Ultima tessera
Qualifica Autore: Dottore in Filosofia e teologia, laureato in Medicina, è attualmente segretario del Tribunale permanente dei popoli

 Dai crimini istituzionali del silenzio e della connivenza alle tante forme di solidarietà dal basso che costituiscono vere e proprie barche nella tempesta. 

 

Chi sa per quanto tempo, e in quante e diverse forme, resterà aperta quella finestra di verità spalancata dagli otto interminabili minuti che hanno obbligato a chiamare con il suo nome antico e indiscutibile di "omicidio" una "misura di sicurezza" applicata da un rappresentante dell'istituzione a un cittadino colpevole di avere un colore con memoria di schiavitù? 

E chi sa per quanto tempo, e in quali paesi l'abbattimento di statue che onorano attori istituzionali di crimini contro l'umanità sarà salutato come gesto di giustizia e invocazione di pace e non come atto illegale di disordine? 

E chi sa quando un fiorire di gesti simbolici come quello dei poliziotti di Minneapolis inginocchiati per chiedere perdono potranno tradursi in normative istituzionali che riconoscono come "soggetti umani" tutti gli scartati in nome di decreti di sicurezza che "goccia a goccia", nel mare, nei deserti, nei percorsi balcanici o messicani o dei mari del sud est asiatico o degli apartheid israeliani o turchi si trasformano in genocidi di popoli perpetrati avendo la comunità istituzionale degli Stati come spettatori responsabili del "crimine più efficace ed impunibile che è quello del silenzio"? 

Sarebbe bello pensare che questi punti interrogativi potessero essere punti di partenza per una risposta che dice: ora o in un domani verificabile e che diventi parte di un presente, ovunque. 

La storia di cui siamo i testimoni non permette ottimismi: il "mai più" che ha accompagnato come una garanzia di diritto la formulazione di tutti i crimini sopra ricordati è stato troppe volte, e continua a essere, ignorato per immaginare che la storia possa cambiare per avviarsi in una direzione che coincida con una risposta positiva agli interrogativi. Un elenco certo incompleto dei popoli che attendono che la finestra di speranza spalancata dalla mobilitazione afroamericana si apra anche per loro dà la misura della profondità della sfida: Palestinesi, Rohingyas, Kurdi, Tamil, Popoli originari del Brasile, Uighury della Cina, le minoranze innumerevoli dell'India, Siriani… Senza dimenticare le pandemie strutturali e istituzionali della fame, della povertà, dei salari incompatibili con la vita che disegnano una mappa globale più tragica e senza speranze di vaccini dei contagiati e uccisi dalla pandemia virale che non sembra certo promettere un dopo all'insegna di diritti umani universalmente accessibili.

Al "crimine istituzionale del silenzio e della connivenza" ha risposto per ora, simbolicamente, la finestra di verità spalancata dal "gesto di silenzio" di Francesco, nella solitudine piovosa e punteggiata di poche luci di piazza San Pietro. L'istituzione più solenne e per tanto tempo immutabile ha risposto con il suo farsi da parte. Il primo passo di un cambiamento è quello di riconoscere che l'istituzione non è la risposta. Che si è tutte/i naviganti in una tempesta, migranti in cerca di cittadinanza, ricercatrici/ori di un senso da condividere.

Al monitoraggio di focolai di contagi che possono scatenare nuove forme di lockdown, di chiusure dettate dalla paura, l'unica ricerca che può dare speranza di futuro non è l'attesa di un vaccino che venga da fuori e dall'alto (non si sa quando e a quale prezzo e per chi, come segno di salvezza o come nuova frontiera di discriminazione per disuguaglianza o per l'una o l'altra forma di razzismo).

Sono tante le forme di resistenza e di solidarietà che in questi tempi di "distanze sociali" hanno costruito reti di minoranze e di movimenti che hanno "detto no" alla paura e alla rassegnazione: difficile qui ricordarle tutte. Quelle delle donne anzitutto, in tanti luoghi, per tanti obiettivi; quelle dei giovani per il futuro e per l'ambiente; quelle dei tanti poco conosciuti ma reali gruppi che salvano migranti in tante parti del mondo senza paura di contagiarsi con un virus come raccontano le cronache di questi giorni; quelle, tanto diverse ma tanto complementari che ricordano, ai tanti programmi istituzionali che promettono misure economiche per uscire dalla crisi, che l'unica misura imprescindibile della legittimità degli interventi è lo spazio che viene dato alla restituzione alle persone "scartate" dei loro diritti.

Tanti anni fa, in un'Italia che combatteva il terrorismo, un "racconto di liberazione", che era anticipo e riassunto di un servizio sanitario costituzionalmente degno, aveva un titolo molto semplice e rivoluzionario: L'istituzione negata. Per fare dei matti dei cittadini, occorreva negare l'istituzione che diceva di curarli. E un altro racconto che apriva una finestra di futuro si intitolava: Crimini di pace. Tutti quelli che istituzionalmente si commettono, nel silenzio istituzionale, per obbedire a modelli di sviluppo che non hanno come misura di successo la vita nella dignità delle persone, ma gli indicatori del mercato.

Oggi, e per tanto tempo, la sfida è globale. La verità gridata dalla finestra spalancata da cui è partita questa riflessione è un esercizio che riguarda tante realtà. I "focolai di resistenza", frammentati e minoritari che si sono evocati assomigliano molto alle piccole luci nel buio che punteggiavano il silenzio istituzionale e la grande chiamata alla condivisione del cammino solitario di Francesco. 

Le risposte agli interrogativi non ottimistici che si sono posti sono il futuro che viviamo. 

Per fare un mosaico capace di rispondere ai crimini di pace, così intrecciati oggi con politiche esplicite di guerra (basti pensare, nel piccolo del nostro paese, alle politiche dei migranti e alla Libia, a Regeni e all'Egitto, al fatto che le industrie degli armamenti sono protette, anche in tempi di Covid, più della sanità, della scuola, del lavoro schiavo della nostra agricoltura) la ricostruzione di una cultura di forti alleanze tra movimenti che abbiano le persone e la loro vita come protagonisti è obbligatoria. Ed è chiaramente improbabile. Lo si può constatare tutti i giorni. In tutti i settori della società.

La violenza inerziale delle istituzioni, per tanto tempo staccate dalla realtà e dalla rappresentatività delle persone, non è disponibile alla incertezza delle sperimentazioni che devono essere flessibili e trasparenti per rispondere alla eterogeneità dei bisogni. L'esperienza del Covid-19 che ha messo in evidenza (tra le tante cose buone che si è riusciti a fare) la vocazione di "scienziati" portatori di verità più che testimoni di incertezze da condividere tra soggetti informati e in difficoltà, non è stata certo una "scuola di cittadinanza". Così come le opposizioni drammatiche a un magistero di servizio e non di potere anche nella Chiesa. 

La sanità, la scuola, la gestione del lavoro in una logica di trasformazione del territorio in un luogo vivibile sono terreni sui quali confrontarsi. Il quadro di riferimento della Laudato si', che già raccoglie tanti movimenti, intelligenze, esperienze, così come i temi concreti della psichiatria, delle carceri, dei migranti, possono e devono essere le "barche nella tempesta" sulle quali noi tutti, da migranti, dobbiamo giocare e verificare il nostro "non aver paura". 

 


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