Ultima tessera
Qualifica Autore: Giornalista e scrittrice, già parlamentare ed eurodeputata

È morta Rossana Rossanda: grande protagonista politica del nostro tempo. Battersi con convinzione per la pace significa imparare a declinare il noi.

 

Rossana non è stata una pacifista; e però ha operato molto ed efficacemente per la pace. Spesso i più giovani dimenticano che a lungo nel movimento operaio laico il pacifismo è stato visto con diffidenza, quasi come un disimpegno politico.

Sebbene quello stesso movimento abbia pagato un alto prezzo per la sua opposizione alla guerra: basti pensare all'origine stessa della sua ala comunista, che si separa da quella socialdemocratica proprio per via del suo voto, in Germania, a favore dei crediti di guerra alla vigilia del primo conflitto mondiale. Lenin vuole denunciare chi quella guerra tremenda l'ha provocata, da una parte e dall'altra: i capitalisti, i veri nemici di popoli fratelli spinti ad ammazzarsi reciprocamente per i biechi interessi dei loro padroni, in lotta per la supremazia del proprio capitale. E anche per questo la guerra fu considerata a lungo non evitabile se non fosse stato soppresso il sistema che la provocava. I pacifisti c'erano, anche allora, e moltissimi restarono vittime della loro protesta, ma a lungo noi ne abbiamo saputo poco e questa parola – pacifismo – dopo averla ascoltata con qualche sospetto l'abbiamo riscoperta tardi, in Italia negli anni Ottanta. 

I cinque anni che mi separano da Rossana Rossanda mi hanno consentito di vivere a pieno quella straordinaria esperienza, ma non potrei mai dire che per questo abbia più di lei, che non ricordo di aver mai visto alla marcia Perugia-Assisi, contribuito a combattere la guerra. 

Questa mia precisazione può sembrarvi pedante. Ma la faccio per rivendicare un pezzo della storia della generazione di Rossana – e in larga parte anche mia – proprio attorno ai temi della guerra. Che per noi fu innanzitutto guerra fredda, non per questo poco pericolosa: quando con il discorso di Fulton Churchill con Truman – ben diverso dal suo predecessore Roosevelt – e soprattutto dopo aver dato il via al progetto di riarmo atomico, mandano per aria l'alleanza antifascista che aveva consentito di sconfiggere il nazismo, comincia una grande campagna che oggi avremmo chiamato pacifista, ma così non fu. Una incredibile battaglia per la pace, milioni di firme sotto gli appelli ai "quattro grandi" e manifestazioni gigantesche. E paura, vera paura, quando il generale McCarthy minaccia di usare la bomba, che all'epoca gli Stati Uniti sono i soli a detenere, contro la Cina. 

Rossana fu una animatrice di quella stagione politica. A scontarsi erano, sia pure in uno scenario geopolitico, ricchi e poveri, in fondo così come nelle fabbriche milanesi. Rossana è diventata quello che è stato – e cioè un esempio e una così importante protagonista politica del nostro tempo – perché ha rifiutato la collocazione di raffinata intellettuale quale certamente era. Ha scelto sempre di essere fino in fondo anche una militante, una persona che ha rifiutato il proprio ruolo di élite, o meglio lo ha vissuto in connessione stretta con quello che la portava, con tanti altri, a fare il volantinaggio nelle fabbriche al cambio dei turni, ad animare i dibattiti che si tenevano allora nelle sezioni del PCI, per spiegare cosa accadeva nel mondo, per imparare a considerare fratelli i lontani cinesi e poi i coreani e ancora i vietnamiti. Perché per battersi con convinzione per la pace bisogna innanzitutto imparare a sentire l'altro come una parte di te, qualcuno senza del quale tu stessa/o non riusciresti nemmeno a capire chi sei. Bisogna imparare a declinare il noi, un noi che via via è diventato sempre più complesso, ricco di diversità e insieme segnato dalla stessa sostanza umana. 

E poi, dopo gli appelli pe impedire il massacro nucleare, la pace divenne per noi la lotta contro il colonialismo. La pace diventò liberazione dell'Algeria; e via via degli altri popoli africani che divennero indipendenti solo negli anni sessanta, vent'anni dopo la fine della guerra mondiale. Rossana aiutò con il suo lavoro culturale, con la ricchezza di partecipazione di esponenti del terzo mondo che ebbe la Casa della Cultura di Milano che dirigeva (primo fra tutti Franz Fanon) a capire e a conoscere. E dopo l'indipendenza, a scoprire il neocolonialismo, l'oppressione meno visibile ma più subdola e opprimente che seguì a quella visibile e diretta, militare. Perché Rossana nel suo "lavoro con gli intellettuali", come si diceva, aveva sempre in mente tutti noi più giovani – studenti e operai – che avevamo bisogno di capire meglio per poter lottare in modo efficace.

Nelle commemorazioni di questi giorni seguite alla sua morte di lei si è parlato molto come di un'intellettuale di grande livello, di una femminista, di una giornalista. È stata, sì, tutto questo, ma mi sembra si sia marginalizzato il suo impegno primario, quello di costruire una soggettività consapevole, premessa di ogni lotta. Insieme abbiamo vissuto l'avventura de Il Manifesto, e lei è stata la prima che ha rifiutato di viverla come una che scrive, mentre ad altri sarebbe toccato di leggerla. Ha voluto da subito impegnarsi nell'organizzazione di collettivi che facessero le due cose insieme, che costruissero, per l'appunto, soggetti. 

Quando all'inizio degli anni Ottanta è "scoppiato" il pacifismo, questo nome è stato adottato e se ne è capita la valenza, neppure io ero certo più giovane, anche se ancora abbastanza per vivere quel movimento fino in fondo. Ma anche io, come i più giovani, non l'avremmo saputo interpretare in tutta la sua ricchezza se da lei non fossimo stati "nutriti". Voglio in proposito ricordare un dato che a me pare significativo della specificità del pacifismo italiano: quella di aver fatto alla fine capire, quanto inizialmente non era risultato chiaro, e i nostri amici di altri paesi europei stentavano a capire: che il fronte su cui battere la guerra era cambiato, non era più quello che spaccava l'Europa, era quello Nord-Sud. A noi italiani fu più chiaro per molte ragioni, non solo per la nostra collocazione geografica – i pershing e i cruise erano impiantati in Sicilia! – ma per quello che prima ho chiamato nutrimento: l'intreccio, diventato proficuo dialogo, fra marxisti e cattolici e l'aver goduto di un apporto culturale ricco e non accademico, un contesto molto italiano: che Rossana Rossanda aveva molto contribuito a rendere tale. E poi Rossana ha contribuito ad alimentare la lotta per la pace per un'altra ragione, perché non rinunciava a stare in prima linea, non sopportava i brontoloni scontenti che non fanno più niente (e purtroppo sino tanti), a 96 anni e paralizzata totalmente da un ictus continuava a proporsi il problema del che fare. Per lottare per la pace in un tempo in cui le guerre si sono moltiplicate ed è così facile farsi paralizzare dal senso di impotenza, c'è bisogno di vigore, perseveranza, coraggio. Rossana ci mancherà.

 

 

 


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