Cosa fare per garantire a ciascuno condizioni di maggiore equità sociale ed economica? A colloquio con suor Alessandra Smerilli per parlare di poveri e di solidarietà.
Riportiamo di seguito ampia parte di una bella intervista a suor Alessandra Smerilli, che insegna Economia politica alla Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione Auxilium. Suor Alessandra segue da tempo con dedizione e preparazione il confronto tra il mondo difficile e complesso dell'economia odierna e il futuro che prepariamo soprattutto ai giovani di ogni angolo del pianeta.
Giovani che si attendono un reale cambiamento dell'economia stessa, pari opportunità e riduzione seria del divario tra ricchi e poveri. E i poveri, loro sopratutto, nuovi e vecchi, oggi bussano alla porta del nostro modello economico.
Suor Alessandra, una domanda frontale, per cominciare: perché un operatore di carità dovrebbe aver interesse al cambiamento dei modelli economici? Fraternità, solidarietà e accoglienza sono valori che alimentano pratiche storicamente fiorite in contesti economici tra loro molto diversi, persino opposti…
Per la carità c'è spazio sempre, in qualunque contesto e con qualunque modello. La carità cristiana ha senso sempre perché è costitutiva dell'essere cristiani. E allora, perché chi si occupa di carità dovrebbe essere interessato al cambiamento dei modelli economici? Io credo perché se l'economia non funziona, se le disuguaglianze aumentano, se si produce sempre più concentrazione di ricchezza, avremo tante persone che cadono sotto la soglia della povertà, e bisognerà attivarsi sempre di più, magari non riuscendo ad arrivare a tutti. Invece, più funziona l'economia e più i modelli sono inclusivi, più chi si occupa di carità può cercare o sperare di arrivare davvero a tutti. Oggi si rischia di non raggiungere neanche i poveri, per quanto l'area della povertà si sta allargando...
I poveri, appunto. "Li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete", dice Gesù nel capitolo 14 del Vangelo di Marco. Non è troppo ambizioso ritenere che cambiando l'economia si possa eliminare la povertà, la quale in ultima analisi dipende dal peccato che alberga nel cuore dell'uomo, e che sempre genererà "strutture di peccato"?
Domanda complicata, risposta non semplice. Ho sempre criticato chi si pone come obiettivo l'eliminazione della povertà, perché sappiamo che non è possibile. E poi ci sarebbe da aprire un discorso ulteriore: quale povertà vogliamo eliminare? Sappiamo che povertà è una parola che attraversa uno spettro semantico che va dal negativo della miseria e dell'esclusione, alla scelta della sobrietà e del vivere con poco perché tutti possano vivere con dignità. Dire che ci si propone di eliminare la povertà significa dunque dire qualcosa di al limite non evangelica, se si pensa alla povertà come virtù. Detto questo, è vero che il peccato alberga nel cuore dell'uomo e che per quanto ci si possa impegnare a cambiare i modelli, alla fine tutto dipende da come operano le persone reali (gli imprenditori, i datori di lavoro, chi si occupa di finanza…). Nello stesso tempo, ci sono strutture più o meno inique, che possono favorire o meno certi tipi di esclusione. I paradisi fiscali, per esempio: finché avremo modelli e prassi per cui alle imprese conviene avere le sedi legali dove non si pagano tasse, non potremo attuare i meccanismi redistributivi che permettono la solidarietà dentro uno Stato. Ho citato solo un esempio: per dire che bisogna lavorare per cambiare alcune strutture, ma questo non vuol dire proporsi di eliminare la povertà. Vuol dire battersi per porre le condizioni di una maggiore equità.
"Il grido dei poveri" e "Il grido della terra" sono al centro del magistero dell'attuale Papa sin dai suoi inizi. Sono lo stesso grido? O una connotazione davvero green, e i costi della sostenibilità, se li possono permettere solo economie performanti, efficienti, altamente produttive, che inevitabilmente producono un certo tasso di esclusione sociale?
