Inizia un percorso sui passi della fraternità. Un viaggio di frontiera con i sandali ai piedi.

 

L'itinerario di Parola a rischio, quest'anno vogliamo viverlo scrivendo pagine nuove che prendano le mosse dall'Enciclica Fratelli tutti e leggendola insieme a giovani esponenti di fedi diverse. Non un'intervista ma un dialogo che nasce dall'incontro. Ci serve ad aprirci a un macroecumenismo che ci sembra come la nuova frontiera della storia dell'umanità.


Cominciamo con Svanimi Atmananda, una giovane monaca induista che abita l'Ashram di Altare (Savona) e che racconta la bellezza del mondo con la sapienza della danza indiana di cui è esperta. Presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'università di Torino frequenta il Corso magistrale di Lingue dell'Asia e dell'Africa per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale.
Al n. 17 di Fratelli tutti papa Francesco ci sorprende con un superamento in avanti del comandamento cristiano dell'amare il prossimo come noi stessi arrivando ad affermare: "Prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi. Ma abbiamo bisogno di costituirci in un ‘noi' che abita la Casa comune". Proseguendo la riflessione e la sfida della Laudato Si', ci indica una prossimità verso il creato.
Svamini Atmananda: Prendersi cura del mondo si esprime pienamente nell'espressione del Veda, che risuona in tutte le nostre Sacre scritture, vasudeva kutumbakam "l'intero mondo non è che una sola grande famiglia" e, come una famiglia che ci è cara, viene amorevolmente accudita e vicendevolmente si sostiene; così, nell'equilibrio del dare e ricevere, ogni essere vivente in questa legge di interrelazione e interdipendenza accudisce ed è accudito. Realizzare la nostra reale natura, vedere Dio nel tutto e tutto in Dio esclude ogni differenza e ogni dicotomia di "io" e "tu", dove umiltà e beatitudine sono indistinguibili. Noi siamo la casa e coloro che la abitano. Proteggere la casa è proteggere se stessi, la casa tutto include e nulla esclude: è vita, amore e consapevolezza.
Certo, anche se non è così semplice. Richiede uno sforzo, un esercizio. Penso che la cura richieda anche una presenza politica, una vigilanza nella quotidianità, la capacità della denuncia e della costruzione di nuovi modelli. Don Tonino Bello ci ha insegnato che si deve rinunciare, denunciare e annunciare. Un compito arduo.

Svamini Atmananda: La vita monastica è abbracciare Dio e quando ciò accade è completezza. È un percorso che non ha passi: dove sei, Dio è; e dove Dio è, tu sei.La luce del cuore, che illumina e guida il cammino monastico, si esprime nella carità degli atti, nel camminare insieme a chi soffre, nell'essere felici con i virtuosi, non nuocere ad alcun essere vivente né con la parola, né con il pensiero e l'azione. La scrittura ci ricorda: "Il Signore abita tutto ciò che nel mondo si muove e sta immoto" (Isha up. 1.1.) e dunque il nostro agire contempla il fare seva, servizio, accudire e avere cura di ogni essere vivente, proteggere gli animali e la terra, dedicarsi allo studio, alla contemplazione, al culto esteriore ed interiore; il tutto nella luce della coscienza divina. Questa concretamente è la vita monastica. L'essere umano fa dono di sé nell'esercizio della verità e proprio attraverso questa impara, nell'incontro con "l'altro", a riconoscere quell'Uno che si riflette nelle infinite forme. Isvarapuja o abbandono a Dio è una parte (anga) dell'ascesi che si esprime su vari livelli come servizio, vicinanza, conoscenza, sino a giungere al fine ultimo, alla suprema identità, come una goccia che ritorna nell'oceano. Siamo un tutto senza parti, dove l'altro non è che me stessa.
La stessa Fratelli tutti dice che: "Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza ‘se non attraverso un dono sincero di sé'. E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell'incontro con gli altri: non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l'altro" (87). È ciò che mi induce a credere e a pensare che la vita di relazioni è cosa assai preziosa. Il Vangelo ci fa riconoscere che se seguo quelle indicazioni di apertura all'altro, ne guadagno anche in termini di umanità e non solo di fede. Il tuo stile di vita monastico forse ti impedisce di vivere pienamente la dimensione del dono.

Svamini Atmananda: Personalmente penso che si comunichi pienamente con "l'altro" solo quando si conosce profondamente se stessi. Se il termine monaco deriva da mónos ‘solo', chiaramente quell'essere solo non indica solitudine o privazione, ma pienezza senza confini. Il monaco è uno con Dio, o in Dio, quindi non può essere in assenza di nulla. Nell'hindu-dharma il monaco è detto samnyasin, che significa "rinuncia", e dunque egli rinuncia a tutto ciò che gli impedisce di realizzare la Coscienza Divina (Brahma Vidya); un altro significato del termine samnyasin è "stabile nel Sé" cioè che è stabile, fermo nella Verità. Certamente il sentiero del monaco è facile se egli è felice di percorrerlo, diversamente diventa spinoso se l'aspirazione spirituale è debole e se paure, emozioni negative, egoismi e desideri impropri lo imprigionano. Dana, il donare, e ahimsa, non violenza, sono i pilastri che sostengono il dharma, o la norma eterna; dana dharma vuol dire il dono che nutre e sostiene. Quando si supera il muro dell'egoismo si scopre un campo aperto con fiori meravigliosi come coraggio, empatia, purezza, gioia e abbandono di sé lasciando che la luce e la parola divina agiscano in noi e attraverso di noi. Il monaco agisce verso "l'altro" nella semplicità del dono tendendo la mano, sorreggendo i bisognosi concretamente e concretamente pregando e meditando quando le sue forze non raggiungono lo scopo.


Grazie, Svamini Atmananda. Grazie per aver accolto l'invito a condividere la sapienza che discende dalla tua fede con noi. Non ci resta che salutarci e rivolgerci ai lettori con il Vostro consueto saluto fraterno di pace: Namaste, mi inchino al divino che è in te.

 

 

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Svamini Atmananda vive nel Monastero induista del Svami Gitananda Ashram (Altare, Savona) e, in tale ambiente ricco di stimoli culturali e spirituali, si dedica alla pratica e allo studio della danza, dello yoga, del sanscrito e della filosofia indiana. Dirige un centro di danza, Acamedy, nato per lo studio e la pratica della danza indiana, nei suoi stili e forme classiche, attraverso un metodo rigorosamente tradizionale. Info: http://www.lilavati.it/