Come nasce un gioco di guerra?
Intervista a un suo ideatore e progettista che vede la realtà bellica dalla parte dei civili che sono incolpevolmente nel mezzo.

 

This war of mine (“Questa mia guerra”, d’ora in poi TWoM) non è un gioco divertente (e non dico questo come critica). Si tratta di un simulatore bellico tristemente emozionante che vi pone a capo di un piccolo gruppo di civili intrappolati in una guerra. Non ci sono epiche battaglie se non quelle per il cibo, le medicine e il riscaldamento. È un racconto cupo e realistico di un aspetto della guerra frequentemente ignorato: quello di coloro che sono presi nel mezzo del confitto. Ci sono stati dubbi che un gioco potesse essere lo strumento migliore per argomenti di questo genere, ma Pawel Miechowski, progettista capo, non è d’accordo. In questa intervista sostiene in maniera convincente che il (video)gioco ha finalmente raggiunto la maturità.

Da dove è nata l’idea di TWoM?

È dipeso tutto da una persona. Mio fratello maggiore Grzegorz (presidente di 11 bit, lavoriamo insieme sui giochi da una vita) ha avuto l’idea. Gli piace la storia e durante un brainstorming ci ha raccontato delle storie sconvolgenti sui civili in guerra, che sarebbero state un’idea emozionante per un gioco. Siamo stati subito tutti d’accordo – facciamolo! Un’idea seria per un gioco maturo. È cominciato così.

Il gioco è ambientato in una guerra europea indeterminata. Come siete giunti a questa decisione e avete costruito il gioco su qualche conflitto specifico?

Non volevamo fare riferimento a nessun conflitto specifico per evitare coinvolgimenti politici. Volevamo che il messaggio fosse universale. E ha funzionato. Per gli israeliani riguardava loro; per i palestinesi, loro, e così via. Non è sorprendente? Se sei intrappolato in una guerra, non importa la nazionalità, vuoi solo sopravvivere e proteggere coloro che ami. I motivi del conflitto non contano, ciò che importa è la tua sofferenza. In ogni caso, abbiamo fatto le necessarie ricerche: cercavamo ricordi e storie di persone che erano sopravvissute a guerre differenti e, fra queste memorie e storie, abbiamo cercato quei particolari eventi rimasti più impressi, usandoli per capire come i civili percepiscono la guerra. Per esempio, l’assedio di Sarajevo è molto ben documentato. Noi stessi abbiamo molte storie di famiglia, poiché siamo di Varsavia – la città è stata devastata e tutti hanno un nonno o una nonna che ha vissuto direttamente la guerra. Mia nonna è sopravvissuta all'invasione tedesca e poi a quella della Russia sovietica. Ha rischiato di morire di fame con la famiglia. Abbiamo esaminato storie dal Kossovo, da Aleppo, la Libia, l’assedio di Monrovia nei primi anni 2000, ma credo che Sarajevo e Varsavia siano state le prime fonti di ispirazione.

Come avete deciso i premi e le penalità per specifiche azioni “buone” o “cattive” nel gioco? Avete discusso del tema della moralità?

Uno degli elementi cardine dell’ideazione era quello di creare un ambiente di gioco che non desse risposte morali, ma si limitasse a metterti davanti ai risultati delle tue azioni. In questo modo puoi giudicare da solo se hai fatto la cosa giusta o sbagliata. Qualunque scelta può comportare alti costi, perché questo è ciò che succede in guerra. Devi sacrificare te stesso o gli altri. Perciò non ci sono incentivi e penalità “per definizione”, ma piuttosto una bussola morale che ti mostra le conseguenze delle azioni senza enunciare direttamente una tesi.

Il gioco affronta il tema della depressione e del disagio mentale, fatto ancora raro nei giochi. Pensi che rispetto a quel tipo di situazioni disperate si sottovaluti il disagio mentale?

È una domanda molto difficile. Penso che le persone sappiano che la guerra è un incubo, ma coloro che non l’hanno conosciuta possono solo provare a immaginarla e saremmo molto ingenui a pensare che ce la sapremmo cavare o addirittura saremmo degli eroi. Per un essere umano la guerra è la prova più dura ed è devastante per la salute mentale. E tuttavia le persone sopravvivono alla guerra e sono capaci di cose splendide, per esempio coloro che hanno rischiato la vita per aiutare degli sconosciuti a Sarajevo.

