Qualifica Autore: Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale

Quale fu l’atteggiamento dei cattolici italiani nei confronti della guerra 1915-18? Il ruolo del papa.

Sergio Tanzarella

 

Di tutti i papi del Novecento Benedetto XV resta ancora il “papa sconosciuto”. Il motivo non sta nel breve pontificato, appena otto anni (1914-1922), quanto nell’aver preso ripetutamente posizione contro la Prima guerra mondiale, che era cominciata poco più di un mese prima della sua elezione, avvenuta il 3 settembre del 1914. La condanna che egli espresse sulla guerra e il personale impegno per la pace non furono graditi ai governi belligeranti, per i quali il papa avrebbe dovuto o propendere per una delle due parti o assumere un neutralismo silenzioso.

Il papa pacifista

Già l’8 settembre del 1914 il papa emanò l’esortazione Ubi primum nella quale scrive: “È indicibile l’orrore e l’amarezza che ci ha subito riempito l’animo nel contemplare tutto quanto l’immane spettacolo di questa guerra, per la quale vediamo tanta parte d’Europa, devastata dal ferro e dal fuoco, rosseggiare di sangue cristiano”. Tuttavia egli, pur non discostandosi dall’idea diffusa nella tradizione cristiana che concepiva la guerra come castigo divino, come “‘flagello dell’ira sua’, col quale fa giustizia dei peccati delle nazioni”, si appella a “coloro che reggono le sorti dei popoli a voler porre da parte i loro dissidi per la salute dell’umana società. Considerino come già troppi siano i lutti e le miserie che accompagnano questa vita mortale, perché non abbia a rendersi di gran lunga più misera e luttuosa; bastino le rovine che già sono state prodotte, basti già il sangue umano che già è stato sparso”.

L’appello non sortì alcun effetto; ma Benedetto XV dimostrò che le sue prime parole non erano state di circostanza, scontentando tutti i belligeranti già con la prima enciclica Ad beatissimi apostolorum principis, una sorta di programma del pontificato, emanata il 1° novembre del 1914. La guerra era in fondo appena iniziata; molti si illudevano che sarebbe stata molto breve e ancora poco si era visto degli orrori e delle distruzioni, sebbene grandi e sanguinose battaglie si fossero già consumate; ciononostante, Benedetto XV intuì quale catastrofe si stava compiendo e cosa rischiava di prepararsi per l’avvenire.

Con questa enciclica hanno inizio quattro anni di straordinario impegno da parte di Benedetto XV nel condannare la guerra, nel rinnovare appelli e nel proporre ai capi di stato strade di pace e soluzioni negoziate, nell’avviare iniziative di assistenza e informazione a favore dei prigionieri e delle famiglie dei soldati di tutte le nazioni in guerra. Ma ciò che sicuramente suscitò indignazione e scontento nei capi di stato furono i suoi ripetuti appelli per giungere alla pace o almeno a un armistizio. Ma Benedetto XV vedeva molto lontano e quasi intuiva cosa sarebbe avvenuto per tutto il secolo XX, come denunciò il 28 luglio del 1915 nell’esortazione apostolica ai popoli belligeranti: “Né si dica che l’immane conflitto non può comporsi senza la violenza delle armi. Depongasi il mutuo proposito di distruzione; riflettasi che le Nazioni non muoiono: umiliate ed oppresse, portano frementi il giogo loro imposto, preparando la riscossa e trasmettendo di generazione in generazione un triste retaggio di odio e di vendetta”.

In Italia

Nonostante la ferma posizione di Benedetto XV dal 1914 in poi la chiesa italiana appare vivere un profondo travaglio nel quale, oltre alle isolate ed esemplari posizioni come quella pacifista del barnabita Alessandro Ghignoni, l’adesione, la sacralizzazione o il rifiuto della guerra sembrano poco condizionate dalle parole del papa, e appaiono ispirate non soltanto da un giudizio morale o da valutazioni concrete e contingenti, ma rispondono a motivi più profondi della storia nazionale come il perdurare della questione romana e delle sue conseguenze. Alla base, quindi, di quelle posizioni divergenti, fin dalla contrapposizione interventisti-neutralisti non vi fu soltanto un pacifismo evangelico o l’adesione ai principi della teoria della “guerra giusta”, quanto il riaffermarsi dell’intransigentismo ottocentesco in opposizione a un patriottismo desideroso di riconoscimento ufficiale da parte dello stato unitario, di modo da poter dimostrare quanto i cattolici italiani fossero ormai divenuti dei buoni cittadini. A queste posizioni si aggiunge quella del padre Rosa su La Civiltà Cattolica, per il quale il conflitto in atto manca degli elementi per essere definito “guerra giusta”, ma tuttavia egli giustifica – in nome del “principio di presunzione” – l’obbligo dei cittadini a prendervi parte perché si presume che lo stato abbia avuto giusti motivi per fare la guerra.

