Nonviolenza
Qualifica Autore: Filosofo

Aldo Capitini: maestro e amico.
Dalle lettere che mi scrisse dal 1953 al 1968 emerge il profilo di un profeta della nonviolenza, pensatore di grande aperture.

 

Aldo Capitini ha avuto un ruolo molto importante in un periodo della mia vita in cui avevo grande bisogno di appoggio morale e di guida ai miei studi. Nel 1953, poco dopo essere arrivato in Svezia, cominciai a studiare seriamente per preparare, in qualità di privatista, l’esame di maturità che conseguii nel 1957 presso il liceo Giovanni Prati di Trento dove, diversi anni prima, ero stato bocciato due volte di seguito in seconda ginnasio.

Ero poi passato all’istituto tecnico-commerciale, dove, nel 1952, in quarta classe, fui rimandato a ottobre in matematica e tedesco. Non potevo più procrastinare il servizio militare, cui volevo sottrarmi in seguito a dubbi di natura etica che ero andato maturando durante l’estate, influenzato da giovani pacifisti che nell’estate del 1952 avevo incontrato in un campo internazionale di lavoro in Svezia. 

Per quasi cinque anni – dal 1953 al 1957 – Aldo, attraverso una fitta corrispondenza (che purtroppo ho quasi interamente perduta), mi fornì un prezioso aiuto, non solo dandomi consigli sulla mia vita e sui miei studi, ma anche commentando i temi di italiano, che di tanto in tanto gli spedivo per posta, e soprattutto rimandandomi corrette e commentate le traduzioni dal greco che gli spedivo regolarmente. Il greco era e fu sempre il mio punto debole. Qualche mese prima che mi presentassi all’esame di maturità, Aldo, in una lettera del 13 maggio 1957 mi metteva in guardia: “…Vedo che il tuo lavoro dal greco ha molti passi discutibili… ti consiglio di curare il greco scritto. Il lavoro è debole. Mandami altre traduzioni”. L’esame di greco fu un disastro: rimandato a ottobre, contro l’insegnante che insisteva nel bocciarmi con un “due”, fui salvato grazie a un voto di commissione. 

Incontrai Aldo personalmente per la prima volta venerdì 1 giugno 1956 a Pisa, in una stanza del Palazzo Cavalieri, sede della Normale. In una pagina del diario, che in quegli anni tenevo, così scrivevo di Aldo: “È un ometto piccolo, grassoccio, buono, dall’aria paterna. Mi ha fatto un’accoglienza semplice, ma calda e invitante. Me l’aspettavo più giovane. È aperto, franco, ed è un piacere parlare con lui”. Il giorno dopo facemmo assieme il viaggio in treno da Pisa a Roma. Parlammo molto, lungo tutto il viaggio, ma non ricordo di cosa; probabilmente dei miei studi, della mia vita in Svezia, di Carducci (quando il treno passò vicino a Bolgheri), di Leopardi, del lavoro di Danilo Dolci in Sicilia, del lavoro che lui stesso stava portando avanti, anche quello a favore dell’obiezione di coscienza al servizio militare, di cui il giorno dopo avrebbe parlato in una riunione a Roma.

Nel corso degli anni seguenti lo incontrai altre volte in occasione di seminari e conferenze che mi invitò a tenere. Anche la nostra corrispondenza, che nei primi anni riguardò in massima parte i miei studi in vista dell’esame di maturità e i miei piani di vita, si andò arricchendo di contenuti più generali, man mano che, incoraggiato da Aldo, andavo interessandomi sempre di più al pensiero e all’azione di Gandhi. Qui sotto riporto alcuni stralci dalle sue lettere che mi sono rimaste. 

La prima del 23 dicembre 1953. L’ultima è del 5 ottobre 1968, scritta dalla clinica in cui era ricoverato, il giorno prima di essere sottoposto a un’operazione.

23 dicembre 1953

“Carissimo. Ho ricevuto la sua lettera e gli scritti. Mi ha fatto piacere di incontrare accenti così sinceri, e lei sa quanto sono d’accordo. Da decenni sto impiantando la mia vita e il mio lavoro movendo dagli stessi sentimenti. Nella ripresa di una vita religiosa purificata e aperta all’unità-amore con tutti è il fondamento di un lavoro teorico e pratico che sta sorgendo da tante parti… Circa il servizio alternativo di quello militare, in Italia è cosa ancora lontanissima… Per farlo dovrebbe essere votato dal Parlamento (abbiamo abbozzato un progetto) che non ne vuole sentir parlare e lo bloccherebbe certamente; per scuotere  l’opinione pubblica italiana, ci vorrebbe una forza immensa. 

