazione finanziaria, della crisi ambientale, ad esempio, da cui dipende non solo il futuro delle prossime generazioni, ma già da ora, il nostro stesso futuro immediato, quello dei prossimi anni (viste le dinamiche climatiche degli ultimi tempi). È veramente consapevole oggi la politica della instabilità climatica e sociale che stiamo attraversando, delle ripercussioni sui più deboli del debito pubblico, dei diritti costituzionali negati, dell’aumentare delle persone e delle comunità invisibili e non riconosciute? Quello che abbiamo davanti è preoccupante perché le disuguaglianze aumentano, i poveri anche, le guerre e i conflitti non cessano.
L’Italia è un paese dai divari più esasperanti in Europa, e crescenti – tra Nord e Sud, tra poveri e ricchi, vecchi e giovani. Con un serio problema demografico, il numero più elevato di giovani che non studiano e non lavorano. Giovani che vanno via per mancanza di riconoscimento politico, di prospettive di lavoro. Intere fasce di popolazione che necessitano riconoscibilità e cura, oltre i giovani: gli anziani, le persone che hanno perso il lavoro, coloro che vivono nel Sud del Paese, ignorato dalla politica nazionale da anni. E poi le donne, “che combattono ogni giorno con problemi come il sostegno all’occupazione, i servizi per l’infanzia o il divario salariale all’occupazione” (The New York Times, 4 marzo 2018). L’elenco non può, in questa sede, essere esaustivo, ma rende l’idea della sfida cui oggi la politica deve dare risposte.
Oltre alle politiche fiscali, uno dei temi protagonisti della campagna elettorale ha riguardato le politiche migratorie, semplificate in slogan del tipo “rimandiamoli tutti a casa”, o “aiutiamoli a casa loro”, ricette amministrate alla spicciolata che non tengono conto della inevitabilità strutturale della mobilità umana. Abbiamo sollevato enormi perplessità per le proditorie inadempienze e cecità delle politiche securitarie adottate dai governi italiani nelle scorse legislature. Oggi non possiamo nascondere una forte preoccupazione per l’ascesa netta di forze politiche che, su tale questione, mostrano visioni – se possibile – di ulteriore chiusura e protezionismo, in una Europa che si connota sempre più per i suoi muri.
Altra parola chiave, al centro delle nostre attenzioni, è l’Europa. Che resta il contesto in cui necessariamente ricollocarci, malgrado il successo delle forze politiche che si son dichiarate espressamente antieuropeiste e le altre, che di recente hanno sfumato i toni, ma hanno coltivato in passato una prospettiva ostile all’Europa, quanto meno a questa Europa.
Quale ruolo avrà dunque l’Italia in Europa?
In uno scenario alimentato da una legge elettorale fatta apposta per non garantire la governabilità, alcuni di noi non hanno sentito così lontane le ragioni del non voto, o di espressioni alternative al voto. Forse perché si avvertivano come troppo deboli i presupposti della nostra democrazia, talmente erosi da averne fatto smarrire il senso originario. Tra le componenti del non voto e del voto disperso e di protesta, è entrata in gioco anche la percezione di una politica complessivamente sempre più personalistica, personalizzata e inaffidabile, capace di sdoganare partiti d’ispirazione fascista e razzista, anticostituzionali, ispirati a uno dei periodi più neri della storia della nostra Repubblica. E ci auguriamo che, nel settantesimo anniversario della Costituzione, anche questo punto della Carta costituzionale possa essere attuato. Perché il razzismo dilagante, la violenza e l’esasperarsi dei toni di fronte alle diversità ha raggiunto livelli preoccupanti.
Come vogliamo augurare buon lavoro a coloro che hanno vinto le elezioni, chiediamo nello stesso tempo a tutti – proprio a tutti, a coloro che hanno votato o che non lo hanno fatto, che hanno votato per protesta o perché convinti – di diventare una forza di partecipazione e di cittadinanza attiva, quella che, in mille rivoli di impegno, è capace di ripartire dal basso. Dai bisogni veri di casa e lavoro, di scuola e salute, di una sicurezza sociale invece che di quella armata. Dalla capacità di difendere i diritti ancora presenti e dalla creatività per inventare nuovi orizzonti. Ed è una risposta vera alla fame di riconoscimento, di cura e di attenzione di ciascuno.
La democrazia è esercizio di voto, sì, ma c’è anche tutto questo. È anche fatta di vere e proprie pratiche politiche dal basso, come comitati per la difesa del territorio o l’impedimento della costruzione di una nuova autostrada; come cooperative che assumono la gestione di una fabbrica delocalizzata all’estero, comitati anti-sfratti, forme di accoglienza e di solidarietà certamente pre-politiche, ma sane e autentiche.
“C’è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l’unica salvezza”, cantava Giorgio Gaber e con lui molti di noi. È questo il luogo da cui ripartire. Perché, i NoTav insegnano, l’innovazione politica la fanno sempre più spesso coloro che sono fuori dal palazzo. Che, per strada o nei movimenti, praticano la polis.
Buon lavoro, quindi, a tutti, anche a chi, per strada e nelle tante prassi di ogni giorno, la politica la fa lo stesso. E pone le fondamenta per quella che potrà essere una buona politica domani.
Nel frattempo, il sogno di democrazia e la passione per costruirla, a partire da un’ottica dei diritti nel cuore, noi li terremo ben stretti. Non ce li porteranno via.