Il manifesto per una società della cura: "Uscire dall'economia del profitto, costruire la società della cura".
"Se ci è voluto lo sfruttamento di metà del pianeta per fare della Gran Bretagna quella che è oggi, quanto ce ne vorrebbe per l'India?".
A inizio secolo Gandhi interrogava se stesso e i suoi contemporanei sul paradigma senza senso su cui si basava l'economia coloniale e il benessere degli Stati vincitori di quella corsa all'oro. La pandemia da Covid-19, dilagata con ampiezza e profondità inattese ma largamente prevista dalla comunità scientifica internazionale, ha fatto emergere tutte le fragilità e la irresponsabilità di fondo su cui si fonda la nostra società fin da allora.
Senza limiti
"In virus veritas", ho avuto modo di scrivere anche in altre occasioni: abbiamo estratto valore da persone e pianeta, privatizzando il patrimonio comune su cui il patto sociale delle nostre comunità e la loro stabilità si fondava, come se essi non avessero limiti, come se il mercato potesse espandersi all'infinito su un pianeta ben definito e se la scomparsa dello spazio materiale e immateriale condiviso, una volta consumato o volto a profitto privato, non portasse squilibrio di necessità nel nostro viverlo insieme.
Abbiamo arato la terra e l'abbiamo scavata fin nelle viscere, ne abbiamo dissipato acqua e aria, risorse e esseri viventi, l'abbiamo coperta di rifiuti.
Abbiamo superato la capacità biologica di carico del pianeta scegliendo di estrarre valore invece che riprodurlo. A chi dichiara agonizzante il modello capitalista va fatto osservare, invece, che il rallentamento degli indicatori di crescita dipende dalla fase di transizione del modello d'estrazione che sta lentamente abbandonando le risorse materiali, in esaurimento, per spostarsi, con l'economia digitale, a monetizzare la dimensione immateriale. Il tempo, i nostri dati personali, propensioni, relazioni, sentimenti, esperienze, persino i credo religiosi o politici, l'odio e la paura: sono la nuova miniera cui dare un prezzo e un mercato. L'hanno colonizzata e la controllano i nuovi padri pellegrini: pochi patriarchi sempre più ricchi e fuori controllo. Sono i signori del nuovo farwest dal quale non torneremo indietro senza lottare.
Più leggeri?
Digitalizzazione dell'economia e dei consumi non significa, inoltre, che il passo con cui l'umanità avanza sul pianeta sia più leggero anche a livello materiale: i metalli rari di cui si compongono computer e telefonini vengono estratti dagli stessi schiavi di sempre nelle stesse miniere e in quantità crescenti. I prodotti che ci vengono portati a domicilio quando li ordiniamo da casa non necessariamente sono più sostenibili, e spesso chi ce li consegna è un nuovo schiavo, organizzato senza pietà da un capo del personale digitale programmato per sfruttarlo. Con la pandemia da 88 a 115 milioni di persone in più nel mondo scivoleranno nella povertà estrema solo nel 2020, potrebbero essere fino 150 milioni entro il 2021, a seconda della gravità della contrazione economica, portando il totale a oltre il 7% della popolazione globale.
Il Manifesto
Non è questo il periodo delle riforme, degli aggiustamenti, dei pannicelli caldi. Non è questo il momento per rinchiudersi in casa in un sonno catodico in streaming sotto abbonamento. Vent'anni fa, a Genova, in tante e tanti, spiegavamo che "un altro mondo è possibile". Oggi siamo agli esiti di tutto quello che avevamo già intravisto, ma quello che chiedevamo già allora non è più rinviabile. "Vogliamo una società che metta al centro la vita e la sua dignità, che sappia di essere interdipendente con la natura, che costruisca sul valore d'uso le sue produzioni, sul mutualismo i suoi scambi, sull'uguaglianza le sue relazioni, sulla partecipazione le sue decisioni. Lotteremo tutte e tutti assieme per renderla realt à". È questo il cuore del "Manifesto per una società della cura" cui si ispirano oltre 800 tra organizzazioni nazionali e locali, singole attiviste, attivisti, sindacalisti, ecologisti, contadini, lavoratori, cooperanti. Persone che stanno cercando di ricostruire un filo di ragionamento e di intervento comune, socialmente e ambientalmente diversi per il nostro paese, a maggior ragione dopo l'impatto della crisi post Covid.
"Nulla sarà più come prima", ci assicuravano quando la pandemia ha sconvolto le nostre case e abitudini. Non era la prima crisi cui abbiamo dovuto sopravvivere negli ultimi vent'anni: abbiamo resistito, dal basso, risparmiando, cooperando, cambiando produzioni, consumi, stili di vita. La risposta istituzionale e d'impresa, però, è sempre stata parziale, insufficiente, poco convinta e zero ambiziosa rispetto a quella conversione ecologica e economico-finanziaria che, dal più giovane degli studenti fino ai più importanti esperti internazionali, da troppo tempo indicano come necessaria.
Le richieste
Anche questa volta è stato chiaro, fin dagli Stati generali convocati dal premier Conte nella suggestiva cornice di Villa Pamphilj, che gli interventi proposti – alcuni necessari, alcuni irragionevoli – tutti, più in generale, poco ambiziosi e efficaci rispetto alla nuova fase – non puntavano certo in questa direzione. In oltre cento dal vivo e quasi il doppio online, dai Fridays for future alle Case delle donne di Roma, Milano e Lecce, dai gruppi Laudato Sì alla Rete dell'economia solidale, dall'Associazione rurale italiana ad Attac, ai circoli Arci, all'associazione delle Ong italiane, alle organizzazioni tematiche come la mia, abbiamo provato in quelle giornate estive a capire come riallacciare il filo di un ragionamento comune che facesse convergere il meglio e il più nuovo di quanto ragionato e agito nei territori e a livello nazionale per uscire da questa ennesima crisi davvero in un modo diverso rispetto a come ci siamo entrati.
Non è più il momento del "si salvi chi può", della frammentazione che alimenta una rabbia senza sbocchi: abbiamo la responsabilità di mostrare insieme che esiste una via di uscita buona per tutti e tutte. Per questo abbiamo organizzato una successione di incontri fisici e online, con tutte le precauzioni necessarie per proteggerci dalla pandemia, e siamo arrivati a una prima assemblea virtuale con 450 partecipanti il 24 ottobre e, successivamente, una giornata nazionale di mobilitazione, il 21 novembre, sempre tra fisico e digitale, per ritrovarci dopo anni per la prima volta insieme in uno spazio pubblico che stiamo ridefinendo insieme a partire dalle pratiche, dalle resistenze, dai cuori e i corpi che sapremo ritessere e rianimare.
Mobilitazioni, azioni di pressione sul Governo, sulle amministrazioni locali. E poi approfondimenti, scambi di pratiche e di piazze, ma anche una ricucitura calda e presente di quegli strappi logici e ecologici che ci hanno trascinato nelle difficoltà presenti: questo è quello che vogliamo condividere. Ci tiene insieme la voglia di far tesoro di esperienze importanti e di farne delle nuove insieme perché l'Italia e il pianeta meritano un futuro migliore. È importante che chi in questo momento vuole dare un contributo al cambiamento non si senta isolato e impotente: ritroviamoci su www.societadellacura.blogspot.com. su Fb e nella Community www.demosfera.com allo spazio "Per una società della cura". Se il problema è dentro di noi, dobbiamo essere noi, nessuna e nessuno esclusi, insieme, la cura.
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