Cambiamenti climatici e salute: l’accelerazione dettata dal neoliberismo globalizzato comporta effetti devastanti su ambiente, Casa comune e persone.
L’attuale epidemia di CoVid19 e il cambiamento climatico sono due manifestazioni del medesimo fenomeno di accelerazione del processo di globalizzazione; entrambi richiamano l’attenzione alla necessità di uno sforzo globale coordinato per far fronte alle nuove sfide.
Molti altri aspetti legano la salute al cambiamento climatico e, più in generale alla profonda trasformazione dell’ecosistema determinata dal modello di società capitalista e consumista ormai globalizzato.
Attività umane
Il cambiamento climatico è il risultato dell’impatto sull’ambiente delle attività antropiche che hanno subito un drammatico aumento soprattutto a partire dalla cosiddetta rivoluzione industriale, e quindi da circa due secoli. Sebbene il cambiamento si manifesti attraverso una molteplicità di fenomeni, (innalzamento dei livelli del mare, eventi atmosferici estremi, riduzione dell’ozono e aumento delle radiazioni UV, ecc.) con diversi effetti sulla salute, l’innalzamento della temperatura atmosferica media è l’indicatore utilizzato per il monitoraggio del cambiamento. Essendo principalmente la conseguenza dell’incremento delle emissioni di gas serra attribuibili ad attività umane, la loro riduzione è l’obiettivo degli interventi necessari a rallentare la crescita della febbre planetaria e quindi l’impatto sulla salute e sulla vita nel pianeta.
Già nel 2001 il Comitato Intergovernativo per lo studio dei Cambiamenti Climatici (Ipcc) segnalava che le emissioni di gas serra prodotte da attività umane stavano crescendo a un ritmo annuo compreso tra lo 0,5% e l’1% e che, con un simile andamento, l’aumento della temperatura media sarebbe stata di circa 4 gradi entro il 2100. L’Oms allora calcolava che il cambiamento climatico aveva causato in un solo anno 160.000 decessi e 5,5 milioni di anni di vita persi a causa di problemi di salute, disabilità o morte prematura, principalmente come conseguenza della malnutrizione, e in minor misura di malattie infettive (in particolare malaria e diarrea), di ondate di calore e inondazioni. Le stime conservative più recenti per gli anni a venire parlano di almeno il doppio di decessi per ogni anno. È evidente che il calcolo dell’impatto sulla salute dipende dalle variabili che si prendono in considerazione. Infatti, gli effetti del cambiamento climatico sulla salute umane possono essere diretti, indiretti e legati alla trasformazione dei sistemi sociali.
Danni
I primi impatti sono quelli causati dagli eventi estremi, come ondate di calore, inondazioni, repentini abbassamenti della temperatura, uragani, ecc., ma anche dall’espandersi del “buco dell’ozono” e della conseguente aumentata esposizione a raggi UV. Oltre alle morti e alle lesioni gravi registrate in eventi catastrofici, gli effetti sulla salute includono l’aumentata incidenza di malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, alcuni tipi di cancro, disturbi mentali. Gli effetti indiretti sono invece da collegare alla trasformazione dell’ecosistema causato dal cambiamento climatico, come ad esempio l’elevarsi della temperatura media che permette la diffusione di malattie infettive trasmesse da insetti vettori (malaria, dengue, febbre gialla, ecc.) in aree geografiche il cui clima precedentemente più freddo non ne consentiva la riproduzione. Un’analoga causa indiretta è rappresentata dalla modificata salinità di acque dolci dovuta a cicloni e piogge, nonché dall’innalzamento dei mari che permette ad esempio l’aumentata concentrazione di vibrioni colerici e la ridotta potabilità dell’acqua. Altrove l’acqua verrà a scarseggiare per il seccarsi delle falde acquifere.
