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80 anni fa, la via italiana all'antisemitismo.

 

A ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali antisemite da parte del fascismo, non possiamo dire, come italiani, di avere ancora chiuso i conti con quella tragedia. Permane in noi un pregiudizio, una sorta di trappola mentale che ci fa ritenere la legislazione antisemita e la conseguente distruzione degli ebrei europei eventi talmente eccezionali da risultare umanamente inspiegabili, frutto di un atroce e irripetibile scherzo della storia attuato dall’immenso potere  inopinatamente conquistato da un pazzo furioso, Hitler, sostanzialmente estraneo a quella grande civiltà cristiana europea che, per secoli, si era posta alla guida del mondo. È questo il senso comune ancora dominante, che, assolvendoci da ogni responsabilità, addossa ogni colpa a una sorta di Lucifero a noi del tutto alieno.

Con fatica, la ricerca storica è riuscita a scalfire l’immaginario autoassolutorio, costruito in particolare da Renzo De Felice, di un antisemitismo fascista “all’acqua di rose”, imposto da Hitler a un riluttante Mussolini. Le leggi razziali del 1938 in realtà si abbatterono sulla piccola e integrata comunità ebraica italiana con effetti devastanti. La formula eufemistica del “discriminare, non perseguitare” gli ebrei, coniata da Mussolini, non riusciva, agli occhi di questi ultimi, a edulcorare la realtà di provvedimenti per certi aspetti persino più duri e radicali di quelli nazisti. La difesa della razza nella scuola fascista, con l’allontanamento sia degli insegnanti che degli studenti non “ariani”, anticipata rispetto agli altri provvedimenti, fu attuata con particolare solerzia dal ministro cattolico della pubblica istruzione Giuseppe Bottai. Quindi, seguirono: l’interdizione degli ebrei dai pubblici uffici e la regolamentazione dell’accesso a determinate professioni; l’espulsione degli ebrei dal partito nazionale fascista; il divieto di prestare servizio militare; la limitazione delle attività economiche con il divieto di proprietà e gestione di aziende di una certa rilevanza; la proibizione di matrimoni misti tra “ariani” ed ebrei; infine, la revoca della cittadinanza agli ebrei stranieri e l’espulsione degli stessi allo scadere di sei mesi. 

Ebrei italiani

Per gli ebrei italiani, le leggi razziali significarono l’inizio di una travagliata fase della propria vita, fatta di ristrettezze economiche, di insidie non chiaramente definite, di un progressivo oscuramento dell’orizzonte. Va considerata, in particolare, la portata dell’esclusione dal servizio militare in un contesto civile in cui il cittadino si identificava con il soldato, come ripeteva la martellante propaganda del regime in vista di sempre nuovi cimenti: “Credere, obbedire, combattere”. Così gli ebrei, sospettati di essere una quinta colonna al servizio del nemico, venivano di fatto privati della civitas e dell’appartenenza a una nazione e sospinti in un limbo foriero di oscuri pericoli in un’Europa che si preparava a una nuova drammatica resa dei conti all’insegna dei nazionalismi totalitari. L’antisemitismo di stato, quindi, mirava, da un canto, a esaltare la superiorità razziale degli italiani e, dall’altro, a individuare un nemico interno, la “razza ebraica” per sua natura non assimilabile, straordinariamente rappresentativa di tutte le forze ostili alla realizzazione delle mete di grandezza dell’Italia: il liberalismo, la democrazia, il comunismo, l’internazionalismo, la Società delle Nazioni… È in questo contesto che maturò la svolta antisemita, per ragioni essenzialmente interne al regime e non per imposizione del nuovo alleato nazista. 

Ma Mussolini, per non riproporre in Italia il modello nazista, in forza dell’ostentata pretesa di primogenitura nei confronti di Hitler, era ben consapevole di non poter far leva su una cultura laica antisemita paragonabile a quella da decenni radicata in Francia, in Austria o in Germania e che, quindi, doveva rapportarsi con “un  paese in cui praticamente l’unica tradizione antisemita consistente e di lungo periodo è quella cattolica”, come riconosce lo storico cattolico Renato Moro. 

Lo scavo compiuto su questo aspetto ha messo in luce il ruolo che ebbero il papato “politico” di Leone XIII, l’elaborazione teorica de “La Civiltà Cattolica”, intellettuali di assoluto rilievo come Giuseppe Toniolo, Agostino Gemelli,  Mario Bendiscioli e altri, nonché, per l’impatto che ebbe sull’opinione del popolo cattolico e quindi degli italiani, la coeva letteratura popolare, segnatamente il romanzo d’appendice, d’impronta antisemita e fondamentalmente di matrice cattolica. 

La Chiesa

La Chiesa del tempo, nel suo sforzo ossessivo di rivincita contro la modernità e le ideologie (razionalismo, liberalismo, socialismo…) che avevano posto fine all’età media cristianamente ordinata, vedeva negli ebrei “emancipati” i massimi ispiratori di quei rivolgimenti. Da qui la necessità di ripristinare per costoro una sorta di “ghetto giuridico” e l’oggettiva convergenza con il regime. Nel lavoro recentemente pubblicato, emerge come questa matrice cattolica fosse alla base, insieme a quella fascista, delle leggi razziali del 1938 in un tentativo condiviso di “via italiana all’antisemitismo”, nelle intenzioni autonome dal nazismo, ma che nei fatti convergerà nei medesimi esiti catastrofici. Il tratto comune era la presunta moderazione che, nel caso della Chiesa, in sintonia con l’eufemismo mussoliniano, si condensava nell’ossimoro “segregazione amichevole” e che portò all’accordo segreto tra Chiesa e fascismo del 16 agosto 1938: “Problema del razzismo ed ebraismo. È intenzione del Governo che questo problema sia tranquillamente definito in sede scientifica e politica… Gli ebrei, in una parola, possono essere sicuri che non saranno sottoposti a trattamento peggiore di quello usato loro per secoli e secoli dai Papi che li ospitarono nella Città eterna e nelle terre del loro temporale dominio”.

In conclusione, non solo non possiamo lavarci la coscienza come italiani e cattolici scaricando ogni colpa su “un gruppo di criminali” nazisti neopagani, ma dovremmo anche porci degli interrogativi inquietanti di fronte al riproporsi oggi di temi come “rigida tutela dell’appartenenza nazionale”, fondata sul “diritto di sangue” comune, o sull’identità religiosa, o addirittura sulla “razza bianca”, temi che furono la base ideologica della tragedia di Ottant’anni fa. 

Di nuovo in Europa, ma non solo, anche negli Stati Uniti, e persino, paradossalmente, nell’Israele di Netanyahu.


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