Sicuramente il grido della terra e il grido dei poveri sono intimamente legati: gli sforzi che vengono fatti per un maggior rispetto della terra hanno dei costi, e si capisce che i più poveri (stati e individui) non possono permettersi alcuni di questi sforzi. Un esempio banale: quando si decide di dare incentivi per le auto elettriche, chi è che non si può permettere di cambiare l'auto e di passare a un altro modello? Sono i più poveri. Quindi è chiaro che il tema c'è. Però se noi non facciamo questi sforzi, se non rispondiamo a questo grido della terra, gli effetti dei cambiamenti climatici e gli effetti dei nostri consumi che non sono rispettosi dell'ambiente (parlo dei consumi del mondo occidentale) si riverseranno per la maggior parte sui paesi che già sono vessati, dove i più poveri hanno ancora meno possibilità. Non possiamo far subire ad altri le conseguenze dei nostri consumi e dei nostri sprechi. Ci sono studi che misurano il cosiddetto "debito ecologico" contratto dai paesi che consumano di più nei confronti di altri paesi. Non dobbiamo esasperarlo. In questo senso il grido della terra e il grido dei poveri stanno insieme. O si guarda alle due dinamiche congiunte, o chi ci rimetterà, oltre a non avere un pianeta abitabile, saranno sempre i più poveri.
Siamo abituati a modelli economici i cui motori etici e psicologici sono l'interesse privato, il desiderio di successo e benessere, la competizione. Storicamente hanno dimostrato di funzionare, anche se solo per alcuni: sono da sostituire in toto? I concetti di comunione, cooperazione e inclusione possono alimentare un'economia altrettanto dinamica, innovativa, non assistita?
Storicamente abbiamo constatato che questi motori hanno generato uno sviluppo senza precedenti. Non possiamo negare che negli ultimi anni, almeno fino alla crisi finanziaria e alla pandemia, vedevamo costantemente ridursi nel mondo il numero dei poveri, sia "assoluti" che "relativi". Abbiamo visto, però, quale tipo di sviluppo è stato promosso, e con quali conseguenze per il pianeta. La pandemia ha rivelato alcuni dei limiti di questo modello: un certo tipo di sviluppo, individualistico e mirato alla massimizzazione dei profitti, è entrato anche nel modo di organizzare le finanze statali, e così nel momento in cui si aveva bisogno di preparare una forte risposta pubblica all'emergenza, ci si è ritrovati impreparati. Adesso non è che bisogna rovesciare tutto; bisogna però comprendere che cooperazione e competizione possono stare insieme. E che la competizione stessa può essere vista in un altro modo: in una logica di cooperazione per il bene comune, si può competere per soddisfare meglio le esigenze del consumatore, si può gareggiare a chi diventa il migliore per servire meglio l'altro. Più che cambiare i motori e valori, vanno cambiate le logiche che muovono l'economia e l'impresa. Sicuramente non abbiamo bisogno di un sistema assistenzialistico. Però chiaramente abbiamo bisogno di un modello che risponda alle povertà emergenti, e soprattutto allo schiacciamento dei tantissimi posti di lavoro cui si assiste in questa fase storica. Qualcosa va fatto, e va fatto a livello collettivo e cooperativo.
Il mondo pre-Covid era una cosa, poi la pandemia ha innescato cambiamenti per certi versi impensabili sino a poco tempo fa, riguardanti anche le politiche economiche, fiscali, industriali, oltre a quelle sanitarie. Il virus ha costretto gli uomini a prendere coscienza di un destino comune, o è un'illusione?
Io mi auguro che questa tendenza non rientri. E personalmente sto e stiamo lavorando per questo. Spero che questo periodo storico riesca a farci comprendere davvero che siamo legati gli uni agli altri e che possiamo uscirne solo insieme. Ciò vuol dire organizzare iniziative di solidarietà, ma anche pensare a strutture e a politiche economiche e fiscali che vadano a rinsaldare il patto tra cittadini, per cui se uno cade in disgrazia c'è una società pronta a farlo rimettere in piedi.
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L'intervista completa può essere letta nel sito di Caritas italiana (www.caritas.it). Il dossier prosegue online, con un articolo a cura di Francesca Levroni e Lucia Surano, pubblicato nella sezione "mosaiconline" del sito: www.mosaicodipace.it