Infine, l’impatto sulla salute mediato dalla trasformazione dei sistemi sociali interessa fenomeni come l’alterata produzione agricola, alla base di denutrizione e insicurezza alimentare; la migrazione forzata dai determinanti ambientali, quali la siccità o l’innalzamento dell’acque marine. I cambiamenti climatici pongono anche serie questioni di equità a livello globale. Le popolazioni, che stanno sperimentando il più significativo aumento di malattie attribuibili all’innalzamento delle temperature negli ultimi 30 anni, sono le meno responsabili nelle emissioni di gas a effetto serra. Le stime dell’Oms mostrano che il 99% del carico di malattia dovuto al cambiamento climatico, così come l’88% di quelle a carico dei bambini sotto l’età di 5 anni, è nei paesi più poveri contribuendo ad accrescere la diseguaglianza in termini di salute globale. Anche l’equità intergenerazionale è messa a repentaglio: probabilmente le generazioni future saranno esposte a malattie ambientali mai viste prima.
Quale sviluppo?
Un’azione globale è dunque indispensabile per cercare di limitare il cambiamento e mitigarne l’impatto. A partire dal 1992 quando a Rio de Janeiro, si tenne il cosiddetto “Summit della Terra”. In quell’occasione si adottò la Convenzione quadro sul cambiamento climatico, con l’obiettivo di prevenire ogni “pericolosa” interferenza tra attività umana e il sistema climatico. La Convenzione, che entrò in vigore due anni dopo, è stata ratificata da 197 paesi, quelle stesse “Parti firmatarie” della Convenzione si sono tornate a riunire anno dopo anno nelle cosiddette Conferences of Parties (Cop). Nella ventunesima sessione (Cop 21) svoltasi nel 2015, con l’ “Accordo di Parigi” ratificato nel giro di un anno da 153 paesi, è stato fissato l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2 gradi Celsius (rispetto ai livelli pre-industriali) con l’impegno a limitarne l’aumento a 1,5 gradi, riducendo le emissioni atmosferiche, con azioni a difesa del clima; aggiustamenti in risposta alle trasformazioni climatiche e il loro impatto; assistenza finanziaria ai paesi con maggiori difficoltà per aiutarli a recuperare, preservare e sviluppare un ambiente pulito a beneficio delle generazioni future.
In tal senso, lo stesso accordo richiamava le Parti a rispettare e promuovere il loro impegno su diritti umani, menzionando specificamente il diritto alla salute. L’allora direttore generale dell’Oms, Margareth Chan, sottolineando l’inestricabile collegamento tra salute e clima, qualificò l’accordo non solo come un indispensabile trattato per salvare il pianeta da un danno grave e irreversibile, ma come un vero e proprio trattato di sanità pubblica, in grado di salvare milioni di vite umane dato l’inestricabile collegamento tra salute e clima. Purtroppo, gli impegni internazionali sono alla mercé dei governi firmatari. Con l’avvento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, quel paese – insieme alla Cina, il massimo inquinatore mondiale – ha dichiarato il proprio ritiro dall’accordo, gettando la comunità internazionale nello sconforto.
Per quanto celebrati come un successo della diplomazia internazionale anche quegli accordi appaiono insufficienti e appare evidente la necessità di un radicale cambiamento di rotta del modello di sviluppo. Da tempo, per far fronte all’emergenza, da più parti si insiste sulla relazione tra cambiamento climatico e salute, richiamando la necessità di porre la salute al centro di tutte le politiche in tutti i settori (trasporti, abitazioni, energia, agricoltura) e a tutti livelli (nazionale, regionale, internazionale) e rafforzare nel contempo i sistemi sanitari per affrontare le crescenti sfide. Ma il cambiamento climatico non è che un aspetto della più generale trasformazione dell’ecosistema causato da un modello socio-economico insostenibile. Infatti, il modello di sviluppo dominante, ponendo indiscriminatamente l’accento sulla crescita economica e quindi sull’incessante aumento dei consumi su scala globale, è alla base di quella trasformazione, con crescente e insostenibile sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili e un devastante inquinamento ambientale, con un impatto sulla salute incommensurabilmente più grande di quello misurato solo in relazione al cambiamento climatico. Anche la pandemia di CoVid19 è figlia della globalizzazione di questo modello di società. Quando ce ne renderemo conto potrà essere troppo tardi.