Del resto, la “Civiltà Cattolica” si è pronunciata contro l’OdC; e i comunisti pensano che è meglio avere il popolo armato che disarmato. Il popolo in tutto il mondo non è sveglio contro i propri governi, e unito; un altro disastro verrà!....Un affettuoso saluto con tanti auguri. Il suo Aldo Capitini”.

15 settembre 1958

A proposito di un’antologia di scritti di Gandhi cui andavo pensando di proporre a Einaudi Aldo mi scrive: “… non so se un’impostazione assolutamente nonviolenta gli piace. Ad ogni modo prova. Mi dicono anche che è difficile che Einaudi risponda…. Ma io sono ormai un po’ stanco degli italiani, che questo problema non lo sentono: sono cattolici o storicisti”… C’è poi chi preme per una rivista, Rivoluzione aperta, per tutto il nostro lavoro, Danilo [Dolci], C.O.S. e altro”. E in data 15 dicembre 1958: “…Nulla da fare per la rivista; non si trova un editore”.

19 luglio 1962

“… Ho piacere che ti occupi di Gandhi. In Italia c’è pochissimo e io sto spingendo gli editori a pubblicare qualche cosa. …Io volevo che Einaudi pubblicasse o La giovine India, o una grande Antologia (ce ne sono tante in inglese), o tutti gli scritti pedagogici, che sono importanti…”.

22 agosto 1962

A proposito del mio primo scritto su Gandhi (pubblicato sulla “Rivista di filosofia”) mi scrive: “Il saggio è molto serio e importante perché è esatto e tiene presente molto materiale… Forse nel tuo saggio si sarebbe dovuto trattare di più del lato religioso della nonviolenza, che sembra quasi ridotta a una tecnica  che ora si usa e ora non si usa; sarebbe stato bene citare il pensiero di Gandhi, che egli vedeva più chiaro nel principio della Verità o Legge morale che nel principio della nonviolenza, alcune volte sembrandogli oscuro; sul patriottismo di Gandhi, si può ricordare l’influenza del Mazzini, e poi non vedo richiamato un testo che era carissimo a Gandhi, Baghavad Gita, forse il libro che  ha più influito su di lui. Certo, ampliando il lavoro bisogna tenere presenti molti altri elementi, tra i quali quello ruskiniano… Mi piace l’obiettività con cui tu hai trattato il tema, non escludendo citazioni imbarazzanti. È la cosa più seria che finora abbia letto sull’argomento, perché altre cose sono semplicemente antologiche”.

5 ottobre 1962

“…A te consiglio di fare un libro ampio, molto preciso, ricco di tutti i suoi aspetti, su Gandhi. Tra le persone che conosco, sei quella che lo può fare meglio. Ci metterai un anno o due, ma sicuramente per un grosso libro su Gandhi l’editore si trova; e se io ce l’avessi già ora, il libro potrebbe uscire. Te lo raccomando caldamente, anche perché per fare una cosa seria, dobbiamo cominciare a dividerci i compiti….

Il punto cui tu accenni, dello sviluppo della problematica della nonviolenza in senso costruttivo politico-sociale, è, come puoi immaginare, uno di quelli che mi interessa moltissimo. Ho trattato l’argomento finora soltanto rapidamente, in quasi tutti i miei libri, ma specialmente in Nuova socialità e riforma religiosa, edito da Einaudi. Una parte notevole è anche nel libro Aggiunta religiosa all’apposizione, edito da Parenti. Ma ho già in mente di lavorare per un libro che sarà intitolato Omnicrazia... 

Il succo è questo: la nonviolenza ci mette sulla strada di costituire un federalismo dal basso di comunità aperte, deliberanti e controllanti. In fondo è ciò che Gandhi dice con la sua simpatia per un socialismo decentrato. Naturalmente si pone il grosso problema di non aver fretta, cioè di non usare mezzi discordanti dal fine, per attuare una società di questo genere, e può darsi che si debba passare per un lungo periodo di moltiplicazione di Centri per la nonviolenza, che intorno a sé diffondano i metodi e servano a filtrare continuamente le esigenze delle moltitudini dal basso. Cioè, nella situazione di deperimento dei poteri centralistici, com’è mostrato dagli imperi attuali, e nella situazione di far venir su le moltitudini così come sono ora, mi pare che il principio della nonviolenza sia quello di stare in mezzo alle moltitudini, con le proprie comunità già nonviolente, e sperare perché le moltitudini a poco a poco si articolino in una nuova società non autoritaria, ma veramente di tutti, cioè omnicratica

Naturalmente, questo è un termine ideale, ma che si trasforma già in mezzi e posizioni di contrasto, per esempio contro i governi attuali, che decidono della morte di cinquanta e cento milioni di persone. 

