Qualifica Autore: Coordinatore nazionale Pax Christi

È ripartita la Campagna di pressione alle banche armate. Chiediamo a tutti gli Istituti di credito e bancari di non investire in export di armi.

 

"L'appello Cambiamo mira! Investiamo nella pace, non nelle armi lanciato dalle nostre riviste e dal movimento Pax Christi nel 20° anniversario della Campagna di pressione alle 'banche armate' è rivolto a ogni cristiano/a, ma anche a ogni cittadino/a della nostra Repubblica che 'ripudia la guerra'.

Ci appelliamo a ogni comunità cristiana, parrocchia, diocesi, congregazione religiosa, istituto missionario, convento, monastero e, perché no, a ogni scuola e università cattolica. Ma ci preme indirizzare il nostro appello anche ad ogni comune, provincia e regione della Repubblica, tutte istituzioni provviste di una tesoreria, che ha il 'dovere morale' di sapere dove mette i propri soldi e a che cosa servono". Così abbiamo scritto nell'editoriale dello scorso mese di luglio, firmato insieme dalle tre riviste (Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di pace) promotrici della Campagna di pressione alle banche armate.  

La legge 185/90

Sono ormai passati 30 anni dalla promulgazione della Legge n. 185 del 9 luglio 1990 che ha introdotto in Italia "Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento". Ed è proprio grazie a questa legge, che obbliga il governo a una relazione annuale al parlamento, che è possibile (con non poca fatica) conoscere i dati e i nomi delle banche coinvolte nell'export di armi (tutti i dati, numeri e nomi degli Istituti bancari coinvolti sono facilmente reperibili sul sito: www.banchearmate.org). 

Stanno emergendo alcuni fenomeni quanto mai preoccupanti: la tendenza da parte degli ultimi governi a incentivare le esportazioni di sistemi militari anche a paesi verso cui sarebbero vietate (paesi in stato di conflitto armato, i cui governi sono responsabili di gravi violazioni di diritti umani e la cui politica contrasta con i principi dell'articolo 11 della Costituzione, ecc.) e, contemporaneamente, il graduale allentamento da parte di diversi Istituti di credito delle rigorose direttive che avevano emesso alcuni anni fa allo scopo di poter finanziarie e offrire servizi bancari anche ad aziende che producono ed esportano armamenti a paesi ricchi di risorse energetiche, ma pesantemente coinvolti in conflitti e violazioni. Tutto questo è stato favorito dal progressivo indebolimento della trasparenza della relazione governativa e dalla costante mancanza di controlli da parte del parlamento. Ne abbiamo parlato in una conferenza stampa che si è tenuta a lo scorso 9 luglio presso i Saveriani, con interventi anche del presidente di Pax Christi, mons. Giovanni Ricchiuti e di p. Alex Zanotelli, direttore responsabile di Mosaico di pace.

Azione politica 

Negli ultimi quattro anni i principali acquirenti di sistemi militari italiani sono stati i paesi dell'Africa settentrionale e Medio Oriente verso i quali i recenti governi hanno autorizzato l'esportazione di materiali militari per quasi 17 miliardi di euro, pari al 51,2% del totale delle licenze rilasciate (33 miliardi di euro). Tra questi paesi spiccano le monarchie assolute islamiche della penisola araba (Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman) e diversi paesi del bacino sud del Mediterraneo (Egitto, Algeria, Israele, Marocco).  

"Per questo – ribadisce Giorgio Beretta, espero analista e coordinatore della Campagna – è venuto il momento sia di un'azione politica nei confronti del governo e del parlamento, sia di una specifica azione di pressione verso gli Istituti di credito". 

Si tratta ora di rilanciare con determinazione questa Campagna con proposte dirette alle diocesi e alle parrocchie, alle associazioni religiose e laiche, agli enti locali (regioni, province e comuni) e a tutti i cittadini per richiedere agli Istituti di credito di non finanziare la produzione e la commercializzazione di armamenti o, per lo meno, di definire delle direttive rigorose e trasparenti volte ad autoregolamentare l'attività in questo settore nell'ambito delle politiche di responsabilità sociale d'impresa. 

Particolarmente grave la situazione che vede l'Italia coinvolta nella vendita di armi all'Egitto; si parla di affare del secolo per l'Italia: commesse militari per circa 9 miliardi euro. La Campagna di pressione alle "banche armate" ha chiesto lo scorso 4 giugno "a tutti gli Istituti di credito di manifestare pubblicamente il proprio diniego a concedere prestiti e servizi finanziari alle aziende per la vendita di sistemi militari al regime di Al Sisi... Un'operazione inammissibile e ingiuriosa sia per l'Italia sia, soprattutto, per il popolo egiziano che necessita di tutto tranne che di nuove navi da guerra, di caccia e di sistemi militari… Questa nuova fornitura è oltraggiosa non solo nei confronti della memoria di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano barbaramente assassinato in Egitto e sulla cui morte le autorità egiziane non hanno mai contribuito a fare chiarezza, ma anche di tutti coloro – oppositori politici, sindacalisti, giornalisti, difensori dei diritti umani – che vengono tuttora perseguitati perché non sono graditi al regime imposto dal generale al-Sisi, come dimostra anche il caso di Patrick Zaky.

Come per i contratti per sistemi militari già effettuati nel 2019 (del valore di 872 milioni di euro in gran parte per la fornitura di 32 elicotteri prodotti dalla divisione elicotteri della società a controllo statale Leonardo S.p.A.). in questi casi si rendono necessari prestiti, anticipi e garanzie finanziare da parte degli Istituti di credito". 

Per il bene di tutti

Questa Campagna vuole essere, ancora oggi più di ieri, un modo concreto perché ognuno si senta chiamato a fare la propria parte. Non possiamo dire 'io non c'entro'. Tanti interessi e affari che portano a finanziare guerre vengono fatti con "i nostri soldi". Dalle banche presso le quali abbiamo il nostro conto. È quindi importante che ogni singolo cittadino/a, ma anche le istituzioni religiose (parrocchie, diocesi, istituti religiosi…)  e civili (comuni, province, regioni) che si appoggiano a istituti o tesorerie prendano coscienza della propria responsabilità e possibilità di far cambiare le cose. 

"Di pace e non di fucili abbiamo bisogno" ci ricordava papa Francesco a Pasqua! "Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite".

Certo, pecunia non olet! Lo sappiamo. E la tentazione di lasciare spazio libero alle regole del denaro è forte, in ogni ambiente e in ogni coscienza. 

"La promozione della pace è un bene comune – abbiamo detto alla conferenza stampa a Brescia –

che non può essere delegato ai governi o alle rappresentanze politiche, ma richiede l'attiva partecipazione di tutti. Non possiamo accettare che la ripartenza dell'Italia a seguito dell'epidemia da Covid-19 sia segnata da un'economia di guerra che favorisce le esportazioni di sistemi militari a scapito degli investimenti per la pace, la sostenibilità ambientale, la cooperazione tra i popoli e di diritti delle popolazioni più bisognose". 

 

 


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