Nel corso dell’incontro ecumenico di Bari, l’invito di papa Francesco a costruire forti relazioni dialogiche tra Chiese, fedi e persone. Perché siamo tutti a immagine di Dio.
"Su di te sia pace" Salmo 122,8
“Su di te sia pace” è il titolo di un canto assembleare del popolo di Dio che si reca “con gioia “ al tempio di Gerusalemme. Il salmista, a nome dei numerosi pellegrini accorsi alla Città Santa, non può contenere la sua commozione: “Quale gioia, quando mi dissero: ‘Andiamo alla casa del Signore” (Salmo 122, 1). A distanza di quasi tremila anni dal giubilo delle tribù d’Israele, mi si perdoni l’assimilazione, la Città di Bari, il 7 luglio 2018, è divenuta la Città Santa della Pace, non solo per la presenza della Basilica di S. Nicola che custodisce la tomba del santo dell’unità e della misericordia, ma anche per la testimonianza di circa 70 mila fedeli convenuti con gioia nel capoluogo pugliese per cantare a Cristo, in comunione con il papa Francesco e i capi delle Chiese e delle comunità cristiane: “Tu solo Principe del Bene e della Pace, Compassione Indicibile, Figlio del Dio Altissimo, sei Tu che mi hai mostrato che la vita è mezzo di perdono e di salvezza e non di perdizione e di condanna” (Libro di preghiere di Gregorio di Narek, armeno, morto nel 1010).
Il salmista canta l’inno di pace per amore dei suoi parenti e i suoi amici; con lo stesso amore, rivolto ai fratelli cristiani del Medio Oriente, papa Francesco ha inneggiato alla pace del Signore Gesù, portando nel cuore le Chiese, i popoli e le molte persone che vivono situazioni di grande sofferenza (cfr. messaggio finale di papa Francesco anche in mosaiconline).
Il volto di Cristo servo
Tralasciando di rievocare i tanti momenti significativi della storica giornata barese, mi permetto chiarire ai lettori alcune motivazioni di fondo che hanno animato la singolare iniziativa ecumenica del 7 luglio.
“Tutti i cristiani professino davanti ai popoli la fede in Dio, uno e trino, nell’Incarnato Figlio di Dio, Redentore e Signore Nostro, e con comune sforzo nella mutua stima rendano testimonianza della speranza nostra, che non inganna” (Decreto per l’Ecumenismo del Concilio Vaticano II n° 12). A questo testo conciliare il Papa a Bari fa eco: “La presenza dei cristiani sarà tanto più profetica tanto più testimonierà Gesù, Principe della pace (cfr. I 9,5) …come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga (cfr. Mt. 26,56) o la spada (cfr. Id. 26,52) ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore” (messaggio finale di papa Francesco). La collaborazione ecumenica in favore della pace prende tutto il suo rilievo dalla preghiera di Gesù, il quale invoca dal Padre l’unità per i suoi: “Affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv. 17,21). Per papa Francesco l’impegno dei cristiani per il sociale è obbedienza a Cristo che li “chiama” per “inviarli” presso gli uomini. Promuovere azioni concrete per la difesa della dignità e dei diritti dell’uomo, nel magistero del Pontefice, non si fonda unicamente sulle sollecitazioni etico-sociali, né tanto meno su indicazioni pragmatiche, ma anche, soprattutto, sulla dimensione “vocativa” dello stesso Cristo, che introduce tutti i battezzati nella dinamica della sua Incarnazione “come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv. 20,21). Cristo manda la Chiesa come “serva” del mondo come Lui fu “servo”. La Pasqua di Resurrezione, menzionata dal Papa nel suo messaggio, sarà dunque il dono permanente del Vivente ai suoi, perché sperino in Lui per due motivazioni che giustificheranno la testimonianza dei discepoli nel sociale. La prima motivazione traccia e proietta a condividere davanti agli uomini e a loro favore i beni e i doni della fede e della morale cristiana che hanno in comune. La seconda s’iscrive indelebilmente nella memoria dei cristiani perché spetterà a loro per primi impegnarsi uniti per la promozione della cultura e del movimento per la pace. È bene notare che le due motivazioni, qui esposte, sono per Cristo tra loro intimamente correlate, perché non s’immagini la prima come squisitamente evangelico-spiritualistica, e la seconda come puramente operativa. La correlazione nasce e si stabilisce sulla realtà dei due pali della croce (il verticale e l’orizzontale), sulla certezza che le Chiese di Cristo hanno il compito di porre “in piena luce il volto di Cristo servo “(Decreto per l’Ecumenismo, cit., n° 12). Il che vuol dire che, quando i cristiani collaborano insieme per il sociale, è perché sono animati dall’unica fede in Cristo, servo di Dio e servo degli uomini.
