Parola a rischio

Una fraternità non può costruirsi senza un'attenzione specifica a una sana economia e al bene comune. A colloquio con una giovane musulmana.

 

"C'è un episodio della sua vita [di san Francesco] che ci mostra il suo cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze dovute all'origine, alla nazionalità, al colore o alla religione.

È la sua visita al Sultano Malik-al-Kamil in Egitto, visita che comportò per lui un grande sforzo a motivo della sua povertà, delle poche risorse che possedeva, della lontananza e della differenza di lingua, cultura e religione. Tale viaggio, in quel momento storico segnato dalle crociate, dimostrava ancora di più la grandezza dell'amore che voleva vivere, desideroso di abbracciare tutti. La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli e le sorelle. Senza ignorare le difficoltà e i pericoli, san Francesco andò a incontrare il Sultano col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi «tra i saraceni o altri infedeli […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio». In quel contesto era una richiesta straordinaria. Ci colpisce come, ottocento anni fa, Francesco raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un'umile e fraterna sottomissione, pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede".

Tonio Dell'Olio: In questo percorso, in cui abbiamo già ascoltato esponenti di altre fedi (cfr Parola a rischio dei numeri scorsi), non poteva mancare una voce musulmana perché questa Lettera enciclica nasce all'indomani di un incontro storico tra papa Francesco e l'imam della grande moschea di Al Azhar. Noi cattolici mettiamo sempre in risalto il coraggio e la fede che Francesco ha dimostrato recandosi dal Sultano che per noi era il temibile, il sanguinario, il crudele. Eppure, qualche anno fa, ho ascoltato un intellettuale musulmano che parlava di Malik-al-Kamil come di una persona che amava molto la cultura, attento alle esperienze altrui. Il Sultano accoglie Francesco, dialoga con lui, lo ricopre di regali. Unisce al coraggio curiosità intellettuale. Yasmin Doghri è una giovane economista musulmana. Parliamo di fraternità, a partire dall'economia. Puoi raccontarci qualcosa di te?

Yasmin Doghri: Grazie per l'invito! Ho 29 anni e origini miste, mia mamma è italiana e papà tunisino. Sono nata in Italia, nelle Marche, vissuta in Veneto e ora vivo a Roma. Sono laureata in Economia e Management a Venezia Ca' Foscari e sto conseguendo un dottorato alla Sapienza in studi socio-economici.

Tu hai scelto il velo. Ti pongo una domanda che ti faranno certamente in tanti: è una scelta tua? Quanto ti pesa? Quanto pesa nei tuoi rapporti?

È una scelta assolutamente personale, come mi auguro sia per ogni ragazza. Non deve esserci né imposizione né accondiscendenza verso altri, che sia padre, marito o fratello. Ho indossato il velo da piccola, in quinta elementare. Ne condividevo il principio ma, soprattutto, vedevo la mamma illuminata col velo. In realtà lei mi dissuadeva dicendomi spesso: "È troppo presto, è una decisione importante perché il velo è un riconoscimento, fa parte della tua identità religiosa, non è solo apparenza ma racchiude anche principi, valori …". Ho lavorato molto su tutti questi aspetti. Sono molto fiera del velo. Eppure il velo potrebbe costituire in qualche modo un ostacolo al ponte di fraternità, all'incontro con gli altri, in una cultura profondamente segnata dal cristianesimo come è l'Italia.

In realtà per me non è mai stato così. Poi, del resto, anche le suore indossano il velo. Tra le due religioni ci sono più punti in comune di quanti ci dividano. Certo, mi è capitato di scontrarmi con visioni che non accettano le diversità e talvolta è stato difficile interagire o aprire un confronto.

Sì le suore lo chiamano velo, usando lo stesso termine che si usa per quello islamico. E, se tu fossi nata un decennio prima, avresti visto le donne in chiesa con il velo. Nelle Sacre Scritture, in particolare in San Paolo, è indicato il velo come l'abbigliamento proprio delle donne. Poi l'evoluzione sociale è stata diversa e questa consuetudine si è interrotta. Il velo è abbastanza comune in tutto il Medioriente e tanto l'islam quanto il cristianesimo e l'ebraismo provengono da quel bacino culturale. Penso ci sia una reciproca contaminazione tra cultura originaria e fede di appartenenza. Tornando alla fraternità, spesso questa è di corto respiro perché si è capaci di vivere relazioni fraterne all'interno del proprio gruppo ma poi si fa fatica quando ci si deve confrontare all'esterno. In Italia abbiamo forze politiche e sociali che predicano una forte coesione tra appartenenti a una stessa religione o etnia e poi fuori sono tutt'altro. Quale esperienza di fraternità hai vissuto, anche rispetto alla tua appartenenza a una comunità musulmana?

