Siamo tutti popolo migrante. Da sempre, siamo segnati da lunghe storie di scambi e di contaminazioni. Note a margine della Giornata nazionale delle vittime delle migrazioni.
Elisabetta Tusset
Su iniziativa della campagna di Pax Christi Italia “Sulle soglie, senza frontiere” si è svolta a Padova la tre giorni volta a celebrare la Giornata nazionale delle vittime delle migrazioni. Il 3 ottobre è, infatti, la data che una legge del parlamento italiano dell’aprile del 2015 ha istituito a memoria dei lutti che ripetutamente fanno del nostro mare una bara per migliaia di esseri umani. A seguito del naufragio di 366 persone, avvenuto il 3 ottobre 2013, a mezzo miglio dalle coste lampedusane, sembrava si volesse dire basta a tanto scempio e a tanto dolore. Ma pare che molti dei propositi di allora si siano inabissati insieme a tutti i morti innocenti che si sono susseguiti.
Uno spettacolo teatrale, un convegno nazionale, laboratori nelle scuole e flash mob nelle piazze: il vasto coordinamento locale, che si è attivato in vista di questo momento, ha ideato eventi diversificati nelle scuole e nella città veneta. Titolo dell’iniziativa: “CapoVolti. Riconoscersi popolo migrante”. E la parola “capoVolti” è stata evocata e analizzata a più riprese dai relatori presenti sabato 29 settembre, giorno dedicato al convegno, che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Francesco Malavolta, fotoreporter e collaboratore di Associated press, Frontex, IOM e UNHCR; padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli e Stefano Allevi, sociologo specializzato nello studio dei fenomeni migratori.
E i diritti?
“Si tolgono ormai i diritti a prescindere”, ha esordito Marta Nalin, assessore alle politiche sociali della città ospitante, “non si parla più del viaggio, dei motivi che spingono la gente a partire. Noi, che ci occupiamo delle persone che arrivano, transitano o restano, abbiamo le armi spuntate quando affrontiamo questi temi, perché non abbiamo un linguaggio adeguato, e dobbiamo trovarlo, altrimenti le nostre azioni vengono messe all’angolo”. “Trovare le parole per dirlo è importante”, le ha fatto eco Nicoletta Dentico, intervenuta come esponente di Banca Etica “ma dobbiamo soprattutto cambiare le modalità di agire e di confrontarci”. Perché sono loro, coloro che immigrano qui, a dover essere interpellati e con i quali costruire un futuro condiviso. Perché tutti, da sempre siamo appunto popolo migrante, gente che si porta dentro l’umanità intera. Il nostro sangue mescolato, frutto di generazioni in movimento nei secoli, chiede di fare memoria dei lutti e dei viaggi; ma invita al contempo a considerare che l’incontro tra persone di provenienze diverse porta sempre all’arricchimento reciproco, anche a quello economico: il sesto rapporto sull’inclusione finanziaria dei migranti stilato da Banca Etica segnala che, dopo 5/6 anni dall’accesso alla banca, un immigrato è più attivo di un italiano. “Le persone che arrivano qui non sono diverse dai nostri ragazzi che partono per cercare altrove il loro futuro. Solo che i nostri li chiamiamo ‘cervelli in fuga’; gli altri ‘migranti economici’. Perché mai? I diritti del popolo migrante sono quelli dell’umanità intera, sono i diritti umani. E tra questi c’è quello alla mobilità: il diritto di andare, di stare e di tornare”, ha concluso Nicoletta. Il fotogiornalista Francesco Malavolta, che quel maledetto 3 ottobre è stato tra i primi ad arrivare a Lampedusa e a fissare in scatti agghiaccianti la tragedia, ha narrato attraverso le sue immagini, frutto di 20 anni di documentazione sulle migrazioni, i segni che il viaggio, le speranze e l’ignoto lasciano sui volti giovani e vecchi di chi si sposta in cerca di un futuro altro. Le rotte via mare dall’Africa verso l’Europa e la rotta balcanica via terra, le attese infinite in accampamenti dove si è persa qualsiasi traccia di accoglienza degna; gli sbarchi fatti di pianti per chi non ce l’ha fatta mescolati ai sorrisi di chi comprende di essere scampato alla morte e ancora è ignaro delle umiliazioni che lo attendono; la constatazione amara che il lavoro immenso e prezioso delle Ong non lo farà nessuno, compreso quello di accogliere i giornalisti fautori di testimonianze dirette: questo ha raccontato Malavolta mostrando colori e sguardi e orrore. ‘Perché – ha affermato accoratamente – c’è bisogno di narrare le migrazioni e restituire loro dignità, anche se documentare è pesantissimo”.
