L'Onu è palestra della democrazia internazionale. Chi e che cosa vuole metterla fuori gioco? Quale riforma è opportuna?
Quest'anno l'Onu compie 75 anni. Ma non c'è molto da festeggiare. I capi di stato e di governo che avrebbero dovuto intervenire nella Giornata internazionale della pace all'incontro di alto livello dell'Assemblea Generale sul tema
"Il futuro che vogliamo, le Nazioni Unite di cui abbiamo bisogno: Riaffermiamo il nostro impegno collettivo verso il multilateralismo" non hanno potuto raggiungere il Palazzo di Vetro a causa della crisi sanitaria provocata dalla pandemia da Covid-19 che ha provocato oltre un milione di morti nel mondo.
Il pianeta è attraversato da crisi profonde, da quella economica a quella migratoria, da quella climatica a quella alimentare, da quella dello stato di diritto a quella dello stato sociale. La corsa al riarmo sta raggiungendo nuovi traguardi. Si continua a morire in Siria, in Libia, nello Yemen, in Afghanistan, in Iraq, in Medio Oriente, in Birmania nella Repubblica Centrafricana, per citare alcuni dei conflitti più noti. Ma anche in Turchia, in Egitto, in Colombia, in Brasile … In Europa e nelle Americhe crescono movimenti popolari e prendono il potere leader politici nazionalisti, sovranisti, xenofobi, fascisti.
Quale leadership?
Questa "nuova" leadership sta attaccando il sistema internazionale stabilito a San Francisco con la Carta delle Nazioni Unite e fondato sul multilateralismo, sul diritto e la cooperazione internazionale, sull'autodeterminazione dei popoli, sul "riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili" che "costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo", come recita l'incipit del Preambolo della Dichiarazione universale dei diritti umani.
È una leadership che vuole riportarci all'anarchia, allo stato di natura, alla legge del più forte. È una leadership che adotta leggi e attua politiche di restringimento degli spazi della società civile, che criminalizza la solidarietà, che arresta, tortura e uccide i difensori dei diritti umani.
Il progetto volto a mettere definitivamente fuori gioco l'Onu e il collegato sistema di Agenzie specializzate creati alla fine della Seconda guerra mondiale per dare slancio alla cooperazione internazionale ha trovato nell'amministrazione Trump il paese guida.
Questa amministrazione ha sempre nutrito nei confronti delle istituzioni multilaterali, e dell'Onu in particolare, una forte ostilità.
Ha sospeso i finanziamenti all'Oms in piena pandemia di Covid-19 e poco dopo ha notificato al Congresso l'uscita degli Usa dall'Oms. Nel 2018 ha tagliato i fondi all'Unwra, l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi e ha portato gli Stati Uniti fuori dall'Unesco. Nel 2017 ha sospeso i finanziamenti al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. La proposta di bilancio per il 2021 prevede un taglio significativo dei finanziamenti che gli Usa versano alle organizzazioni internazionali e per le operazioni internazionali di peacekeeping, nonché l'azzeramento dei fondi per l'Unicef e Un Women.
L'Amministrazione Trump ha anche lasciato diversi accordi internazionali. Nel 2017 ha abbandonato i negoziati per il Patto sulle migrazioni sostenuto dall'Onu ed è uscita dagli accordi di Parigi per contrastare i cambiamenti climatici. Nel 2018 ha ritirato gli Usa dall'accordo sul nucleare con l'Iran. Nel 2019 ha trasferito l'ambasciata americana in Israe-le a Gerusalemme violando le risoluzioni Onu.
Difesa necessaria
Oggi, quanto più l'Onu è fatta oggetto di tentativi di strumentalizzazione per interessi di parte, addirittura di snaturamento delle sue finalità pacificatrici e di smantellamento del suo impianto multilaterale, tanto più forte deve essere l'impegno a difenderla e a rafforzarne le capacità.
Urge riportare al centro del dibattito politico la "questione Onu" nella consapevolezza che questa è parte fondamentale del più ampio dibattito sull'ordine mondiale. Urge prendersi cura della Carta delle Nazioni Unite e dei valori che proclama e che oggi sono sotto attacco in Europa e nel mondo. Insomma, c'è bisogno di Onu, oggi più di prima, perché c'è bisogno di governo per il mondo. Ma quale Onu e per quale governo mondiale?