Rispetto, poi, alle situazioni attuali, come tu dici, per esempio il Congo, ritengo che noi dobbiamo favorire sempre più il rafforzamento di un’Internazionale nonviolenta che permetta di intervenire in ogni zona difficile, portando con i relativi sacrifici, i metodi della comunità aperta. 

Queste idee credo che stiano maturando qua e là, dall’India all’America; per esempio, tu sai che ci sono gruppi libertari nonviolenti. Nessuno di noi è un rivelatore, ma si tratta di coordinare proposte e spunti e orientamenti. 

D’accordo con te che la nostra è una rivoluzione. Nel senso di capovolgimento dei modi attuali politico-sociali; per di più, rispetto a Gandhi abbiamo la libertà dal problema dell’indipendenza nazionale che poteva appesantire talvolta il suo orientamento. 

Noi ora siamo per la formazione di comunità dal basso, cioè siamo in un momento ulteriore rispetto a quello ottocentesco delle nazionalità, anche se possiamo augurarci che le Nazioni Unite abbiano una certa vitalità finché si viene formando dal basso un nuovo mondo. Affettuosi saluti. Aldo Capitini”.

20 febbraio 1963

“Carissimo Giuliano, il tuo libro sull’etica nonviolenta di Gandhi sarebbe molto utile, particolarmente in Italia dove c’è in questo momento un vuoto di pubblicazioni gandhiane… Ho visto il tuo schema e mi pare buono; ti consiglierei di utilizzare molto attentamente l’ultima fase del pensiero gandhiano, di cui tutti sappiamo molto poco, perché libri divulgativi si arrestano prima… 

Quanto al lavoro sui fini e sui mezzi, sono contento che tu lo faccia, perché proprio volevo consigliarlo a qualcuno in Italia. Durante il fascismo facevamo girare il libro di Huxley. Una volta ti parlerò anche di un punto importante della Filosofia del diritto di Hegel su questo problema… Circa i miei piani, ti dirò che per ora vorrei, su questa linea, arrivare in collaborazione al libro delle tecniche [nonviolente], ma d’altra parte ho finito un libro sulla compresenza che dà alle tecniche un fondamento metafisico e religioso. Affettuosi saluti e buon lavoro. Il tuo Aldo”.

24 luglio 1963

“…Ho visto che nella bibliografia del tuo saggio [un secondo scritto sul pensiero gandhiano pubblicato anche questo sulla Rivista di filosofia] dici che i lavori miei e di Pioli non sono critici, e realmente hanno un carattere informativo e divulgativo. Se mai, un carattere implicitamente critico c’è nella prospettiva che io faccio del pensiero gandhiano, cioè nel mettere in primo piano certe cose e altre in secondo piano. Ma c’è molto da indagare”.

29 ottobre 1963

“Carissimo Giuliano, ...siamo qui al lavoro, e, tra l’altro prepariamo il nostro periodico [Capitini si riferisce qui a Azione nonviolenta, la rivista cui stava pensando da anni…] ...Naturalmente il nostro periodico ha dei limiti spaziali; a me non piacciono gli articoletti a pillola... Siamo d’accordo di pubblicare cose ben pensate prima e utili. Il periodico deve guadagnarsi la fiducia con cose serie, sostanziose, bene informate. Ho sul tavolo il tuo articolo gandhiano nell’ultimo numero della Rivista di filosofia. Sono d’accordo con te che bisogna anche fare  seria opera di analisi e di scienza… Ma, ripeto, noi vogliamo anche favorire lo studio dei principi, contro certa tendenza inglese che vuole solo organizzare manifestazioni di lotta basata su pochissimi e chiari principi… Sono contento di vedere che in questi anni sei riuscito a diventare  quello che anch’io speravo che tu diventassi: uno capace di affrontare problemi di pensiero. Ti ricordi il nostro viaggio in treno da Pisa a Roma?”.

26 dicembre 1963

“Carissimo Giuliano,… Dal 9 al 13 gennaio si svolgerà in un albergo di Tyringe [in Svezia] un importantissimo congresso per la costituzione definitiva della Confederazione internazionale  per il disarmo e la pace. 