Il mondo intero
Padre Ripamonti ha inquadrato il fenomeno migratorio nel contesto mondiale: negli ultimi anni la politica ha dato il peggio di sé in Italia, in Europa e oltre oceano e strumentalizza il fenomeno migratorio per avere consenso politico: “Oggi c’è una cattiva interpretazione dei dati. Si capovolge la realtà e si volta il capo altrove. Il contesto sociale è saturo di cattiva informazione”, ha detto padre Camillo, “la percezione è quella di un contesto di invasione, di sottrazione di risorse, ed è alimentata ad arte: si trasformano le vittime in carnefici, in invasori che mettono a repentaglio la nostra tranquillità. Siamo diventati la società della stanchezza, del ripiegamento su noi stessi. Non c’è più il senso dell’alterità, ma solo quello della differenza. E questa porta al rifiuto. Dobbiamo alzare la testa e ognuno deve riconoscere le proprie responsabilità”. Forse allora abbiamo bisogno di un riposo riflessivo, che ci consenta non di replicare ai toni beceri con toni quantomeno urlati, ma di trovare percorsi di azione concreti, lavorare per un cambiamento culturale, per la ‘creazione di comunità’, per dirla con padre Ripamonti. Una riconciliazione sociale è necessaria e deve coinvolgere tutti i cittadini, tutti, i ‘buoni’ e i ‘cattivi’, attraverso politiche sociali che includano trasversalmente italiani e stranieri. “L’accoglienza in Italia”, ha affermato padre Camillo, “da sistema che privilegiava i volti è diventato e diventerà ora ancor di più un sistema che crea strutture spersonalizzanti: è terribilmente semplice scivolare così dai volti, ai capi, ai caporali. Noi, come cristiani, dobbiamo essere convinti che bisogna accogliere tutti, senza se e senza ma. Il principio resta ‘ero straniero, e mi avete accolto’”. Sta alla vera politica ricercare e attuare pratiche di realizzazione adeguate, per non trasformare i diritti in privilegi, come sta accadendo ora.
Vincere le paure
Il sociologo Allievi, infine, ha invitato l’assemblea ad essere realista: “Niente nella vita è senza se e senza ma,” ha avvertito, “è necessario accogliere le paure e non colpevolizzare o demonizzare chi le manifesta”. È necessario scavare nelle piccole ragioni di chi si trincera dietro percezioni diverse dai dati reali, secondo Allievi, per tessere una narrazione altra, offrendo soluzioni, gestendo e riformando. Forte e limpida è risuonata in conclusione la voce del presidente di Pax Christi Italia mons. Giovanni Ricchiuti, attraverso il comunicato che ha inviato ai convenuti. “…Noi non ci riconosciamo in chi propone leggi disumane, e non ci riconosciamo in quel 60%, che applaude. Noi non ci stiamo e non ci vogliamo essere! Lo abbiamo scritto più volte come Pax Christi e lo ribadisco anche oggi. Desideriamo essere una sinfonia di voci che reclamano umanità, rispetto della persona, inviolabilità dei diritti delle persona, specialmente quello di calpestare questa terra che è di Dio, non nostra! I confini non si possono trasformare in muri e reticolati. Barche, barconi, navi e camion nei deserti, hanno a bordo una umanità che cerca solamente un futuro …di umanità!!!”.