Il termine fratellanza include tutti e le prospettive possono essere anche diverse. Se consideriamo la comunità musulmana al suo interno è ricca di tantissime culture e quindi, per esempio, anche solo il fatto di andare in moschea permette l'incontro con persone dello stesso credo ma con un background culturale profondamente diverso. Già questo è un esercizio bellissimo di comunicazione e di contaminazione, per riprendere il tuo stesso termine. E poi l'empatia fa la sua parte, consente compartecipazione e favorisce la solidarietà. L'islam plurale… ne parlo spesso in questi termini, non esiste un unico mondo islamico bensì molteplici. Un pachistano non è un tunisino, un indiano non è sicuramente un indonesiano, nonostante siano vicini.

Papa Francesco sottolinea spesso il ruolo dell'economia nella costruzione della fraternità. Immagino che una ragazza islamica che studia economia possa essere oggetto di pregiudizi perché l'economia è un ostacolo alla convivenza. C'è un "pensiero economico islamco2?

La finanza islamica esiste da sempre. Abbiamo una visione inclusiva dell'economia perché prende in considerazione tutta la popolazione: il povero deve essere incluso nelle politiche e strategie economiche di un paese. Stanno sorgendo nuove correnti di pensiero economico in cui l'individuo è portatore di significato e al centro non c'è il profitto, non conta solo il denaro ma il benessere. I principi alla base della fede influiscono e abbelliscono l'economia. Questo avviene, ad esempio, nell'economia civile che vuol dar voce anche ai più deboli, per dar loro opportunità di crescita sociale ed economica. Quest'idea tiene conto del bene comune, per tutti e non solo per un'élite. Del resto il terzo pilastro dell'islam prevede la decima, una tassa di solidarietà sul proprio reddito, solitamente del 2%-2,5% che va applicato sul sovrappiù. Chiunque abbia una ricchezza inutilizzata deve redistribuirla in una certa percentuale per creare una società coesa e sana. La Zekat aiuta a creare una società più giusta.

L'economia ritorna ad essere sé stessa: Oikos e Nomos, riscrittura delle regole comuni. L'economia sana guarda alla Casa comune, al bene comune e non è intesa come accaparramento, accumulo e profitto. Quest'ultima fomenta conflitti, ingiustizie. Un'economia come quella che hai appena descritto oggi trova riferimento nell'economia civile. È una economia benedetta! Ed è alla base di Economy of Francesco. Papa Francesco rilancia una nuova politica ed economia: "Insieme con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, abbiamo chiesto «agli artefici della politica internazionale e dell'economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente». E quando una determinata politica semina l'odio e la paura verso altre nazioni in nome del bene del proprio Paese, bisogna preoccuparsi, reagire in tempo e correggere immediatamente la rotta" (FT, 192). Papa Francesco e il grande Imam si rivolgono contemporaneamente agli uomini alle donne della politica e dell'economia.

Per l'economia come per la politica, è indispensabile la sfera etica e anche una rilettura delle definizioni base, come del concetto di ricchezza o di proprietà, perché l'appartenenza di tutto non è nostra: l'aria è un dono del Creatore!

Soltanto se riusciremo a lasciarci orientare o a seguire un certo tipo di economia illuminata dall'etica, riusciremo a prevenire i conflitti. Circa l'uso della violenza, sono molto critico nei confronti del cristianesimo perché siamo arrivati a parlare di guerre giuste, di guerre sante, anche se per fortuna oggi c'è un ripensamento rispetto a tutto questo. Secondo te, l'uso della forza intesa come esercizio della violenza, che posto occupa nell'islam? Qual è la riflessione nei mondi musulmani? Nell'islam la violenza è vietata; non c'è abuso o torto ritenuto legittimo. I divieti che il nostro credo comporta non sono per limitarci ma per renderci liberi. Persino i mercati illeciti come la pornografia, la prostituzione, il narcotraffico sono vietati. Come potrebbero mai la violenza e le guerre essere giustificate?

Grazie Yasmin! Ci sarebbero tanti aspetti da approfondire. Li riprenderemo in altre occasioni.