È stato difficile psicologicamente fare TwoM?

Lavorare su un titolo che parla di depressione, fame e morte è, in generale, una esperienza emotiva piuttosto estenuante. D’altra parte abbiamo ricevuto migliaia di mail e sostegno da tutto il mondo. È stato molto consolante anche in chiave futura. C’è stato un riscontro incredibilmente positivo e il riconoscimento di avere creato un’esperienza che allarga gli orizzonti. Dà molta soddisfazione.

Ti piace giocare a giochi che glorificano la guerra e l’eroismo bellico?

Si, mi piace. Mi piaceva la vecchia serie di Medal of honor dove giocavi un super soldato contro orde di nazisti. Tuttavia io sono contro l’idea che i giochi debbano continuare a essere fantasie di potenza. Se sono di un certo umore, guardo i film di azione, ma di tanto in tanto qualcosa mi spinge a guardare film drammatici come Il pianista Schindler’s List e alla fine piango come un bambino. Per me questa è catarsi. Credo fermamente che i giochi debbano fare lo stesso – se ti va possono darti una scarica di adrenalina, ma possono anche affrontare temi seri o commentare la realtà e la condizione umana attraverso un’esperienza di gioco opportunamente strutturata.

Chi è il tuo scrittore di guerra preferito?

Recentemente mi ha molto colpito La morte dei caprioli belli di Ota Pavel, uno scrittore ceco che descrive le sue esperienze durante la guerra quando viveva coi genitori in un piccolo villaggio nella Repubblica Ceca controllata dai nazisti. Provavano a vivere normalmente, ma in quel mondo crudele non era possibile. Anche Rising 44 di Norman Davies, un libro sull'insurrezione di Varsavia brutalmente e dolorosamente onesto sulla realtà della guerra.

Tu o qualcuno del tuo gruppo avete mai vissuto la guerra?

Per fortuna no e spero non ci capiti mai. Ma conosciamo persone della Bosnia e ci sono i nostri parenti, come ho detto. Ho sentito tanti racconti da mia nonna, e per lei i momenti da ricordare erano quelli non razionali, quelli emotivi – è così che si ricorda la guerra ed è quello che abbiamo provato a descrivere in TWoM.

Come avete fatto la ricerca?

Abbiamo cominciato con le storie di famiglia. Abbiamo letto dossier di Amnesty International e guardato migliaia di interviste su famacollection.org, dove si può accedere alla incredibilmente ben documentata storia dell’assedio di Sarajevo. Ricorda che non cercavamo le motivazioni dei conflitti ma il resoconto di eventi che hanno segnato le persone – sfide, sentimenti, sacrifici – usato per creare specifici eventi di gioco.

TWoM è spesso cupo, squallido e deprimente. Avete discusso se dovesse essere “divertente”?

Sapevamo dal principio che non sarebbe stato divertente. Il divertimento tipico era fuori questione. Sapevamo di doverci approcciare all'argomento con rispetto e creare un’esperienza coinvolgente e trascinante, piuttosto che divertente e piacevole.

Credi che la violenza sia una componente necessaria della psiche umana e che il mondo abbandonerà la guerra?

Questa è una domanda molto filosofica. Si può pensare che il male possa essere necessario come il bene, la violenza una componente della natura umana e la via dell’essere rappresentata dalla capacità di spogliarsene. Io credo che la razza umana abbia sempre bisogno di una sfida, un problema da risolvere, ma non credo che debba essere la guerra. Abbiamo il cancro da curare e le stelle da raggiungere.

Qual è la lezione più importante appresa creando TWoM?

I giochi sono cresciuti. Tutta la comunità (giocatori, creatori, youtuber, giornalisti) è pronta ad accettarli come una forma adulta di narrazione, capace di affrontare qualunque tema. Il solo limite è la progettazione dell’esperienza di gioco: se ben fatta, puoi parlare di qualunque cosa.

 

L’intervista a Pawel Miechowski a cura di Dominic Preston è stata originariamente pubblicata sulla rivista Outermode (http://outermode.com).
Si ringrazia l’intervistatore, l’intervistato e la redazione di Outermode per la cortese concessione.


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