Qualifica Autore: Storico, esperto di geopolitica e vicepresidente dell’Istituto Ricerche internazionali Archivio Disarmo

Armi e rivoluzione informatica: dai droni ai robot killer.
Cosa cambierà? Quali rischi?

 

La rivoluzione informatica, iniziata alla fine del secolo scorso, sta comportando profondi mutamenti anche nel settore militare non solo nell’ambito dell’uso di armi sempre più sofisticate, ma anche nella gestione stessa del teatro di guerra. Già da tempo i satelliti permettono, ai Paesi che ne sono dotati, vantaggi significativi in quanto offrono la possibilità di acquisire in tempo reale da chilometri di altezza preziose informazioni che, altrimenti, avrebbero dovuto essere trasmesse da informatori posizionati nell’area d’interesse, con tutti i rischi e le difficoltà che ciò comporta. Siamo di fronte a una rete di 007 collocati nello spazio aereo e in grado di lavorare a tempo pieno, geo-osservando con precisione elevatissima quanto occorre. Basti pensare al nostro Cosmo-SkyMed, sistema di osservazione satellitare della terra concepito per scopi duali, cioè civili e militari, basato su quattro satelliti, che opera di giorno e di notte, in ogni condizione di tempo, realizzato dalla Thales Alenia Spazio per conto dell’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana, che ha promosso il progetto insieme al ministero della Difesa.

Droni 

Ancor più stanno cambiando le modalità dei conflitti l’uso crescente e diffuso dei droni militari, aeromobili a pilotaggio remoto, guidati da equipaggi posizionati anche a chilometri di distanza, grazie anche all’utilizzo di satelliti di riferimento. I droni sono in grado di osservare dettagliatamente e in modo più versatile l’area d’interesse e d’intervento direttamente sul campo di battaglia con attacchi mirati. È noto che tali attacchi, cosiddetti “con precisione chirurgica”, in realtà, tali non sono in quanto risulta un numero imprecisato di vittime civili, i cosiddetti danni collaterali, che oscilla – a seconda delle fonti – dal 3% al 25% sino a stime del 70%. L’azione militare attivata attraverso un monitor in aree dove è rischioso avventurarsi direttamente non riesce comunque a offrire una capacità d’interpretazione ottimale, provocando le conseguenze anzidette a danno di innocenti. Dato, però, che l’uso dei droni rientra nella teoria delle perdite zero (per gli utilizzatori) evitando rischi per le vite dei piloti, la diffusione di tali sistemi sta pertanto crescendo e coinvolgendo decine di Paesi, anche se i più dotati quantitativamente sembrano essere gli Stati Uniti, con oltre 10.000 droni. Rimane aperta la questione dell’iniquità del confronto tra chi attacca da remoto senza alcun rischio e chi è improvvisamente attaccato senza potersi in alcun modo difendersi, andando anche oltre le regole base della guerra e del diritto internazionale. Si pensi alle esecuzioni extragiudiziali sommarie, i cosiddetti targeted killings, spesso usati dalle forze armate d’Israele contro palestinesi ritenuti pericolosi. La morte tecnologica arriva improvvisa dal cielo.

A tutto questo si aggiungono le sperimentazioni sulle LAWS Lethal Autonomous Weapon Systems, sistemi di armi autonome letali, balzate all’onore della cronaca nella scorsa estate 2017 quando un gruppo di 116 superesperti della robotica, guidati da Elon Musk, ha inviato un appello all’ONU per fermarne lo sviluppo. I cosiddetti killer robot sono sistemi d’arma controllati da intelligenze artificiali in grado di selezionare, individuare e colpire autonomamente il nemico. Qui non ci si trova più di fronte ad armi come i droni, in cui comunque l’uomo, seppur a distanza, opera e decide, ma di fronte a mezzi altamente letali che da soli decidono di svolgere la loro azione distruttiva. Tali LAWS renderanno le guerre ancora più veloci e distruttive, in quanto il conflitto sarà sostenuto da macchine facilmente rimpiazzabili senza neppur dover pensare al rischio delle vite umane degli stessi soldati. Potranno essere usate da dittatori contro i civili innocenti, senza essere eventualmente condizionati da forze armate non sempre disponibili alla repressione. Infine, potranno anche essere soggette alle azioni di riprogrammazione di hacker malintenzionati. 