Unità a servizio
I punti forti dell’impegno nel sociale, evidenziati dal Pontefice a Bari, riguardano certamente la dignità della persona umana e del bene della pace. “Sia pace: è il grido dei tanti Abele di oggi che sale al Trono di Dio. Per loro non possiamo più permetterci, in Medio Oriente come ovunque nel mondo, di dire: ‘Sono forse io il custode di mio fratello?’ (Gen., 4,9). L’indifferenza uccide, e noi vogliamo essere voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza. Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezza. Per i piccoli, i semplici, i feriti, per loro dalla cui parte sta Dio noi imploriamo: sia pace! Il ‘Dio di ogni consolazione’ (2 Cor., 1,3), che risana i cuori affranti e fascia le ferite (cfr. Salmo, 147,3), ascolti la nostra preghiera”(Messaggio finale di papa Francesco). Il magistero di papa Francesco non si pone di fronte al mondo contemporaneo come un pulpito stabilito da Dio per insegnare “dall’alto” agli uomini quello che devono essere e quello che devono fare. In questo caso, le Chiese vivrebbero esonerate dalla storia e dalla sua fatica, chiuse in un insegnamento sociale, orgoglioso e astratto. Dice la Costituzione pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II sulla Chiesa e il mondo contemporaneo (Gaudium et Spes): “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (n° 1).
I cristiani sono uomini, uomini come tutti, senza nessuno sconto sulla vita. Lo sono, dunque, perché essi vivono e convivono la stessa condizione. Sono dentro al mondo, al modo stesso di Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, senza alibi e senza riserve. I cristiani appartengono alla stessa e unica storia. Storia che Dio ha preso in mano con la Creazione e con la Redenzione, perché sia una storia nella quale si compia in pienezza la salvezza. Questa certezza può essere così riformulata: Dio si riserba di esercitare la potenza del suo Spirito di liberazione e di misericordia, dovunque. Dice la Costituzione pastorale dello stesso Concilio Vaticano II: la pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo, che promana dal Padre (cfr. Gaudium et Spes n° 78). L’accento va posto su “pace terrena” che nasce dall’amore del prossimo. Essa ha a che fare con Cristo e con il Padre suo. È, cioè, un bene che fa riferimento a Cristo, al mistero comunionale della Trinità.
La “pace” praticata dagli uomini, dovunque e comunque essi siano, è una parabola vivente (immagine ed effetto) del Regno di Dio in mezzo agli uomini. Un “segno dei tempi” come si esprime l’enciclica “Pacem in terris”. La pace dell’uomo non è certo la pace di Dio, perché, appunto, né l’uomo è Dio,né la sua azione è quella di Dio. Ma, per grazia essa è chiamata a manifestarla, divenendone la profezia certa.
La pace, e con essa pure la libertà, la giustizia, il diritto dei popoli, la promozione della donna sono aspetti di un lavoro comune per il progetto “uomo”, onde liberarlo da ciò che ne mortifica la “dignità della persona umana”. È, dunque, lavorare per il “Regno di Dio”, di cui i “segni dei tempi “sono la manifestazione. È questa, mi pare la linea seguita dal messaggio di papa Francesco a Bari. Esso non va oltre, ma ciò che dice vincola i cristiani a unirsi nel servizio comune all’uomo, che è esercizio dell’unità, quale manifestazione responsabile del Regno di Dio in terra.