Nel 1992 il Centro Diritti Umani dell'Università di Padova insieme con l'Associazione per la Pace lanciava un appello per la democratizzazione dell'Onu che si apriva con queste parole: "L'Onu che vogliamo è l'Onu dei popoli, non l'Onu degli stati sovrani armati (…). L'Onu dei popoli è l'Onu debitamente democratizzata quanto a composizione degli organi e procedure decisionali, è l'Onu che promuove la democrazia internazionale insieme con la democrazia all'interno degli stati. L'Onu non può avere più potere, non può essere autorità sovranazionale se non si democratizza. Ma per democratizzare l'Onu ci vuole un forte movimento per il nuovo ordine internazionale, il quale faccia del diritto internazionale dei diritti umani la propria legge fondamentale e agisca quindi sulla scena internazionale con una forte legittimazione giuridica oltre che etica". Primi firmatari il professor Norberto Bobbio e il vescovo Tonino Bello.
Prendeva avvio il percorso della via giuridica – pacifica e democratica – alla pace all'insegna di "rafforzare e democratizzare la Nazioni Unite" basato su un triplice assunto: la democratizzazione delle istituzioni internazionali è variabile indipendente, cioè fattore causativo, rispetto ai processi di pacificazione e alle politiche di sicurezza umana; è impossibile parlare di democrazia se si prescinde dal riferimento ad ambiti istituzionali che ne consentano la realizzazione; il potenziamento dell'Onu così come di qualsiasi altra organizzazione multilaterale presuppone più legittimazione diretta degli organi che decidono e più partecipazione popolare alle loro prese di decisione.
Un problema fondamentale riguarda il tipo di struttura che dovrebbe farsi carico, in via ufficiale, di elaborare un documento organico sulla riforma. Nell'ottica della democratizzazione, dovrebbe trattarsi di un organo di carattere "plurale", cioè con più ampia e diversificata rappresentanza rispetto agli organismi di vertice intergovernativi, insomma con una composizione tale da rompere lo stagnante e inconcludente auto-referenzialismo del dibattito sulla riforma al Palazzo di Vetro. L'esempio, con tutti i necessari adattamenti, è quello della "via convenzionale" sperimentata dall'Unione Europea per compiere importanti passi istituzionali quali la elaborazione della "Carta dei diritti fondamentali dell'UE" e la preparazione del progetto di "Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa".
Verso la riforma
Per quanto riguarda la riforma delle Nazioni Unite, vogliamo rilanciare la proposta elaborata da Antonio Papisca di dar vita, su decisione dell'Assemblea Generale – dove non esiste il potere di veto – a una "Convenzione universale per il rafforzamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite", la cui composizione dovrebbe comprendere le seguenti fasce di rappresentanze: gli stati membri delle NU, per raggruppamenti regionali; le più importanti istituzioni del sistema delle NU; le Organizzazioni regionali; i parlamenti nazionali; gli enti di governo locale (mediante la Ong "United Cities and Local Government"); le Ong con status consultivo all'Ecosoc (Consiglio Economico e Sociale); il movimento globale delle donne; gli Osservatori Permanenti alle NU. Il documento finale della Convenzione verrebbe rimesso all'Assemblea generale.
Gli obiettivi della riforma rimangono, nella sostanza, quegli stessi già puntualmente individuati agli inizi degli anni novanta e che possiamo così elencare in estrema sintesi:
• maggiore rappresentatività nella composizione del Consiglio di sicurezza, magari, pur se parzialmente, su base ‘regionale' (Unione Europea, Unione Africana, ecc.), moratoria nell'esercizio del potere di veto da parte dei cinque membri permanenti in vista della sua definitiva abrogazione;
• creazione di una Assemblea parlamentare composta da delegazioni dei parlamenti nazionali, in rappresentanza dei popoli;
• potenziamento dell'attuale status consultivo attribuito alle Ong;
• potenziamento del ruolo dell'Ecosoc nell'orientare a fini di giustizia sociale l'economia mondiale;
• creazione di una forza di polizia militare sovranazionale, sotto diretto comando delle Nazioni Unite, ai sensi dell'art. 43 della Carta delle Nazioni Unite;
• rafforzamento dei poteri della Corte Penale Internazionale.
È il momento di rilanciare il pacifismo politico nel segno della progettualità dal quartiere all'Onu.