Complessivamente tenue fu, dunque, l’opposizione alla guerra dei cattolici italiani, nonostante alla vigilia dell’intervento fossero stati neutralisti. Infatti, nel maggio del 1915, essi scelsero di obbedire alle autorità, seguendo la linea di un padre Agostino Gemelli e di alcuni cappellani militari, esaltati sostenitori non solo morali della guerra.

Una delle eccezioni è rappresentata dal deputato Guido Miglioli che, a causa del suo neutralismo intransigente, venne isolato all’interno del movimento cattolico e fatto oggetto di insulti e anche aggressioni da parte degli interventisti. Egli manterrà la linea di totale rifiuto della guerra sia per motivazione religiosa sia perché convinto che la maggioranza dei cattolici italiani era ad essa contraria. Mentre a livello delle chiese locali non furono pochi i parroci, ma anche qualche vescovo, che mantennero un atteggiamento profondamente contrario alla partecipazione dell’Italia alla guerra e ne pagarono le conseguenze, talvolta anche con condanne penali.

Preti e vescovi disfattisti

L’opposizione si fece ancora più forte dopo la pubblicazione, il 1° agosto 1917, della Nota ai capi degli Stati in guerra di Benedetto XV, la quale generò un aumento delle segnalazioni delle “attività antipatriottiche” del clero. Alcuni esempi: a Cascina Borati (Monza) il curato don Angelo Panigada viene denunciato per propaganda contro la guerra fra i contadini, “valendosi della sua condizione di ministro di culto” e facendo credere “che la guerra è voluta da pochi privilegiati”; a Cornovecchio (Lodi) viene denunciato il parroco, don Giuseppe Codazzi, che nell’omelia del 19 agosto 1917 sostiene che la guerra è voluta “dalla prepotenza e dalla ambizione dei governi” e una settimana dopo, durante la commemorazione di un soldato ucciso al fronte pronuncia “parole tendenziose contro la guerra e per la pace incondizionata”; in Veneto vengono internati e processati una ventina di preti che, nelle loro chiese, avevano commentato positivamente la Nota del papa; a Udine viene soppresso il settimanale diocesano, Corriere del Friuli, dopo la pubblicazione il 21 agosto di un articolo di don Guglielmo Gasparutti (processato per “aver tentato di indurre i soldati a rifiutare l’obbedienza all’ordine di combattere”) nel quale sostiene che la migliore risposta alla Nota non sarebbe arrivata dai capi di stato a cui è rivolta, ma direttamente dalle trincee.

Un’opposizione alla guerra che aumenta dopo la sconfitta di Caporetto, nonostante il clima di “unità nazionale” e soprattutto di più intensa repressione del dissenso realizzata con i decreti Sacchi, dal nome del guardasigilli Ettore Sacchi, che stabilirono punizioni severissime contro il “disfattismo”. Ma non pochi parroci italiani che vedevano nelle loro piccole comunità rurali aumentare il numero delle vedove e degli orfani, che osservavano crescere la fame, le malattie e la disperazione del popolo, che raccoglievano l’orrore dai racconti dei reduci mutilati maturarono un giudizio sempre più critico sulla guerra destinato, però, a rimanere quasi sempre prudentemente inespresso.

Ciò nonostante negli anni della guerra, nelle relazioni di prefetti e procuratori diversi vescovi e non pochi parroci sono descritti come promotori di proteste e di disfattismo anche quando si erano limitati soltanto a invitare a pregare per la pace o avevano manifestato preoccupazione per le misere condizioni del popolo e dei soldati – anche per non lasciare campo libero alla propaganda socialista – o avevano citato gli interventi di Benedetto XV o semplicemente avevano invocato il nome della “Madonna, regina della Pace”.