Ultima tessera
Qualifica Autore: Ex viceparroco e amico di don Puglisi a Brancaccio

Il Papa a Palermo ricorda don Pino: o sei cristiano o sei mafioso.

Domenica 16 settembre a Piazza San Pietro, durante l’Angelus, papa Francesco racconta del suo breve ma intenso viaggio in Sicilia iniziato e concluso il giorno prima. Invita la folla a fare due applausi, uno a don Pino Puglisi e uno al popolo siciliano. Sarà che sono prevenuto o che ho visto altre volte persone venire da queste parti e ripartire con gli occhi lucidi e il cuore gonfio di emozioni e nella mente la promessa di tornare; ebbene, nelle parole e negli occhi del Papa, tutto questo c’era domenica. Quasi si toccava anche davanti a uno schermo televisivo. 

Oppure sarà il motivo principale della sua visita a Palermo che lo ha caricato/emozionato al punto che ha sentito il bisogno di condividerlo: il XXV anniversario dell’uccisione di don Pino Puglisi per mano mafiosa. È vero comunque che incontrare la vita di questo prete mite ma deciso, piccolo ma forte, ti cambia qualcosa dentro, anche se sei il Papa. Ma quando si viene in Sicilia a ricordare, a fare memoria e rendere presente qui e ora la vita, i sorrisi, le azioni e le parole di Puglisi, ognuno restituisce sempre qualcosa in termini di coraggio, sguardi che dicono “continuate così, non disperatevi! Non siete soli!”. E in effetti anche al Papa è successo di lasciare qualcosa qui a Palermo. Rientrando a scuola lunedì mattina, per esempio, i miei alunni mi hanno sorpreso, prima del canonico buongiorno, con “Prof, ma l’ha visto che duci (dolce) il Papa?”.

Forte e dolce

E certo che l’ho visto! Fermezza e mitezza. E devo dire che personalmente è stata una grande emozione vedere il Papa a Palermo, durante la messa al Foro Italico, pronunciare parole forti come “O sei mafioso o sei cristiano!”. Oppure, sempre rivolto ai cosiddetti uomini d’onore “l’unica via di salvezza che hai è la conversione”. Parole dette non urlando, parole scritte, preparate e pensate. Non come papa Woitila a maggio del 1993 ad Agrigento nella valle dei templi che, fuori da ogni cerimoniale, scaglia il suo anatema contro la mafia con tutta la rabbia che accendeva di rosso il suo viso. Anche allora l’imperativo “Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”. 

Io ero li, con i ragazzi di Brancaccio e ancora ho il ricordo della pelle d’oca, la mia emozione e lo stupore dei ragazzi che si chiedevano perché non riuscivo a fermare le lacrime. 

Papa Francesco a Palermo mi ha emozionato, invece, non perché ha detto qualcosa di nuovo, ma per il modo in cui ha pronunciato quelle parole che forse erano scontate, che sicuramente hanno fatto storcere il naso a qualcuno che invece si aspettava uno show o chissà cosa. A questi però è sfuggito qualcosa di importante: Francesco ha parlato alla stessa maniera di PuglisiStesse pause, stessa umiltà e mitezza, senza gridare. 

La mia mente è andata veloce a venticinque anni fa quando la mafia per spaventarci aveva bruciato il portone della chiesa con una molotov e, nella stessa notte, le porte di casa di tre collaboratori della parrocchia e membri del Comitato Intercondominiale della via Hazon e vie limitrofe. 

Quella domenica P. Puglisi fece la stessa omelia che avrebbe fatto mons. Romero o don Tonino Bello. Parlò con gli uomini di mafia chiedendogli perché ci minacciavano, che tipo di pericolo rappresentavamo per loro, cosa temevano. Poi aggiunse che avevano un grosso problema: stavano perdendo la loro umanità perche comunicavano come gli animali: “Solo gli animali usano il linguaggio della violenza e della paura”. Questo problema era risolvibile “perché nessun uomo è senza speranza”. Bisognava convertirsi, cambiare direzione, riprendere in mano mente e cuore e lui era disponibile a fare un pezzo di strada con loro.

Se dovesse capitarvi di rivedere la registrazione dell’omelia di papa Francesco durante la messa del 15 settembre al foro italico di Palermo, avrete l’immagine di Puglisi che parla ai mafiosi. Immaginate poi questa stessa immagine in un quartiere come Brancaccio che venticinque anni fa stava vivendo una fase di passaggio rivoluzionario da uno status quo mafioso a un processo veloce di liberazione dal basso, grazie a una attenta opera di pastorale sociale di contiguità con gli ultimi. 

La Chiesa povera e dei poveri è un modello che funziona e produce semi quei piantati con amore che per loro natura, porteranno frutto.

Papa Francesco, parlando di don Pino e come don Pino, ha dimostrato che la Chiesa ha ormai intrapreso un cammino che la unisce indissolubilmente alla società civile che lotta ogni giorno per costruire un futuro senza prevaricazioni o arroganza, in un particolarissimo momento storico dove sembra prevalere l’avere invece dell’essere. Il Papa ci ha rinfrescato la memoria facendoci rivivere Puglisi e la sua rivoluzione che poi è la stessa del Vangelo di Cristo. Mi viene in mente e mi da qualche piacevole sensazione il fatto che quando penso alla rivoluzione mi vengono in mente  le parole chiave di quella francese: Libertè, Egalité, Fraternitè. A Brancaccio, come nel Salvador o a Barbiana si è sempre aggiunta un’altra parola tipica di chi è libero perché povero: Gratuité. Se sei povero sei libero, se sei libero puoi liberare! E per rendere vivo il Vangelo non ci vogliono i soldi; se non è rivoluzione questa…

Ho visto, ho ascoltato, ho provato emozioni forti ma non riesco a dire molto di più. Ciò che riesco a pensare adesso è solo che la nostra epoca – dopo la morte di Ghandi, di Martin Luther King, di Che Guevara, di Nelson Mandela – ha bisogno di profeti. La storia vive della dialettica tra istituzioni e profezia. Non si può chiedere agli esponenti delle istituzioni di giocare anche il ruolo di profeti. Già è molto quando l’istituzione (a differenza di come è avvenuto per Socrate, Gesù, Giordano Bruno, Galileo Galilei, Rosa Luxemburg o Antonio Gramsci) non soffoca il profeta, non mette a tacere la critica tagliente né l’utopia lungimirante.

E se vogliamo che la vita e la morte di Puglisi non sia avvenuta invano, a noi cittadini tocca il compito di rifondarle istituzioni eccessivamente verticistiche che non operino per il bene comune ma per la loro autoconservazione. Il Papa, come Puglisi, sta iniziando, partendo dall’esempio suo e di Tonino Bello, un percorso di depotenziamento e perdita di quei poteri forti che non rendono libera la stessa Chiesa. Una Chiesa priva di potere non rischia di perderlo ma può invece permettersi di indicare ciò che è vero e giusto. Per questo forse hanno ucciso Puglisi, per questo forse Francesco deve guardarsi le spalle.


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