Noi ne facciamo già parte come Consulta italiana per la pace… il Congresso ha invitato alcune associazioni a mandare un osservatore. Non è cosa da poco, sia per la fatica che per la spesa, mandare un osservatore che appartenga al movimento nonviolento per la pace. D’altra parte, ci piacerebbe che ci fosse e sarebbe graditissimo ai nostri amici Hunnius e Cadogan e anche al presidente Kenneth Lee, che sa quanto cerchiamo di fare noi amici della nonviolenza per suscitare un pacifismo schiettissimo a fianco di quello dei partigiani della pace. Noi saremo contenti se tu potessi intervenire come osservatore del Movimento nonviolento per la pace, di cui tu condividi pienamente gli scopi, anche come collaboratore prezioso del periodico Azione nonviolenta...

Quanto a un istituto italiano di ricerche [sulla pace], ecco ciò che posso dirti… Noi potremmo, o per meglio dire, vorremmo suscitare in Italia un istituto di questo genere; ma per non duplicare ciò che può essere fatto su un piano internazionale e con un’impostazione più sociologica, dato lo sviluppo estero della sociologia, io penso che potremmo caratterizzare l’iniziativa italiana come istituto italiano di ricerche sulla nonviolenza nella vita, morale, educativa e sociale. 

Da questo punto di vista, credo che sarebbe ben qualificato, senza dover trattare i temi molto larghi e imponentissimi della pace e del disarmo. Un istituto di questo genere potrebbe sorgere a Perugia, anche perché stiamo intravvedendo la possibilità di avere più locali. Tuttavia ci vuole un grosso fondo per farlo vivere seriamente…”.

2 gennaio 1964

“Caro Giuliano, abbiamo finalmente combinato la delegazione  che verrà a Tyringe, che sarà composta da Aldo Putelli, Guido Graziani, Andrea Gaggero, un bolognese e forse da Luciano Mencaraglia. La delegazione ha tutte le carte in mano per orientarsi circa i punti da sostenere. 

Spero che tutto vada bene e soprattutto armoniosamente tra le varie tendenze… Entro la Consulta c’è un gruppo di associazioni che sostiene il metodo nonviolento, è contro tutti i militarismi ed è per la neutralità assoluta. 

Noi collaboriamo con tutti, anche i pacifisti più politici di noi e non sostenitori costanti del metodo nonviolento, in nome della possibilità di un lavoro più largo in nome della pace; ma è certo che se gli altri ci abbandonassero, noi rimarremo a affermare il metodo nonviolento assoluto, che è espresso nella formula che tu sai e che è iscritta nel volantino di Azione nonviolenta. Questa esce tra giorni”.

3 gennaio 1964

“Caro Giuliano, continuo a mandarti materiale per il Congresso internazionale a Tyringe. Sono convinto che la tua presenza sarà utile alla Confederazione generale e a noi italiani, che abbiamo bisogno di difendere il valore della nostra opera; è successo che Rendi, che prima era della Consulta, ha voluto ora andare per conto suo, e questo credo che turbi l’idea che gli organizzatori inglesi possono avere di noi. L’altro fatto è che noi portiamo con noi persone comuniste, perfino il senatore Mencaraglia. Ora questo corrisponde alla situazione italiana di collaborazione aperta, tanto più necessaria dopo che il fascismo ha alimentato l’opposizione comunista, e c’è anche in Italia l’arretratezza capitalistica e reazionaria che aiuta l’opposizione comunista. Può darsi che gli inglesi non si rendano ben conto di questo fatto. Come ti ho detto, noi ci raccomandiamo che tu dica di essere osservatore in nome del Movimento nonviolento per la pace. Esso è il risultato del lavoro del Centro di Perugia per la nonviolenza. È una piccola minoranza ma che cerca di affermare con grande esattezza e senza compromessi il principio del metodo nonviolento. Tu sai che ora sono in sviluppo due cose: i gruppi di azione nonviolenta, che sono organizzati da Pietro Pinna e hanno già fatto dimostrazioni per l’Obiezione di Coscienza; il periodico mensile ‘Azione nonviolenta’. Che sarà diretto da me e uscirà in questo mese…”.

24 gennaio 1964

“Caro Giuliano, la tua lettera ci è sta molto utile per tutte le notizie che ci da’ sulla scena e il retroscena del convegno di Tyringe. Ne terremo conto nel lavoro che ora facciamo per mettere la Consulta al vaglio di esigenze precise nei rapporti tra di noi e nel fatto che essa sia un organo di associazioni pienamente libere nel loro indirizzo… Tu capisci che la Consulta mi dà continui dispiaceri e fatiche perché si esige che essa prenda posizione politica e si vuole che nello stesso tempo sia un organo che comprende tutte le correnti. Così mi tocca di fare il moderatore e finisco per risultare fiacco, e per squalificare il Movimento nonviolento che mi sta a cuore principalmente, come se esso fosse filo-comunista…”

8 maggio 1964

“Carissimo Giuliano, abbiamo subito letto e commentato la tua lettera. Circa il periodico nostro, tutte le tue osservazioni sono utili. Anzitutto, quella di un articolo politico su fatti in atto. Siccome io mi dimetto da presidente della Consulta per lasciare che altri, più giovani di me, possano esplicare la piena attività che ci vuole e sciogliere i tanti nodi, e mi ritiro a lavorare per il Movimento nonviolento e movimenti affini, spero di poter concentrare costantemente energie in questo senso, cioè nel seguire meglio i fatti e commentarli dal punto di vista di un amico della nonviolenza, e non sul piano troppo generico e impersonale della Consulta. 