Juan Carlos Rossi, in un paper pubblicato dall’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo IRIAD nel novembre 2016, rileva che “sembra ineludibile la tendenza verso una robotica completamente autonoma, considerata anche la facilità e l’economicità della costruzione di tali armi, visto che richiedono non complessi laboratori per la lavorazione, né materiale radioattivo e chimico indispensabile, invece, per la fabbricazione di armi nucleari, ma solo mezzi facilmente reperibili sui mercati e dai costi finanziariamente abbordabili”, notando che proprio i Paesi più sviluppati sembrano intenzionati sempre più a investire in questo settore.

Sistemi diversi

Si affida così la vita delle persone all’intelligenza artificiale, ad algoritmi, a computer, insomma a macchine particolarmente evolute, ma sempre macchine che possono mal funzionare o guastarsi. In tal caso, in presenza di eventuali vittime innocenti, a chi dovrebbero essere imputate le eventuali responsabilità: a un microchip, a un corto circuito, al costruttore? Con ciò si pongono nuovi interrogativi anche in relazione al diritto internazionale umanitario di guerra. Se gli esperti militari sono entusiasti delle opportunità offerte dalle LAWS, assai più preoccupati sono invece coloro che se ne occupano dal punto di vista giuridico ed etico.

Comunque, alcuni primi esemplari di queste nuove armi LAWS sono già stati realizzati, come i Phalanx(MK15) a fuoco rapido della US Navy o i Counter RocketArtillery & Mortar (C-RAM) in funzione sempre contraerea (versione terrestre) statunitensi, o gli Iron Dome israeliani, dotati di venti missili intercettori Tamir. Anche Germania, Russia, Cina, Corea del Sud e Gran Bretagna si stanno muovendo in questa prospettiva. Il prestigioso istituto SIPRI di Stoccolma ha elaborato un dataset in cui risultavano censiti nel 2017 già ben 381 differenti sistemi, di cui 175 armati. Relativamente al teatro operativo 221 sono attivi in ambito aeronautico, 90 in quello terrestre, 68 in quello marittimo e 2 in più campi. Dal punto di vista dello sviluppo di tali sistemi 225 risultano già completati.

Attualmente ci si trova di fronte a una contrapposizione tra Stati decisamente contrari a queste superarmi dei Paesi tecnologicamente più avanzati e tra quelli che ne propongono un uso ben regolamentato dal diritto internazionale, con un adeguato quadro giuridico. Tra gli oppositori troviamo l’Egitto, Cuba, Pakistan, Ecuador e anche il Vaticano.

Nel novembre 2017 si è riunito a Ginevra il gruppo di esperti governativi nell’ambito della Conferenza sulle Armi Convenzionali (CCW) sui sistemi di armi autonome letali presso il Palazzo delle Nazioni delle Nazioni Unite. Sebbene le discussioni siano avvenute per diversi anni, questo è stato il primo incontro ufficiale ONU sulle LAWS. In tale occasione, nell’ambito della quale le decisioni vengono assunte in base al consenso unanime, ci si è trovati di fronte a Paesi come Cina, Giappone, Lettonia, Repubblica di Corea, Russia e Stati Uniti che non hanno voluto prendere impegni precisi in merito a una loro regolamentazione.

A oggi le LAWS rimangono in un limbo dal punto di vista giuridico, mentre le industrie del settore stanno, comunque, procedendo a sperimentarle e a realizzarle. Le guerre del futuro prossimo saranno condotte da queste nuove armi?


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