Faccio qualche riserva sulla tua lieve critica di moralismo: io credo che la nonviolenza abbia sempre da dire qualche cosa per qualsiasi situazione, prospettando e una possibile azione e un eventuale sacrificio. In ogni caso, si può agire in vari modi; non penso che la nonviolenza debba tacere davanti a certi fatti per non aver niente da dire di suo. 

Io distinguo tra nonviolenza e pacifismo; quest’ultimo cerca soluzioni giuridiche, sociali, accordi, compromessi ecc., e si capisce che certe volte queste cose sono estremamente difficili o impossibili. La nonviolenza ha anche altro e quindi in ogni caso può presentare la sua soluzione, anche per Cipro, anche per il conflitto cino-indiano. Soltanto che la soluzione della nonviolenza ha alcune volte un evidente valore simbolico o di sacrificio…”.

8 ottobre 1964

“Caro Giuliano, in vista del numero di ottobre di Azione nonviolenta ho letto attentamente il tuo articolo su Nonviolenza e politica. Il filo è buono, e accettabile la sollecitazione a portare avanti il lavoro concreto: mi pare che tu dica implicitamente di fare meno prediche e di concretamente formare istituzioni e metodi pratici. Ci sono tuttavia tre punti che non posso non discutere….

1. Io ritengo che in ogni situazione ci siano sempre due soluzioni, una violenta e una nonviolenta, che può essere spesso di sacrificio. Non credo mai che ci sia una situazione che ‘per necessità di cose’ porti alla violenza. La violenza è sempre un’opzione, come la nonviolenza.

2. Non mi pare giusto verso Gandhi e verso la nonviolenza osservare che ancora avvengono conflitti in India e nel Pakistan tra i due gruppi religiosi. A parte il fatto che i ‘gruppi’ sono moltitudini immense, come poteva Gandhi con la sua parola e azione nonviolenta cambiare di colpo la condizione piscologica di tante persone? Il fatto dei conflitti non è segno che la nonviolenza fallisce nel suo compito di essere il toccasana di ogni male, come tu dici. Sarebbe un metterla in ridicolo il pensarla così e credo che non ci sia nessun amico della nonviolenza che sia serio, che lo pensi, e perciò mi sembra inutile richiamare questo pensiero, che sembra di fredda temperatura. E sembra scoraggiare coloro che scavano e scavano nella nonviolenza per trovare motivi di vita e di azione, e anche di sacrificio.

3. Non credo che ci siano dei casi in cui si presentino soltanto due vie: intervento violento o passiva sottomissione. Forme d’intervento nonviolento sono possibilissime. Mi viene ora in mente che durante il fascismo io non ho fatto né l’intervento violento né la passiva sottomissione e la mera parte di spettatore, perché qualche piccola cosa ho fatto negando la collaborazione e suscitando l’opposizione di molti giovani che prima erano fascisti. Mi pare che tu in questo punto svaluti troppo anche quel poco che si può fare in nome della nonviolenza, e che è tutt’altro che l’essere spettatore. Del resto, uno spettatore che pianga, come i profeti ebrei, è già qualcosa di molto importante. Saluti a te e ai tuoi, aff.mo Aldo”.

5 ottobre 1968

“Caro Giuliano, ti rispondo dalla clinica. Domani mi faranno l’operazione per l’asportazione della cistifellea. Non lessi il tuo articolo, lo misi con gli altri pronti, per leggerli insieme tra non molto. (Ho avuto un’estate da malato, eppure molto occupata, e ho anche scritto molto).Te ne riparlerò appena l’avrò letto.

Bene per il volume tuo gandhiano da Einaudi. Naturalmente farai una lezione da noi in aprile (purché non sia durante le vacanze di Pasqua) su Etica e rivoluzione: puoi contare su ventimila lire; va bene?

Per il centenario gandhiano faremo, a Natale, un numero speciale di Azione Nonviolenta; qualche cosa, ma poco, farà la radio, e torneremo a sollecitarla. Io preparo due libri, uno sulla pedagogia, uno sul pensiero politico”.